L'esercito dei negazionisti di Putin

Micol Flammini

Il presidente russo si è circondato di uomini pronti a eseguire e a negare di aver eseguito e ora continuano a dire che i massacri in Ucraina sono finti. Dalla tv ai funzionari del Cremlino, fino al sindaco fantoccio di Mariupol

Il conduttore russo, Vladimir Solovev, ha parlato di Bucha: ha mostrato ai suoi telespettatori una pagina di Wikipedia in russo e ha detto che il “massacro” – la parola l’ha fatto sbuffare di stizza – potrebbe essere stato orchestrato dall’intelligence straniera, perché Bucha ricorda molto la parola inglese butcher, macellaio, l’epiteto con cui il presidente americano Joe Biden si è rivolto a Vladimir Putin. Davanti a lui aveva un computer con una Z disegnata sopra.

Chi potrebbe davvero credere a un’affermazione del genere? Ma la propaganda non si basa sulla credibilità delle bugie, quanto piuttosto sulla quantità necessaria a coprire la verità. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto che quella di Bucha è una messinscena che Kyiv e l’occidente “stanno usando per scopi antirussi”. Il ministero della Difesa russo ha scritto che si tratta di provocazioni e che mentre Bucha era sotto il controllo russo, tutti i residenti stavano bene. Dmitri Medvedev, l’ex presidente, ha detto che le immagini  sono un esempio di come lavora la propaganda di Kyiv. L’ambasciatore russo all’Onu, Vasily Nebenzya, ha dato la colpa ai nazisti ucraini che hanno attaccato i loro concittadini. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha detto che le immagini sono contraffatte. Bugia, provocazione e messinscena sono le parole più usate dai funzionari russi mentre Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, ha risposto agli Stati Uniti che se vogliono un’indagine per crimini di guerra   incominciassero  con l’Iraq o con l’ex Jugoslavia. Non importa quanto sia appropriata la risposta da parte dei funzionari di Mosca, l’importante è negare, far sentire che la voce dei negazionisti è più forte delle altre, e soprattutto l’importante è far dubitare, mostrare che la realtà ha molte facce, si può camuffare, contraffare, inventare. 

 

Mosca nega fino alla fine sia nei consessi internazionali sia nelle sue televisioni, e più la guerra andrà avanti più spunteranno immagini nuove, terribili quanto quelle di Bucha. Il metodo della propaganda è preciso e anziché tacere, anticipa: nelle  tv russe si parla del massacro, qualcuno dice che è finto, qualcuno invece cerca a chi dare la colpa: agli ucraini, agli Stati Uniti, alla Nato. Il canale dell’oligarca Konstantin Malofeev, Tsargrad tv, ha dato molto spazio alla notizia e ha detto che si tratta di un altro fake  come quello del bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol, che è successo davvero. I funzionari di Mosca ripetono quello che Vladimir Putin vuole che dicano e la televisione alimenta la bugia. Non importa se Lavrov fosse stato un ottimo diplomatico o Sergei Shoigu, ministro della Difesa, fosse un bravo ingegnere prima di finire a capo dell’esercito, il Cremlino non vuole gli uomini migliori, vuole quelli disposti a eseguire e a negare di aver eseguito. Così si è creato attorno a Putin un governo costituito non dai migliori, ma dai peggiori e questa  sarebbe anche la ragione di una guerra organizzata in modo approssimativo. 

 

A Mariupol si sono tenute delle finte elezioni per scegliere il sindaco della città occupata. E’ stato eletto Konstantyn Ivashchenko, un filorusso che i suoi concittadini ricordano per aver rovinato la più grande impresa di costruzione di macchine in Ucraina e aver derubato decine di migliaia di lavoratori. Non è stato scelto per le sue qualità, ma perché dirà di sì al Cremlino e probabilmente aiuterà a negare quello che è successo a  Mariupol. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.