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La sovranità, quella bella

Paola Peduzzi e Micol Flammini

L’Europa è materia viva, dice la Merkel, da modellare con responsabilità e cura. Il Recovery fund è il primo passo verso la sovranità europea, il nostro futuro

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Due mascherine, una chiara all’arrivo, una nera con il logo del semestre europeo dopo il discorso, e una visione dell’Europa sempre più promettente, invitante, battagliera: Angela Merkel ha inaugurato ieri il semestre di presidenza della Germania al Parlamento europeo ricordando questioni pratiche – l’accordo sul Recovery fund deve essere trovato subito – e sfide ideologiche: tra tutte, quella che ci interessa di più oggi è la responsabilità europea. La cancelliera tedesca insiste sulla necessità di una prospettiva europea non soltanto per la contingenza della pandemia, ma anche e soprattutto per il futuro. “L’Europa è un bene vivo – ha detto la Merkel – al quale diamo forma e vita”, siamo noi che modelliamo il progetto europeo con le nostre priorità e le nostre iniziative: gli strumenti ci sono, usiamoli. Quando la cancelliera dice che “è necessario dimostrare che un ritorno al nazionalismo non significa un maggiore controllo, ma una perdita di controllo”, la sua prospettiva si salda su quella che discutiamo da un paio di anni e che è stata introdotta da Emmanuel Macron all’inizio del suo mandato: la sovranità europea. Di tutti i sovranismi, questo è l’unico che ha avuto un rafforzamento e un’accelerazione negli ultimi mesi, perché si fonda sulla necessità di agire insieme e sulla volontà di dare all’Unione europea un nuovo ruolo nel mondo. Un ruolo da potenza globale. La stessa Merkel, un paio di mesi fa, ha parlato di “una sovranità strategica più grande” per dare forma e vita, come dice oggi, al rilancio europeo. Ma cosa si intende per sovranità europea? Per rispondere ci siamo fatte aiutare da una commentatrice che amiamo molto.

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Due mascherine, una chiara all’arrivo, una nera con il logo del semestre europeo dopo il discorso, e una visione dell’Europa sempre più promettente, invitante, battagliera: Angela Merkel ha inaugurato ieri il semestre di presidenza della Germania al Parlamento europeo ricordando questioni pratiche – l’accordo sul Recovery fund deve essere trovato subito – e sfide ideologiche: tra tutte, quella che ci interessa di più oggi è la responsabilità europea. La cancelliera tedesca insiste sulla necessità di una prospettiva europea non soltanto per la contingenza della pandemia, ma anche e soprattutto per il futuro. “L’Europa è un bene vivo – ha detto la Merkel – al quale diamo forma e vita”, siamo noi che modelliamo il progetto europeo con le nostre priorità e le nostre iniziative: gli strumenti ci sono, usiamoli. Quando la cancelliera dice che “è necessario dimostrare che un ritorno al nazionalismo non significa un maggiore controllo, ma una perdita di controllo”, la sua prospettiva si salda su quella che discutiamo da un paio di anni e che è stata introdotta da Emmanuel Macron all’inizio del suo mandato: la sovranità europea. Di tutti i sovranismi, questo è l’unico che ha avuto un rafforzamento e un’accelerazione negli ultimi mesi, perché si fonda sulla necessità di agire insieme e sulla volontà di dare all’Unione europea un nuovo ruolo nel mondo. Un ruolo da potenza globale. La stessa Merkel, un paio di mesi fa, ha parlato di “una sovranità strategica più grande” per dare forma e vita, come dice oggi, al rilancio europeo. Ma cosa si intende per sovranità europea? Per rispondere ci siamo fatte aiutare da una commentatrice che amiamo molto.

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Dalla Sorbona a oggi

Sylvie Kauffmann ci porta nel dibattito sulla sovranità europea e dice: “Per essere una potenza è importante essere autonomi”

