(foto Ap)

India, l'elefante non allineato

Carlo Buldrini

Da che parte starà New Delhi nello scontro tra democrazie e autarchie del nuovo ordine mondiale? Il grande gioco di un paese corteggiato da tutti, che nonostante la sua politica estera bipartisan alza la voce, ed è tutto fuorché ambigua

In questi giorni tutti i paesi democratici corteggiano l’India. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha appena concluso una visita di due giorni a New Delhi dove è stata ricevuta dal presidente della Repubblica indiana Ram Nath Kovind e dove ha incontrato il primo ministro Narendra Modi. Tre giorni prima, il premier britannico Boris Johnson è stato in India per incontrare Modi e lunedì 11 aprile il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha avuto un lungo incontro “virtuale” con il primo ministro indiano. 

Come è noto, l’India si è astenuta dal voto in tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite che hanno puntato il dito contro la Russia per la sua aggressione militare all’Ucraina. E’ stata poi sufficiente una visita, non annunciata, a New Delhi del ministro degli Esteri cinese Wang Yi per far scrivere alla rivista di politica internazionale The Diplomat che “Xi Jinping ha un’enorme opportunità di abbracciare New Delhi e creare un muro tra l’India e l’occidente”. Questa sciocchezza è stata immediatamente ripresa dagli esperti di geopolitica e dalle principali testate giornalistiche di mezzo mondo. In molti hanno scritto che “l’India sta rapidamente diventando un alleato della Cina e della Federazione russa”. Le cose non stanno così. La visita di Wang Yi in India è stata un fallimento. Il ministro degli Esteri cinese, nel giro di pochi giorni, ha visitato Islamabad, Kabul, New Delhi e Kathmandu. A Islamabad ha partecipato alla riunione dei ministri degli Esteri dei paesi aderenti alla Organizzazione per la cooperazione islamica (Oic). Nel suo intervento, Wang Yi ha fatto propria la tesi pakistana secondo cui il conflitto da anni in corso in Kashmir è una “lotta di liberazione”.


 Quando il ministro degli Esteri cinese è arrivato all’aeroporto di New Delhi, non c’era nessuno a riceverlo


L’affermazione ha fortemente irritato New Delhi e ha ulteriormente raffreddato i rapporti tra i due paesi. Quando Wang Yi è arrivato all’aeroporto della capitale indiana, non c’era nessuno a riceverlo. India e Cina non si parlavano più dagli scontri di frontiera dell’estate di due anni fa. La notte tra il 15 e 16 giugno 2020, un violento confronto tra gli eserciti dei due paesi nella valle del Galwan, in Ladakh, aveva provocato la morte di 20 soldati indiani e di un numero non precisato di soldati cinesi. Dopo questa intrusione in territorio indiano degli uomini dell’esercito popolare di liberazione, la Cina ha consolidato la propria posizione lungo la “linea attuale di controllo” (Lac) costruendo infrastrutture militari permanenti. Nelle tre ore di colloquio tra il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyan Jaishankar e Wang Yi, l’India ha ribadito la richiesta di un ritorno allo status quo di prima degli scontri dell’estate 2020 e di una linea di confine completamente smilitarizzata. Wang non ha voluto affrontare l’argomento. Il suo solo interesse era quello di assicurarsi la presenza dell’India alla prossima riunione dei paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che si terrà a Pechino a fine anno. L’India non ha confermato la partecipazione e quando Wang Yi ha chiesto di poter incontrare il primo ministro Narendra Modi, l’incontro gli è stato negato. L’India ritiene che sia la Cina – e non il Pakistan – il maggiore pericolo per la sua sicurezza nazionale. Pochi giorni dopo la visita di Wang Yi, è arrivato a New Delhi Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo. Lavrov ha potuto facilmente incontrare Modi e, al termine della visita, ha detto che “l’amicizia è la parola chiave per descrivere la storia delle relazioni tra Russia e India che si sono cementate in momenti difficili del passato”.


L’energia che l’India compra dalla Russia in un mese è meno di quanta ne compra l’Europa in un solo pomeriggio 


La visita di Lavrov a New Delhi e la decisione dell’India di acquistare petrolio dalla Federazione russa a prezzi scontati e con pagamento in rupie è stata immediatamente criticata dagli Stati Uniti. Gina Raimondo, segretario al Commercio del governo americano, ha detto che gli accordi tra Cina e Russia “deludono profondamente” e ha aggiunto che “questo è il momento di schierarsi dalla parte giusta della storia e di stare con gli Stati Uniti e con altre decine di paesi che difendono la libertà, la democrazia e la sovranità del popolo ucraino e non di finanziare e aiutare la guerra di Putin”. L’India ha risposto che il suo acquisto di greggio russo non deve essere “politicizzato” e ha avuto gioco facile nel far notare come “l’energia che l’India compra dalla Russia in un mese è meno di quanta ne compri l’Europa in un solo pomeriggio”. 

