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Editoriali

L'Onu lascia solo il Sudan

Redazione

Il fallimento politico della missione a protezione della popolazione

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato a favore della chiusura della propria missione in Sudan: a partire da ieri la United Nations Integrated Transition Assistance Mission (Unitams) ha tre mesi di tempo per auto smantellarsi. Quattordici paesi hanno votato a favore, la Russia si è astenuta,  il viceambasciatore americano, Robert Wood, ha detto che, pur essendo d’accordo con il ritiro della missione, gli Stati Uniti sono “seriamente preoccupati del fatto che una presenza internazionale ridotta rafforzerà chi commette atrocità” nel paese.

È evidente che questa sia la conseguenza più probabile: l’Unitams non riusciva  già da tempo a garantire  protezione alla popolazione sudanese, ma la sua dismissione mostra un fallimento politico più ampio e più grave della comunità internazionale. Le Forze rapide di supporto (Rsf) che sono l’esercito paramilitare erede dei janjaweed che straziarono il Darfur all’inizio del secolo, stanno vincendo contro l’esercito regolare in questa una lotta violentissima che ha fatto migliaia di morti, migliaia di rifugiati, migliaia di sfollati interni. Un portavoce dell’Onu ha detto che “deve essere chiaro che le Nazioni Unite non sta lasciando il Sudan” e che continuerà ad aiutare i sudanesi con altre agenzie, ma è evidente che la fine di una missione che era nata nel 2020 per accompagnare il paese verso una transizione guidata dalla società civile – che aveva cacciato con le sue proteste il dittatore Omar el Bashir accusato di crimini contro l’umanità – è più di un simbolo. È una resa di fronte a una brutalità inaudita, è una dichiarazione di impotenza, è il sigillo all’assenza di una volontà di controllo e di mediazione che lascia i sudanesi in mezzo ad atrocità di cui abbiamo e avremo soltanto resoconti parziali, e già insostenibili.

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