Quando nel 2017 alla Sorbona il presidente francese parlava di sovranità europea, sembrava parlare a se stesso, lo avevamo ascoltato noi e lo avevamo anche applaudito, ma gli i leader europei erano rimasti piuttosto sordi al richiamo di Macron. Era la prima volta che sentivamo parlare con tanta insistenza della necessità di “un’Europa sovrana, unita e democratica. Solo l’Europa può garantire una reale sovranità, cioè la nostra capacità di esistere nel mondo di oggi per difendere i nostri valori e i nostri interessi”. Tutto si era spento rapidamente come rapidamente il discorso sta tornando ora, in questi giorni e a parlare non sono soltanto Macron e la Merkel, ma anche il presidente del Bundestag Wolfgang Schäuble che, in un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha scritto che c’è bisogno di una maggiore integrazione e che bisogna avere coraggio e assumersi le proprie responsabilità nel mondo. “Lo spirito della Sorbona è rimasto lo stesso – ci dice Sylvie Kauffmann, giornalista del Monde – è cambiata la cornice. Nel 2017 Macron aspettava una risposta dalla Germania ma Angela Merkel era rimasta passiva, immobile, c’erano anche le elezioni e poi una coalizione da formare. Credo però che il presidente francese in questi anni abbia capito che concetti come sovranità possono far paura agli altri stati membri, e si era già reso conto che per realizzarli bisognava cambiare strategia, non concentrarsi per forza sulla Germania, allora così distratta. In quel periodo i suoi consiglieri gli dicevano che la Germania è indispensabile ma non sufficiente e lui si è messo a cercare altri partner. Oltre alle alleanze storiche e naturali con italiani e spagnoli ha cercato legami più ostici come con i baltici e con Visegrád, ha cercato di usare il suo rapporto privilegiato con l’olandese Mark Rutte, in attesa della Germania”. Poi è arrivato il coronavirus e la parola quasi vietata che faceva paura adesso sembra pronunciabile. “Il Covid ha cambiato tutto, per esempio non avevamo mai sentito parlare di sovranità sanitaria e improvvisamente questo concetto ci è sembrato indispensabile, ci siamo chiesti come fosse possibile farne a meno e questo è un cambiamento enorme. Abbiamo capito che come europei non avevamo alcun potere comune a livello sanitario, nessuna organizzazione, nessuna autonomia. Dai medicinali alle mascherine avevamo demandato gran parte della produzione fuori, e ne abbiamo patito la mancanza. La pandemia ha sdoganato l’idea di sovranità sanitaria e questo è un rinnovamento importante”. Resta però da costruire un’idea totale della sovranità e che sia intesa da tutti allo stesso modo. Emmanuel Macron, ci dice Sylvie Kauffmann, con il tempo ha imparato a essere più prudente nell’utilizzo del termine, ma secondo la commentatrice rimangono delle differenze tra il suo modo di concepire la sovranità europea e quello tedesco, e per il momento sono Francia e Germania le due colonne della nuova Europa. “Credo che Macron, ma questa è un’idea condivisa dalla gran parte della politica francese, veda il Recovery fund come uno strumento fondamentale per la realizzazione di questa sovranità, un passo per una maggiore integrazione. In Germania invece si concepisce il Recovery più come una soluzione one shot, serve ora, a questa crisi, è una soluzione coraggiosa molto importante per questo momento, ma non è necessariamente legata a un concetto di cambiamento graduale.

 

Molti temono che il sovranismo, per quanto europeo, sfoci nel protezionismo. Il rischio c’è, ma l’obiettivo è proprio il contrario

Rimane un’ambiguità di fondo tra europei sul modo di intendere il piano di risanamento, ma si vedrà con il tempo chi avrà ragione. Io, personalmente, credo che non potrà essere una soluzione one shot, basta guardarci indietro per capire che per tutto quello che è successo nel passato, abbiamo sempre trovato soluzioni, magari in extremis, ma queste soluzioni poi hanno portato a cambiamenti duraturi”. Una maggior integrazione europea, un’Europa sovrana, è anche un’Europa più ambiziosa, in grado di mantenere i princìpi che l’hanno guidata ma anche di essere meno lassista: sovranità non è protezionismo, ci dice la Kauffmann. “L’Europa intende rimanere fedele al principio di libero scambio e al libero mercato, ma tutto questo va regolato. Questo non significa erigere delle barriere tariffarie come Donald Trump, ma chiarire i problemi di reciprocità che esistono per esempio con la Cina. Con Pechino, Bruxelles è stata ingenua e questo non è protezionismo, è saper scegliere e giocare un ruolo sul mercato”. Per diventare una potenza però, conclude Sylvie Kauffmann, non basta introdurre il concetto di sovranità europea, che pure ha molte sfaccettature. “Per essere una potenza è importante essere autonomi, e in questo la sovranità è essenziale, ma lo status di potenza è dato da tanti elementi. Il più importante è quello militare e per noi europei è uno dei punti più difficili. Francia e Danimarca, per esempio, sono paesi che hanno coltivato negli anni la loro forza militare, ne vanno fieri, ma l’idea di una difesa europea autonoma è difficile da accettare per tanti. Poi c’è il campo economico, ma in questo, nei negoziati commerciali, l’Unione si comporta già come una potenza, negozia a livello mondiale. L’altro aspetto è quello normativo, una potenza fa delle norme che valgono a livello globale e ci stiamo lavorando. Questi sono soltanto alcuni degli elementi che fanno una potenza e sì, tra questi c’è la sovranità”.

