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Orbán mette il veto alle sanzioni sul petrolio russo, e altri si nascondono dietro Budapest

David Carretta

Altri governi sono ostili all’embargo immediato, compresa la Germania. "Non è una questione se lo vogliamo o no, ma quanto siamo dipendenti", ha detto il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock. Intanto si discute del possibile quinto pacchetto di sanzioni

L’Ungheria di Viktor Orbán ieri ha messo il veto a un embargo dell’Unione europea sulle importazioni di petrolio dalla Russia, permettendo ad altri stati membri di nascondersi dietro il “no” di Budapest per evitare di dover decidere se smettere di finanziare la guerra di Vladimir Putin in Ucraina. Sulle sanzioni contro le importazioni energetiche dalla Russia, “il consenso europeo non sarà certamente possibile”, ha detto il ministro ungherese degli Esteri, Péter Szijjártó. Per Orbán, l’energia russa è una linea rossa che non va superata. “Non sosterremo sanzioni che mettono a repentaglio la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Ungheria”, ha spiegato Szijjártó, sottolineando che d’ora in poi l’Ungheria indurirà la sua posizione nell’Ue e nella Nato per difendere i propri interessi nazionali. Mentre Szijjártó faceva la sua conferenza stampa (solo con giornalisti amici, ma trasmessa via Facebook), gli altri ministri degli Esteri dei ventisette stavano discutendo della possibilità di un quinto pacchetto di sanzioni.

Altri governi sono ostili all’embargo immediato, compresa la Germania. “Se potessimo fermare le importazioni di petrolio dalla Russia lo faremmo automaticamente”, ha detto il ministro tedesco degli Esteri, Annalena Baerbock. “Non è una questione se lo vogliamo o no, ma quanto siamo dipendenti, e per esempio la Germania importa molto petrolio dalla Russia e come noi altri paesi dell’Ue”. Baerbock ha promesso di uscire dalla dipendenza “gradualmente”. L’Ue vuole trovare “una risposta efficace che non significhi un costo insostenibile per gli stati membri”, ha spiegato l’Alto rappresentante, Josep Borrell. Ma tra pressioni del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, le richieste di altri stati membri e i massacri di civili, l’embargo sul petrolio è destinato a tornare sul tavolo dei leader dell’Ue.  Forse anche su quello del Consiglio europeo di giovedì e venerdì, a cui parteciperà il presidente americano, Joe Biden.

“Mi aspetto una discussione aperta su questo quando arriverà il presidente Biden”, ha detto il ministro degli Esteri slovacco, Ivan Korcok. Nella conversazione che Biden ha avuto ieri con i leader europei – Mario Draghi, Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Boris Johnson – si è discusso per ora della questione umanitaria, cioè come aiutare la popolazione in fuga dall’Ucraina e quella bloccata nelle città assediate dai russi.

Quattro pacchetti di sanzioni in tre settimane vanno ben oltre gli standard abituali, tanto più che gli stati membri hanno accettato di pagarne un prezzo. Ora il rischio è la “fatica” da sanzioni, ha avvertito il ministro lituano degli Esteri, Gabrielius Landsbergis. “C’è la sensazione che ci si voglia sedere e respirare perché le prime tre settimane sono state incredibilmente difficili non per l’Ucraina, ma per l’Ue. E’ un pessimo messaggio per chi sta combattendo”. Secondo Landsbergis, è “inevitabile iniziare a parlare del settore dell’Energia” per le sanzioni: “Possiamo sicuramente parlare di petrolio perché è la più grande entrata per il bilancio russo ed è facilmente sostituibile grazie all’infrastruttura e ai diversi fornitori”. 

I Paesi baltici e la Polonia sono stati in prima linea sull’embargo petrolifero. I ministri degli Esteri di Irlanda, Repubblica ceca, Slovenia e Slovacchia ieri hanno espresso sostegno. “Guardando all’estensione della distruzione in Ucraina è difficile dire che non dobbiamo muoverci nel settore energetico, specialmente petrolio e carbone”, ha detto l’irlandese Simon Coveney. “Siamo pienamente aperti come Italia a un quinto pacchetto di sanzioni”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Non ci sono veti da parte italiana”: finché non ci saranno segnali di de-escalation “non potremo che continuare a indebolire l’economia russa e quindi a ridurre lo spazio di manovra economico di Putin per finanziare questa guerra”. Il danese Jeppe Kofod ha suggerito di bloccare l’accesso ai porti e alle vie terrestri “per i trasporti russi e bielorussi”. Anche senza petrolio, il quinto pacchetto dell’Ue dovrebbe passare da lì: misure per evitare che le precedenti sanzioni vengano aggirate, altri oligarchi nella lista nera e chiusura dei porti europei per le navi russe. Nel frattempo, i ministri hanno trovato un accordo politico per stanziare altri 500 milioni di euro per le forniture di armi all’Ucraina.

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