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Rivolte a Teheran

Il regime iraniano vuole arginare le proteste con ogni mezzo, “inclusa la morte”

Tatiana Boutourline

Davanti alla più grave crisi di legittimità che il paese si sia mai trovato ad affrontare, la mullahcrazia sta sfoderando il pugno duro. Appare evidente l’intenzione di blindare la scelta della tolleranza zero nei confronti delle piazze che hanno assunto il presidente Ebrahim Raisi e la guida suprema Ali Khamenei

Il buio nella città santa di Mashad è rischiarato dai lampioni e dai fari delle macchine, nella strada alberata, strombazzano i clacson, qualcuno insegue, qualcuno scappa, nel trambusto una voce maschile grida a un miliziano: “Non sparare, non sparare, figlio di puttana non sparare!”.  

 

 

 Sono fatte di fotogrammi come questo da 15 giorni le notti iraniane – colpi di pistola contro le finestre aperte di un condominio e una ragazza inerme sull’asfalto a cui viene sbattuta la testa contro il marciapiede, ogni giorno, ogni ora è un continuo braccio di ferro tra la brutalità e il coraggio. Ieri ad Ahvaz gli spari alla folla arrivavano dagli elicotteri. Nessuna pietà, è questo l’ordine che hanno ricevuto i custodi dell’ortodossia khomeinista mentre si intensificano i blackout e gli arresti. Manifestanti, attivisti, giornalisti, professori, fotografi, attori, cantanti, calciatori, poeti, in Iran chiunque si spenda in nome di Mahsa Amini è a rischio. Sono già migliaia gli iraniani approdati nei centri di detenzione del regime, tuttavia, a oggi, è impossibile fornire numeri precisi, tanto degli arrestati quanto dei morti che oscillano tra i  52 ai 90, ma si tratta di una stima che purtroppo rischia di essere al ribasso. (Nell’autunno del 2019 furono almeno 10 mila le persone arrestate che subirono processi a porte chiuse senza la presenza dei loro avvocati).

L’unica certezza è che davanti alla più grave crisi di legittimità che il regime si sia mai trovato ad affrontare, la mullahcrazia sta sfoderando il pugno duro. “Difenderemo la Repubblica islamica fino all’ultimo respiro”, ha ripetuto in questi giorni il capo della polizia di Teheran dando il senso dell’inquietudine della dirigenza iraniana. E il procuratore generale Jafar Montazeri ha rincarato: “Coloro che hanno ucciso e ferito degli agenti, che hanno danneggiato la proprietà privata, che hanno attaccato centri della polizia e dell’esercito, coloro che risultano aver già partecipato a forme di rivolta, gli hooligan e i criminali che hanno incoraggiato i rivoltosi e gli stranieri che sono coinvolti nelle proteste, dovranno essere arrestati e  rimanere in carcere fino a che le corti non si riuniranno per giudicarli e,  ove gli indizi di colpevolezza fossero confermati, comminare loro il massimo della pena”.

In un documento del 21 settembre (intercettato da Amnesty) indirizzato ai capi delle forze di sicurezza di tutte le province iraniane si raccomanda di ordinare agli agenti di muoversi “con severità” contro i ribelli. In un secondo documento, datato 23 settembre, un comandante pasdaran del Mazandaran, una delle province in cui gli scontri sono stati più feroci, invita i suoi uomini a evitare tentennamenti: i rivoltosi sono da arginare con ogni mezzo “inclusa la morte”. Nel frattempo Ahmad Jannati, leader dell’Assemblea degli esperti, uno degli organi più influenti e misteriosi dell’opaca architrave istituzionale iraniana, ha pubblicato un comunicato che sostiene l’azione di repressione intrapresa dal governo. Nella nota si sottolinea che le proteste sono “atti di sedizione” orchestrati da “potenze straniere”. Appare evidente l’intenzione di blindare la scelta della tolleranza zero nei confronti delle piazze che hanno assunto il presidente Ebrahim Raisi e la guida suprema Ali Khamenei.

In questi giorni filtrano voci critiche di insider che dubitano della strategia decisa da Khamenei e argomentano che un’interpretazione più soft dell’obbligo del velo sarebbe in definitiva più utile alla tenuta del sistema. Allo stesso tempo montano indiscrezioni che vorrebbero i figli della nomenklatura in fuga, e altre secondo le quali nei reparti della milizia bassiji serpeggerebbe il malcontento. Iranwire riporta la testimonianza di un ex capo milizia che racconta di giovani reclute che si rifiutano di presenziare agli incontri e di donne in forza alle squadre della polizia morale che disertano le pattuglie. E intanto, a dispetto delle minacce, la protesta continua e ogni arresto, ogni assassinio sembrano avere l’unico effetto di rinfocolare la fiamma. “Ti percuotono, ti feriscono, ti fanno uscire i lividi e poi ti riavvolgono nel velo per nascondere il male che ti hanno fatto”, ha spiegato in un’intervista a Time l’avvocato Nasrin Sotoudeh. Ma l’Iran non vuole più subire, secondo Sotoudeh la misura è colma, il regime non è mai stato più fragile. Ieri mentre i media di regime stillavano bile preconizzando punizioni esemplari, sui social network è comparsa la figlia di una donna uccisa dalla repressione: era in piedi senza velo accanto alla tomba della madre, aveva la testa rasata, guardava dritto verso l’obiettivo e con una mano reggeva la coda di cavallo che si era appena tagliata.

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