 

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La sovranità economica

Il primo passo verso una sovranità economica dell’Ue è proprio il Recovery fund. Come si sa, questa è la prima volta che l’Ue accetta di avere un debito comune per i trasferimenti agli stati membri, e non dei prestiti. La Germania ha deciso di abbandonare un tabù e ora i paesi frugali che considerano questo superamento pericoloso – temono che se ne approfitteranno sempre gli stessi, cioè gli spendaccioni – devono essere convinti a incamminarsi su questa strada. Il Recovery fund è solo un primo passo perché non c’è sovranità economica senza una convergenza comunitaria che impedisca una frattura del mercato interno e dell’unione monetaria. Queste convergenze sono sempre messe in discussione. Pensiamo alla Polonia in questi giorni: secondo le stime della Commissione europea, l’economia polacca si contrarrà quest’anno (solo) del 4,6 per cento, il dato migliore di tutto il blocco europeo. Eppure, secondo il sistema di allocazione, la Polonia felix (relativamente parlando) è la terza beneficiaria del Recovery fund. Questo dipende dal fatto che la Polonia è il principale beneficiario dell’Ue in termini assoluti, con 10,65 miliardi di euro (il 2,40 per cento del pil). Come ha detto Paolo Gentiloni, commissario per l’Economia, il sistema di allocazione non è perfetto ma perfettibile e l’obiettivo è proprio quello di creare sempre maggiori convergenze che salvaguardino il mercato interno – così prezioso per tutti, a cominciare dall’euroscettica Polonia. Naturalmente la sovranità economica non ha soltanto a che fare con la tenuta interna dell’Europa – dal Recovery fund al bilancio pluriennale e oltre – ma anche con il suo rapporto con i paesi esterni, cioè l’accesso al mercato interno. E’ necessario un sistema di controllo che dipenda dall’Europa e non dai singoli paesi, perché si tratta di una questione strategica: dazi antidumping e anti sussidi, monitoraggio degli investimenti stranieri nei settori strategici, regole della concorrenza applicate anche a imprese extra europee che ricevono sussidi di stato. L’equilibrio da trovare è delicato perché è un attimo che dalla sovranità si passi al protezionismo – e nella visione dell’Europa nuova questo sarebbe un cortocircuito.

 

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A proposito di commercio

Una piccola digressione sulla World Trade Organization. La Commissione di Ursula von der Leyen, all’inizio del suo mandato (la sua fiducia risicata da parte del Parlamento europeo è del luglio dello scorso anno), s’è data l’obiettivo di rafforzare gli strumenti a propria disposizione per poter contrastare in particolare le minacce di dazi degli Stati Uniti di Donald Trump. Invece che far rispettare all’America le regole della Wto – impossibile – la von der Leyen ha deciso di dotarsi di strumenti di protezione propri. Ma nella ricerca di un ruolo globale, ci sono ostacoli ovunque. Ieri scadeva il termine per presentare i candidati al direzione della Wto, dopo che Roberto Azevêdo, diplomatico brasiliano, ha annunciato che si sarebbe dimesso prima della fine del suo mandato. Ma dopo aver flirtato con l’idea di candidare il commissario al Commercio, l’irlandese Phil Hogan, ed essersi fatta passare la tentazione, l’Ue non ha preso alcuna decisione. Così al momento non ci sono candidati europei, mentre gli inglesi che volevano avere un posto viste le loro ambizioni “global” non si sono accordati sul nome di Peter Mandelson, “perché non è pro Brexit” (qui comunque si fa il tifo per l’economista nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala).

