
(foto EPA)
L'editoriale dell'elefantino
La lezione di Bush in Iraq, buona per chi dileggia il realismo neocon che ha tolto la bomba all'Iran
L'eredità nobile dei neocon era pensare che la libertà avesse a che fare, nel mondo intero, con le baionette che la impongono e la difendono come modello universale. Ma ora invece preferiamo trastullarci con un'orgia di luoghi comuni e abbeverarsi alla saggezza convenziale più scipita e banale
Dopo che l’alleanza tra Gedeone e Narciso ha prodotto un risultato rilevante, un colpo serio al regime padre di tutti i terrorismi, l’opinione pubblica europea viene rintronata in modo grottesco dall’idea che sono tornati al potere i neoconservatori, cioè un gruppazzo di ex trotzkisti e di convertiti che praticano ideologie guerrafondaie sconfitte dalla storia. Notevole scemenza. Sopra tutto se detta o pensata ora che il pericolo è quello di un patto tripartito, neoautocratico invece che neoimperiale e unilaterale, occidentale ed euro-americano, per assoggettare il mondo a una logica di nuova Yalta in cui il posto dell’Europa politica è nell’immondezzaio della geopolitica cosiddetta. Ai lettori dei giornali e agli spettatori dell’informazione televisiva si propone più o meno una residuale cultura Maga, la grande alleata del putinismo blindato che avrebbe voluto mollare Israele nei cieli di Teheran e lasciare la Bomba nelle mani capaci di Khamenei.
Durante la presidenza di George W. Bush, che i meno inibiti ricordano con minore stizza di quanto lo abbiano trattato all’epoca, il gruppazzo ebbe influenza, affermò una sua versione del realismo politico, produsse una guerra per distruggere il grande covo di Osama bin Laden e dare a una generazione e mezzo di afghani il bene della liberazione da un regime di morte, schiavitù teologica, fame e sete come quello talebano, tornato in auge con una ritirata ingloriosa che tutti ricordano. Diede la caccia ai saddamiti e a Saddam, che era l’altro Khamenei, quello sunnita e socialista Baath, eliminandolo e facendo dell’Iraq un posto appena decente dopo anni di tormenti sanguinari. I neocon volevano il riarmo dell’Europa, ma nel contesto di un legame di ferro con la tradizione uscita dalla vittoria delle democrazie sui totalitarismi nel corso della Seconda guerra mondiale, non accettavano, come scrisse Robert Kagan in un famoso saggio qui tradotto e reso noto, che gli americani fossero figli di Marte e gli europei di Venere. Pensavano che la libertà avesse qualcosa a che fare, nel mondo intero, con le baionette che la impongono e la difendono come modello universale. Idea non del tutto destituita di fondamento visti gli effetti, che forse come diceva Zhou Enlai è troppo presto per giudicare, della Rivoluzione francese. Visti i destini costituzionali e politici di Germania Giappone e Italia dopo la vittoria degli eserciti alleati nel 1945. E anche secondo una logica obiettiva, superiore alle fanfaronate sul multiculturalismo mondiale da difendere nello scontro di civiltà. Quella generazione politica americana produsse risultati importanti. I neocon compirono, in quanto corresponsabili delle scelte di nation building dell’Amministrazione Bush Jr., numerosi errori, il principale dei quali lo scioglimento del Baath e del suo esercito senza aver costruito un’alternativa.
E il grande gioco praticato in Afghanistan, salvo il risultato di eliminare al Qaida dallo scenario del paese, è sempre stato più pericoloso di quanto si sia mai potuto immaginare. Ma la prospettiva di modificare la carta geografica e ideologica del medio oriente era la loro, e non risulta adesso così effimera e rischiosa per la pace nel mondo. Ma no, noi dobbiamo trastullarci con un’orgia di luoghi comuni e abbeverarci alla saggezza convenzionale più scipita e banale. I neoconservatori sono sopravvissuti a se stessi per ragioni pesanti, molto serie, e quelli di loro che se ne sono nel frattempo andati possono godersi dai cieli lo spettacolo di un sionismo da battaglia, coraggioso, indomito, nemico del nucleare terrorista, alleato con una logica ferrea che perfino il Narciso americano in chief non ha potuto ignorare.



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