Foto di Gavriil Grigorov, via Sputnik, Kremlin, via LaPresse 

L'impero di Putin

Neanche la Corte costituzionale russa sa definire i nuovi confini russi dopo i referendum

Giovanni Boggero

Le regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia dovranno essere integrate nella Federazione entro il 1° gennaio 2026, ma non è chiaro con quali perimetri. Potrebbe essere un'occasione per delimitare le zone attraverso i negoziati bilaterali con l'Ucraina
 

Berlino. La Corte costituzionale della Federazione russa ha pubblicato domenica scorsa quattro sentenze di analogo tenore sulla conformità a Costituzione dei trattati stipulati dalla Russia con gli oblast di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, resisi asseritamente indipendenti a seguito dei referendum convocati in tali regioni e oggetto di successiva annessione da parte della Federazione. La Corte, con sede a San Pietroburgo, è da anni espressione della sola maggioranza governativa e non può ritenersi un giudice indipendente. Degno di nota è, però, il fatto che il 27 settembre, giorno della proclamazione dei risultati referendari, Konstantin Aranovskiy, uno dei diciannove giudici, nominato durante la presidenza Medvedev e noto per le sue numerose opinioni dissenzienti all’interno del collegio, abbia deciso di dimettersi pur non avendo raggiunto il limite dei 70 anni di età. Una breccia nel sistema che inizia a riguardare anche le più alte cariche dello stato.

 

Al di là della lunga ricostruzione delle ragioni storiche che avrebbero giustificato l’esercizio del diritto all’autodeterminazione da parte delle popolazioni di quelle regioni, tutte ricalcate sulle dottrine panslaviste abbracciate da tempo dal presidente Putin, l’elemento più interessante delle sentenze della Corte è costituito dal fatto che, ad oggi, non è chiaro quali siano i confini esatti di questi quattro enti e quindi anche di quelli esterni della Federazione. L’altro giorno e poi ancora oggi il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskòv, aveva detto che le due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk sarebbero state riconosciute nei confini dei due oblast ucraini del 2014, mentre per Kherson e Zaporizhzhia si sarebbe deciso più avanti “continuando a consultare le popolazioni e rispettando la loro volontà”. Le sentenze della Corte, in realtà, non fanno luce nemmeno sugli esatti confini delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk.

 

Altro elemento interessante riguarda la completa integrazione giuridico-amministrativa di questi enti nella Federazione che dovrà avvenire, dicono i trattati, entro il 1° gennaio 2026. Nel frattempo, le leggi locali continueranno ad applicarsi in questi territori purché non contraddicano la Costituzione della Federazione russa. A questo proposito, vale, ad esempio, la pena ricordare che la Russia applica una moratoria sulla pena di morte prevista dal codice penale, introdotta e applicata invece dalle due autoproclamate repubbliche. Dopo la fuoriuscita di Mosca dal Consiglio d’Europa e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cedu), tuttavia, non esistono più vincoli di sorta al suo ripristino in tutta la Federazione, come del resto proposto dall’ex-presidente Medvedev a marzo. È difficile, perciò, che la Corte costituzionale possa mai accertare l’incostituzionalità della pena capitale nei territori di Donetsk e Lugansk; al contrario, è assai più probabile che la moratoria possa essere revocata e la pena estesa presto anche in altre regioni di confine, da Belgorod a Kursk fino alla Crimea.  

 

Ma come mai esiste una tale incertezza sugli esatti confini dei territori annessi? La risposta sta sul campo di battaglia. Perché, a differenza di otto anni fa con il blitz dell’occupazione della Crimea, la Russia continua a non occuparli integralmente, ma sta anzi continuando a perderne porzioni (vale per l’oblast di Donetsk con la perdita di Lyman come per quello di Kherson, mentre più stabili appaiono per ora le conquiste di Lugansk e di Zaporizhzhya, che però non include ancora il capoluogo). Rivendicare l’annessione integrale di territori non ancora occupati avrebbe infatti dovuto far scattare immediatamente quei meccanismi di difesa che richiedono la mobilitazione generale di massa ed eventualmente anche l’utilizzo di armi nucleari tattiche nei confronti del preteso aggressore. Senza contare che, una volta avvenuta l’incorporazione nella Federazione, l‘art. 67, comma 2 della Costituzione russa (come novellato nel 2020 su iniziativa del Presidente Putin) vieta senza eccezione la cessione di parte del territorio federale ad altro stato attraverso qualsiasi procedura.

 

Che cosa se ne può ricavare? Che la posizione russa è attualmente molto debole e contraddittoria. Non può blindare nemmeno giuridicamente i confini di territori che non controlla perché la violazione della loro integrità (che sarebbe avvenuta nell’istante stesso della loro incorporazione) preluderebbe a un’escalation immediata che il Cremlino non può permettersi di sostenere, viste le difficoltà logistiche registrate dalle truppe sul terreno e dai comandi militari che in patria stanno dando esecuzione alla mobilitazione ancora solo parziale. Allo stesso tempo, la mancata definizione dei confini potrebbe essere un’occasione per una loro delimitazione attraverso negoziati bilaterali tra Russia e Ucraina. Come ricordato dal Presidente Putin nel discorso tenuto al Cremlino venerdì scorso, la conditio sine qua non dei negoziati sarebbe però quantomeno il riconoscimento da parte ucraina dell’annessione di una qualche imprecisata parte di territorio di quei quattro enti territoriali, ben di più di un ritorno allo status quo ante 24 febbraio proposto finora in più di un’occasione dal presidente ucraino Zelensky.

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