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Un’estate europea

Paola Peduzzi e Micol Flammini

L’Ue non è più un progetto a metà come ci dicevano sempre gli americani. Ora che ricrescono i contagi, siamo più attrezzati? Idee locali contro la pandemia globale

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Per anni i politici americani hanno deriso l’Unione europea e la sua disfunzionalità, scrive il Washington Post in un editoriale, “una federazione a metà che ha adottato una moneta comune ma non le misure necessarie per sostenerla; che avrebbe voluto essere gli Stati Uniti d’Europa ma incapace di coalizzarsi attorno a leader capaci”. All’inizio della pandemia, questa percezione sembrava confermata, i leader europei si lanciavano recriminazioni l’un l’altro, “ma cinque mesi più tardi, il tavolo è stato ribaltato”, scrive il quotidiano americano. L’Europa è riuscita a contenere il virus – viene citata una statistica del Financial Times: alla fine della scorsa settimana, i 27 paesi europei avevano una media di 81 decessi per il Covid al giorno, l’America 900 – e a dotarsi di un tesoro comune per il rilancio che non soltanto è utile per la ripresa economica ma anche per il progetto europeo, “per la sua maggiore integrazione”, e intanto i confini europei sono stati chiusi agli americani. La differenza tra l’Europa e l’America nella gestione di questa crisi può certo avere a che fare con la differenza dei sistemi sanitari e con fattori demografici, ma è evidente, scrive il Washington Post, che qui c’entra la leadership.

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Per anni i politici americani hanno deriso l’Unione europea e la sua disfunzionalità, scrive il Washington Post in un editoriale, “una federazione a metà che ha adottato una moneta comune ma non le misure necessarie per sostenerla; che avrebbe voluto essere gli Stati Uniti d’Europa ma incapace di coalizzarsi attorno a leader capaci”. All’inizio della pandemia, questa percezione sembrava confermata, i leader europei si lanciavano recriminazioni l’un l’altro, “ma cinque mesi più tardi, il tavolo è stato ribaltato”, scrive il quotidiano americano. L’Europa è riuscita a contenere il virus – viene citata una statistica del Financial Times: alla fine della scorsa settimana, i 27 paesi europei avevano una media di 81 decessi per il Covid al giorno, l’America 900 – e a dotarsi di un tesoro comune per il rilancio che non soltanto è utile per la ripresa economica ma anche per il progetto europeo, “per la sua maggiore integrazione”, e intanto i confini europei sono stati chiusi agli americani. La differenza tra l’Europa e l’America nella gestione di questa crisi può certo avere a che fare con la differenza dei sistemi sanitari e con fattori demografici, ma è evidente, scrive il Washington Post, che qui c’entra la leadership.

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Il Washington Post dice che gli americani hanno sempre visto l’Ue come un progetto a metà e che ora devono ricredersi

Ora il virus può tornare, l’economia europea può metterci tanto tempo a riprendersi, può accadere di tutto e questo tutto può essere brutto, ma “la pandemia ha reso l’Unione europea più forte, grazie a una leadership responsabile, in grado di prendere decisioni difficili e imporre restrizioni impopolari. Lo stesso, e lo sottolineiamo con grande tristezza, non si può dire dell’America”. L’endorsement del Washington Post arriva in un momento delicato per l’Europa, perché il cambiamento del Recovery fund (e degli altri progetti per la ripartenza, 2.640 miliardi di euro in tutto) deve essere gestito, perché il virus si sta ripresentando in molte parti dell’Europa e perché l’Unione deve saper maneggiare, nel mondo capovolto di un’America irriconoscibile, questa sua nuova forza. Un esempio: ieri il presidente americano Donald Trump ha detto che la Germania è “delinquente”, perché non paga la sua quota nella Nato “né ha intenzione di farlo”, “perché dovremmo tenere le nostre truppe lì?”: così Trump ha ritirato i dodicimila soldati di stanza in Germania.