La sovranità digitale

Lo scorso anno la Merkel aveva parlato di un’iniziativa europea di cloud computing nominata Gaia-X, e l’aveva definita “un’infrastruttura di dati competitiva, sicura e affidabile per l’Europa”. In diversi interventi la cancelliera era tornata sull’argomento. In un discorso aveva esortato l’Ue a prendere il controllo dei dati dai giganti della Silicon Valley, aveva apertamente parlato di sovranità digitale, e aveva detto che Bruxelles si sarebbe dovuta muovere per sviluppare una propria piattaforma per gestire i dati degli utenti e per ridurre la dipendenza dai servizi americani. A Davos aveva ribadito: sbrighiamoci. La cancelliera aveva detto che il pericolo di farsi vedere troppo lenti era alto, che non c’era tempo da perdere “sulla questione filosofica della sovranità dei dati”, e Macron le aveva dato ragione nella famosa intervista all’Economist in cui, oltre a parlare della morte cerebrale della Nato, diceva anche che tra dieci anni nessuno potrà garantire la solidità tecnologica dei suoi sistemi informatici. L’Ue ha la sua paladina della politica digitale, Margrethe Vestager, che ha dimostrato grande impegno negli ultimi anni come commissario europeo alla Concorrenza nella volontà di trovare in fretta la strada per una sovranità digitale europea. Ora il dibattito si è dovuto misurare anche con il coronavirus che, come scrive un report pubblicato dall’Atlantic Council uscito a fine giugno, in realtà ha rafforzato l’attenzione sull’argomento. I cittadini hanno lavorato da casa su piattaforme dalla sicurezza discutibile, le app di contact tracing hanno misurato l’efficacia del distanziamento sociale ma ci hanno anche fatto porre tante domande sulla privacy. La pandemia ha funzionato da acceleratore, ma adesso la discussione dell’Ue, che ha individuato nella sovranità digitale una delle sue priorità, è tutta incentrata sulla visione di una nuova Europa strategica. Come indica il titolo del report: “Costruire una fortezza europea o prepararsi a un mondo nuovo?”.

Global Europe

Per completare in modo strategico il progetto sono necessari difesa e politica estera comuni. Il Mediterraneo è cruciale

Nel suo discorso al Parlamento europeo, la Merkel si è soffermata molto sulla sovranità sanitaria e tecnologica dell’Europa con l’obiettivo finale di dimostrare che “la solidarietà è un investimento sostenibile, un investimento che avrà un ritorno”. La responsabilità europea oggi è verso i propri stati membri ma anche verso l’esterno. Verso Cina e America (questa America) in particolar modo. L’ambizione della Merkel di trattare l’Europa come materia viva riconduce, quando si guarda fuori dai nostri confini, a una politica estera e di difesa comune. Serve una forza di difesa complementare – non ostile – alla Nato, e probabilmente il primo a volersene occupare è proprio Macron, che denuncia l’inefficienza dell’Alleanza a ogni occasione e patisce (eufemismo) soprattutto la presenza della Turchia. Quanto alla politica estera europea, il lavoro da fare è enorme ma strategico. E’ facile però immaginare che si aspetterà l’elezione presidenziale in America – in apnea.

 

L’Europa è pronta per un nuovo patto di matrimonio? Molti dicono di sì, anche se con il Covid sposarsi è diventata un’impresa

Dopo tante conversazioni, abbiamo realizzato che la sovranità europea è come un nuovo patto di matrimonio, e per questo abbiamo sorriso quando abbiamo visto che, a volte, l’Europa fa saltare i matrimoni. La premier danese, Mette Frederiksen, ha un problema: non riesce a sposarsi. La prima volta che aveva fissato una data, c’erano di mezzo le elezioni in Danimarca, lei era il candidato dei socialdemocratici, il suo partito ha preso più voti, lei ha ricevuto il mandato dalla regina Margherita di formare una coalizione, lo ha fatto, è diventata premier, e no, il tempo per sposarsi non l’ha proprio trovato. Il suo fidanzato Bo è stato molto comprensivo, hanno rimandato la data: luglio 2020. Solo che c’è il vertice sul Recovery fund, e la premier frugale non può certo mancare. E Bo, sempre comprensivo (ah, gli uomini del nord), ha condiviso l’idea di rimandare ancora. Tanto sposarsi, di questi tempi, è molto difficile, anzi impossibile: avete visto la protesta delle spose, tutte bianche, tutte in piazza, lasciateci sposare ché si sa mai che a rimandare e ripensare finisce che non se ne fa più niente. Il matrimonio impossibile della premier danese e la voglia di nozze delle spose in rivolta ci hanno fatto pensare che un po’ andrà così anche a Bruxelles la prossima settimana: i leader dei paesi membri, per la prima volta di persona dopo tanto tempo, dovranno sbrigarsi a concludere questo matrimonio – e speriamo che Mette cambi idea per davvero.

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