La guerra in corso in Ucraina ha ridato vita al “Grande Gioco” delle diplomazie mondiali. Ma, a differenza del conflitto in Asia centrale del Diciannovesimo secolo, oggi molte cose avvengono alla luce del sole. “Ovviamente noi preferiremmo che l’India si allontanasse dalla sua lunga storia di non allineamento e di partenariato con la Russia”, ha detto il vicesegretario di stato degli Stati Uniti Wendy Sherman, che non vedrà facilmente realizzato il suo desiderio. La politica estera indiana è una politica bipartisan, sostenuta da maggioranza e opposizione. Si modifica molto lentamente nel tempo e ha il passo di un elefante. I princìpi di questa politica sono ancora quelli contenuti in una lettera che nel 1947, l’anno dell’indipendenza dell’India, Jawaharlal Nehru scrisse a K.P.S. Menon, il primo ambasciatore indiano nella Repubblica popolare cinese. Scrisse Nehru: “La nostra politica generale è quella di evitare il coinvolgimento negli scontri di potere tra due gruppi. Oggi i due blocchi dominanti sono quello russo e quello anglo-americano. Dobbiamo essere amici di entrambi ma non dobbiamo unirci a nessuno dei due”. Nasceva così la politica del non allineamento dell’India. Nehru rimarrà fedele a questa politica pur provando un’istintiva antipatia per l’America. “Gli americani credono di poter risolvere tutti i problemi con i soldi e con le armi”, scriveva.

Sarà la figlia di Nehru, Indira, a mettere temporaneamente fine alla politica del non allineamento dell’India. Siamo nel 1971. Alla vigilia della guerra tra India e Pakistan da cui prenderà vita il Bangladesh, i due schieramenti sono chiaramente definiti. Da una parte c’è l’India appoggiata dall’Unione sovietica, dall’altra c’è il Pakistan che ha il sostegno degli Stati Uniti e della Cina, suo nuovo alleato. Il 9 agosto 1971, i due ministri degli Esteri dell’Unione Sovietica e dell’India, Gromyko e Swaran Singh, firmano a New Delhi un “Trattato di pace, amicizia e cooperazione”. Il trattato comporta l’impegno dei due firmatari di intervenire in difesa dell’altro nel caso di un attacco militare da parte di un paese terzo. Il patto ha una scadenza ventennale, ma l’India, aiutata in un momento drammatico della sua storia contemporanea, non vuole tradire l’amicizia con la Russia, anche dopo la scadenza del trattato. 


La collaborazione tra India e America è oggi molto solida sia nel campo commerciale sia in quello militare


Nel 1991, dopo il crollo dell’Unione sovietica, l’“elefante” della politica estera indiana comincia a muovere alcuni passi in altre direzioni. L’India non parla più di non allineamento ma di “autonomia strategica”. Questo le permette di avere partnership con qualsiasi altro paese purché non comprometta la propria “autonomia”. Inizia così l’avvicinamento dell’India agli Stati Uniti. Il presidente Clinton visita l’India nel 2000. George W. Bush arriverà sei anni dopo e parlerà dell’India come di un “partner strategico”. Gli indiani, a loro volta, parlano di “valori comuni che uniscono le due grandi democrazie”. Bush e Manmohan Singh firmano un accordo di cooperazione nucleare in campo civile. I rapporti tra i due paesi diventano sempre più stretti fino ad arrivare al – per molti versi grottesco – “Namasté Trump” tributato nel febbraio 2020 da Modi al presidente degli Stati Uniti nello stadio di Ahmedabad di fronte a 125.000 spettatori.

 

La collaborazione tra India e Stati Uniti è oggi particolarmente solida sia nel campo commerciale sia in quello militare. Secondo i dati forniti dal governo indiano, le esportazioni dell’India verso gli Stati Uniti sono state, nel 2021, di 71,51 miliardi di dollari mentre le esportazioni verso la Russia, nello stesso periodo, ammontano a soli 3,3 miliardi. Nel campo della cooperazione militare i due paesi hanno firmato importanti accordi. Le loro navi da guerra si riforniscono a vicenda di carburante nel corso delle esercitazioni che si svolgono nell’Oceano indiano e gli Stati Uniti vendono all’India un numero sempre crescente di armamenti per cercare di svincolarla dalla dipendenza dalla Russia. Malgrado tutto questo, l’India rimane fedele alla ormai lontana direttiva di Nehru e non si unirà mai in un’alleanza né con gli Stati Uniti né con un qualsiasi altro paese. Prima di entrare nel Quad – l’informale foro strategico a cui partecipano Stati Uniti, Giappone, Australia e India – New Delhi ha messo in chiaro che questo “quadrilatero per la sicurezza” non doveva diventare una sorta di Nato dell’Indo-Pacifico. Lo scarso entusiasmo con cui l’India partecipa alle riunioni del Quad ha spinto Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia a dar vita all’Aukus, un’alleanza che ha le stesse finalità del Quad e che lo supera ormai per importanza strategica. L’India, ancora una volta, conferma la sua allergia a ogni tipo di alleanza e ribadisce la volontà di salvaguardare la sua “indipendenza”. 