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Eppure per l’Europa uscire più forti dalla pandemia pareva impossibile, e invece. Oggi, per questa ultima puntata di EuPorn prima della pausa estiva (vacanze europee, naturalmente), vogliamo raccontare questo momento delicato, la sua forza e la sua debolezza. Cominciamo però con l’europeista del momento: il francese Clément Beaune.

 

L’europeista del momento

L’europeista del momento è Clément Beaune, macroniano della prima ora che ha appena avuto un incarico che sarà cruciale nel 2022

Clément Beaune è stato dall’inizio del mandato di Emmanuel Macron consigliere speciale per l’Europa del presidente francese. Beaune, classe 1981, ha iniziato a lavorare con Macron ai tempi in cui lui era ministro dell’Economia: è uno che parla molto poco (a Politico lo scorso anno, ha detto una cosa forte e francesissima: “Il potere è da sempre visto in Europa come una disgrazia perché il potere ha causato divisioni e guerre tra gli europei, era una forma di autodistruzione. Così l’Europa è l’unico blocco globale che non pensa a se stesso come a una potenza, che non pensa che il potere sia un progetto di lungo periodo”), macroniano della prima ora ma non considerato nel gruppo dei “mormoni” che hanno avuto alterne vicende nelle turbolenze politiche di questa presidenza. Beaune è da sempre molto attento a come l’europeismo del presidente è percepito e implementato, dentro e fuori la Francia. Da tempo circolava la voce che Beaune fosse un po’ stufo della sua posizione dietro le quinte, “cercava la luce”, scrive il Monde, al ministero degli Affari europei magari, o forse addirittura come commissario europeo. Il treno è passato tre volte senza fermarsi, la quarta volta sì: lunedì, Beaune è stato nominato sottosegretario all’Europa al Quai d’Orsay guidato da Jean-Yves Le Drian. La scelta serve a rassicurare chi solleva sempre il sopracciglio parlando dell’europeismo di Macron (e della Francia in generale): nella seconda parte del quinquennio, l’Europa resterà importante, decisiva, cruciale. E due giorni fa Beaune ha mostrato di essere molto battagliero, dev’essersi tenuto a freno parecchio in questi anni di semi-silenzio: in Parlamento, ha risposto a un deputato dell’estrema destra che criticava il Recovery fund e la risposta europea alla pandemia. Beaune ha detto: “Lei non gradisce che l’Europa abbia successo perché non gradisce che la Francia sia forte in Europa”; “abbiamo garantito il reddito per i prossimi sette anni agli agricoltori francesi”; “non è vero che alzeremo le tasse, perché avremo delle nuove risorse: può continuare a ripetere quanto vuole che alzeremo le tasse, ma non è vero”. La clip dell’intervento è girata molto, Beaune in questi giorni è stato ospite in molte trasmissioni: difende la risposta europea alla pandemia, spiega i dettagli del Recovery fund, risponde alle critiche colpo su colpo, dettaglio su dettaglio. La luce sembra fargli bene, ma la sua missione più importante arriverà tra qualche tempo: il suo ruolo prevede che sia lui a organizzare la presidenza di turno della Francia in Europa. Sarà il primo semestre del 2022, in piena campagna elettorale per la rielezione di Macron.

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Come vanno i contagi

Il ministro presidente della Baviera, Markus Söder, ha detto che questi nuovi focolai sembrano “tante piccole Ischgl”. All’inizio della pandemia alcune delle infezioni da coronavirus in Europa erano partite da Ischgl, paesino di montagna in Austria, l’Ibiza delle Alpi, che accoglie ogni anno tantissimi visitatori da tante parti di Europa. Nelle ultime settimane il numero dei contagiati è in aumento e la causa, dicono gli esperti, potrebbe essere l’aver iniziato la stagione turistica con un senso di sicurezza un po’ troppo alto e con la convinzione che il virus sia in qualche modo ridotto o sconfitto. In tutta l’Unione però i numeri indicano che non è finito nulla, che il virus c’è ancora e che lo conosciamo ancora troppo poco. I contagiati crescono in Germania, dove la scorsa settimana sono stati registrati 4.000 nuovi casi in focolai meno circoscritti rispetto ai mattatoi che a giugno ci avevano mostrato il lato oscuro della nazione che finora ha gestito la pandemia con più successo. Crescono anche in Francia, (6.000 casi in più), in Spagna (14.000 in più) e nei Balcani. Alcuni paesi hanno imposto i controlli a chi arriva, il Regno Unito ha deciso di far fare la quarantena a chi viene dalla Spagna, che per il momento è la nazione dell’Ue che ha registrato l’aumento più consistente, il primo ministro Pedro Sánchez ha definito la decisione inglese ingiusta. Anche in Grecia, una delle nazioni che ha spinto di più affinché gli europei si mettessero d’accordo per far ripartire il turismo, i casi stanno aumentando – “di poco ma costantemente”, scrive il Wall Street Journal – e anche nelle isole Covid free il governo ha deciso di imporre qualche piccola precauzione e reintrodurre l’uso della mascherina nei posti pubblici e sui mezzi di trasporto. Anche il Belgio questa settimana ha deciso di alzare la soglia di sicurezza vietando feste pubbliche o private e riducendo le “bolle sociali”: ognuno potrà avere contatti stretti con non più di cinque persone per un mese. In Belgio i contagi sono ripartiti da Anversa, dove il sindaco Bart De Wever, un nazionalista fiammingo, si è rifiutato di isolare i primi focolai. Secondo Lothar Wieler, capo dell’Istituto Robert Koch in Germania, ancora non si sa se sia corretto o no parlare di seconda ondata, ma l’Unione europea cerca, come può, di coordinare le vacanze di tutti, di gestire le norme sanitarie ed evitare chiusure ai confini. Le persone hanno ripreso fiducia negli spostamenti, dando un po’ di sollievo al settore del turismo, ma questo, avvisano gli esperti, non è avvenuto mantenendo tutte le precauzioni necessarie. La Germania ha chiesto di evitare i viaggi non essenziali in tre aree della Spagna. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha invece detto ai suoi cittadini di non lasciare la nazione: “Quest’estate più Balaton e meno Adriatico”.

Quanto costa un vaccino

La società Moderna ha fissato il prezzo del vaccino tra 25-30 dollari. Gli inglesi avvertono però che non esiste “la bacchetta magica”

La società Moderna, che ha sede a Boston, ha stabilito il prezzo del vaccino contro il coronavirus tra i 25 e i 30 dollari ogni dose, secondo uno scoop del Financial Times. Questo prezzo è pensato per il mercato statunitense e per gli altri paesi con un pil pro capite alto: ad aprile, Moderna ha fatto un accordo con il governo americano del valore di 483 milioni di dollari. Il prezzo di Moderna sembra più alto di quello che la Pfizer assieme al suo partner tedesco BioNTech ha negoziato con il governo americano la settimana scorsa. Ma è anche molto più basso di quello proposto da AstraZeneca che sta sviluppando il vaccino assieme all’Università di Oxford. Nel frattempo, il governo inglese ha fatto un accordo con Sanofi e GlaxoSmithKline per l’acquisto di 60 milioni di dosi, se queste compagnie riusciranno a sviluppare un vaccino efficace – i test clinici iniziano a settembre. Londra però mette le mani avanti. Kate Bingham, a capo della task force per i vaccini del governo di Boris Johnson, ha detto che è molto probabile che i vaccini che saranno sviluppati serviranno per una difesa dal virus per un anno e per eventualmente ridurre i sintomi. Nelle aspettative, dice la Bingham, il vaccino è inteso come “una bacchetta magica” che fa scomparire il virus, ma questa bacchetta magica non esiste: l’immunità completa e per sempre è ancora un sogno.