Quando saranno resi noti i dati dell’ultimo censimento indiano che si è tenuto nel 2021, l’India, con ogni probabilità, risulterà essere il paese più popoloso del mondo. Fra due anni, nel 2024, l’economia indiana supererà quelle del Regno Unito e della Francia e l’India diventerà la quinta potenza economica mondiale. L’India è anche il terzo paese al mondo per spese militari. E’ evidente che, nel “nuovo ordine mondiale” che inevitabilmente farà seguito alla guerra in Ucraina, l’India avrà un peso determinante. Sono in molti a ritenere che il “nuovo mondo” vedrà lo scontro tra democrazie e autarchie e in tanti si chiedono da che parte starà l’India. Forse, troppo spesso, ci si dimentica che l’India è una democrazia. La democrazia indiana non è un lascito dei colonialisti inglesi e non è neppure una brutta copia delle democrazie occidentali. L’India si è fatta gioco di tutte le teorie politiche che sostenevano che la democrazia è possibile solo nelle società che hanno raggiunto il benessere economico. Uscita dall’èra coloniale in una condizione di estrema povertà, l’India decise che i suoi milioni di poveri dovessero raggiungere il benessere economico proprio attraverso la democrazia. La costruzione della democrazia indiana è stata un’impresa eroica. I suoi leader politici, per poter creare l’unità nazionale, la crescita economica, la tolleranza religiosa, l’uguaglianza sociale, dovettero lottare contro la pesante eredità lasciata da un passato feudale. “La democrazia è irreversibilmente entrata nell’immaginazione politica indiana. Il ritorno al vecchio ordine delle caste o a un dominio di tipo imperiale appare oggi inconcepibile” scrive Sunil Khilnani nel suo libro “The Idea of India”. La democrazia indiana, come tutte le democrazie, ha le sue pecche ma, in 75 anni di  vita, ha creato sempre nuovi spazi politici per le donne e per le sezioni più oppresse della società. 


Nel 2024, l’economia indiana supererà Regno Unito e Francia e diventerà la quinta potenza economica mondiale


Questa democrazia indiana, anche oggi, nei giorni della brutale guerra in corso in Ucraina, a chi vuole, fa sentire la sua voce. Dopo l’astensione dell’India dal voto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti hanno definito “traballante” la posizione dell’India nei confronti della guerra. C’è chi si è spinto oltre e ha accusato l’India di ambiguità e di opportunismo. In pochi si sono preoccupati di leggere il comunicato ufficiale con cui l’India ha spiegato la propria posizione. Vi si legge che “l’ordine globale contemporaneo è stato costruito sulla carta delle Nazioni Unite, sulla legge internazionale e sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale degli stati. (…) Tutti gli stati membri sono tenuti a onorare questi princìpi”. Tra le righe del comunicato, la condanna della Russia appare evidente. Per capire la politica estera indiana non è sufficiente leggere le notizie d’agenzia o i titoli dei giornali. C’è una politica estera che si muove su canali più riservati. Nel dicembre 1979 l’India non condannò ufficialmente l’invasione sovietica dell’Afghanistan ma Indira Gandhi fece sapere a Brežnev in privato tutta la sua contrarietà. E’ presumibile che altrettanto abbia fatto Modi quando ha telefonato a Putin dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

 

Indipendentemente da chi è oggi al governo, sono i princìpi democratici a guidare l’India nella sua politica estera. Ed è per questo che la democrazia in India va difesa a ogni costo. Va difesa dall’attacco in corso negli ultimi anni da parte dell’estrema destra hindu che vuole trasformare la democrazia parlamentare indiana in una scatola vuota e sostituirla con un regime autoritario fondato su un maggioritarismo di matrice religiosa. La democrazia indiana è importante non solo per l’India ma per il mondo intero. Quando, sulle macerie della guerra in Ucraina, sorgeranno nuovi muri e nuove cortine di ferro, sarà l’India, con la sua ostinata volontà di mantenere aperto un dialogo sia con la Russia – con o senza Putin – sia con gli Stati Uniti, a cercare di tenere in vita quella globalizzazione di cui tanto hanno beneficiato molti paesi poveri. Nel mondo di domani non ci saranno solo gli Stati Uniti e la Repubblica popolare cinese (con la Russia suo probabile satellite) e la stucchevole lotta delle due superpotenze per l’egemonia planetaria. Nel mondo di domani ci sarà posto anche per l’India, con il suo miliardo e mezzo di abitanti e la sua democrazia, e per l’Europa che dell’India dovrebbe essere l’alleato naturale. Ursula von der Leyen, il 25 aprile, ha concluso la sua visita a New Delhi firmando importanti accordi nel campo della difesa militare e dell’alta tecnologia, con particolare riferimento alla digitalizzazione. Finalmente anche l’Europa sembra volersi accorgere dell’importanza dell’India e della sua democrazia.    

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