Il vino tramutato

In Alsazia i viticoltori producono disinfettante e un’università britannica ha iniziato un programma di “skills boost”

Nella regione francese dell’Alsazia viene prodotto un vino bianco che si chiama Edelzwicker, che vuol dire “miscela nobile”. Quest’anno però le vigne francesi si trovano in grandi difficoltà tra il virus e i dazi di Trump al 25 per cento, e chi produce ha dovuto reinventarsi: il 2020 è stato un anno buono per la vite, il caldo è arrivato presto e bisognerà iniziare a raccogliere di nuovo, che fare con il vino vecchio? Bisogna far spazio nelle botti e i produttori hanno dovuto adattarsi alle nuove esigenze: il vino invenduto, che ha causato perdite del 70 per cento, diventerà disinfettante. Soltanto in Alsazia circa il 15 per cento della produzione di Edelzwicker diventerà disinfettante e il New York Times, in uno dei suoi dispacci dalla Francia, descrive come avviene la riconversione, tra il dolore di chi il vino lo fa da generazioni e ne è appassionato. Un camion arriva e riempie la cisterna di vino, i viticoltori ascoltano il rumore delle pompe che risucchiano gli Edelzwicker ma anche i Riesling e i Gewürztraminer a testa bassa, soffriamo noi solo al raccontarlo, figuriamoci chi il vino oltre a berlo lo conosce. In questa estate iniziata così in fretta sono tante le cose che stanno cambiando. La nuova normalità è fatta anche di questo, prima di sederci davanti a un tramonto in riva al mare con un bicchiere di vino ci chiediamo: hai portato il disinfettante?

  

Skills boost

Il think tank dell’Institute for Fiscal Studies nel Regno Unito ha calcolato che le perdite del reddito annuo a causa della pandemia per il settore dell’istruzione potrebbero essere tra il 7,5 e il 50 per cento. Il governo ha detto di voler aiutare le università, ma le misure di sostegno non saranno sufficienti e chi vuole sopravvivere dovrà, proprio come hanno fatto i produttori di vino, reinventarsi, trasformarsi, trovare il modo di essere allettante anche in questa nuova normalità. Così l’Università di Sunderland ha deciso di puntare tutto sulla comunità locale, gli studenti che arriveranno da fuori non saranno molti, e quindi ha lanciato il programma “skills boost”, un’occasione per rafforzare le competenze per chi ha perso il lavoro o chi non riesce a trovarlo proprio perché ha bisogno di qualche conoscenza in più. Tutte le persone del posto che prenderanno parte al programma avranno uno sconto del 20 per cento sulla retta. Il rettore David Bell ha detto al Financial Times che la cosa importante è capire come ritagliarsi uno spazio e diventare imprescindibili in quello spazio, unici, diversi. Sopravvissuti, anche.

  

Sembra quasi che tutto fosse già nelle nostre teste, la vita senza contatto, la paura del contagio, persone con i volti a metà e le bocche che non sorridono più, o se lo fanno lo fanno di nascosto. Tutto abitava nella nostra fantasia, non si chiamava Covid, ma esisteva. Non lo avevamo vissuto, ma lo avevamo immaginato. Sicuramente lo avevano fatto i creatori di “Sløborn”, una serie tv prodotta da una squadra tedesca e danese che è stata girata lo scorso anno e mandata in onda in questi mesi in Germania. I tedeschi la stanno guardando con un misto di déjà-vu e incredulità, alla critica non è piaciuta affatto. Un virus originato da un piccione nella Cina settentrionale arriva in un’isola tedesca trasportato da una coppia di inglesi. Gli abitanti dell’isola non sanno cosa accadrà, ma quello che accadrà noi lo abbiamo già visto. Certo, la serie ha le tinte scure del “thriller post-apocalittico”, come l’ha definito il regista stesso. Ma le cose sono poi andate come sono state pensate per la serie. Viene quasi da domandarsi perché, visto che avevamo immaginato tutto, non siamo stati in gradi di prevenirlo. Forse perché credevano fosse soltanto fantasia. La serie è stata girata sull’isola di Nordeney e sulle spiagge di Sopot in Polonia. A Nordeney non ci siamo mai state, ma a Sopot sì ed è bella, non lugubre come nella serie: il ricordo ci ha fatto pensare, in questo momento fragile di forza insperata, che non bisogna fidarsi troppo delle previsioni apocalittiche.

 

Intanto buona estate, ci rivediamo a settembre.

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