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Iran e diplomazia

Persino l'Europa adesso vuole andare a vedere il bluff iraniano sul nucleare

Cecilia Sala

Cresce l’impazienza europea per i negoziati nucleari ma le scorte di uranio crescono di più 

La questione dell’accordo sul nucleare iraniano stava diventando uno strazio. Sabato, a margine del G20, c’è stata una riunione per discutere di come invertire la rotta tra Joe Biden e i tre grandi dell’Europa geografica: Germania, Regno Unito e Francia. Per la prima volta da tempo, anche gli europei e perfino la più cauta Angela Merkel sembrano convinti che a questo punto aumentare la pressione su Teheran sia l’unica cosa da fare. Nella dichiarazione congiunta si dicono “sempre più preoccupati” e denunciano “gli avanzamenti provocatori sul nucleare” della Repubblica islamica. 

I problemi sono due. Innanzitutto è da mesi che gli iraniani, con cadenza regolare, promettono di tornare al tavolo dei negoziati di Vienna – dove non si fanno più vedere da giugno – ma non fissano mai una data e agli occhi degli stranieri questa pratica sembra ormai una barzelletta. Adesso c’è la promessa di presentarsi entro il mese di novembre e che nel corso di questa settimana sarà comunicata la data precisa. Gli occidentali si augurano che sia la volta buona, perché finora agli annunci seguivano ripensamenti, richieste incomprensibili o pretese impossibili, come quella secondo cui – prima di tutto – gli Stati Uniti avrebbero dovuto rimuovere le sanzioni e vincolarsi a rimanere nell’accordo per sempre. Ma gli americani avevano già spiegato agli iraniani che Biden non ha certo il potere di impedire ai prossimi presidenti ciò che la Costituzione americana consente loro, cioè – tra le altre cose – fare e disfare gli accordi stipulati con attori stranieri.

Per un pretesto di un tipo o di un altro, alla fine si fermava tutto. Tutto tranne le centrifughe iraniane. E qui arriva il secondo problema. Dopo che Donald Trump nel 2018 ha abbandonato il patto siglato con la Repubblica islamica dal suo predecessore, l’Iran ha progressivamente ricominciato ad arricchire l’uranio. A gennaio 2020, dopo l’assassinio del generale Qassem Suleimani, il Parlamento della Repubblica islamica ha stabilito il superamento dei limiti imposti dall’accordo (arricchimento al 3,67 per cento) e ha ridotto l’accesso alle centrali da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. A novembre, dopo l’uccisione dello scienziato padre del programma nucleare Mohsen Fakhrizadeh, hanno deciso che l’arricchimento dell’uranio sarebbe arrivato al 20 per cento. Ad aprile, dopo il sabotaggio contro il sito di arricchimento di Natanz, gli iraniani hanno dichiarato che avrebbero arricchito al 60 per cento e poi lo hanno fatto. 

Anche se l’uranio arricchito – in presenza di un nuovo accordo – si può trasportare fuori dai confini, i progressi fatti in termini di know-how sono irreversibili. Per tutto questo gli occidentali non credono che Teheran stia prendendo tempo in buona fede. Stanno perdendo la pazienza ed entro novembre vogliono andare al “vedo” di questa partita di poker. Biden ha detto che i negoziati riprenderanno presto, ma è suonato come un ultimatum. Il suo consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan ha aggiunto che sono “l’unico modo per evitare una pericolosa escalation” ma “non è chiaro se gli iraniani vogliano davvero riprendere i colloqui”. 

L’inviato speciale per l’Iran Rob Malley è stato più apocalittico: “Prepariamoci all’eventualità di un mondo dove Teheran non ha vincoli al suo programma nucleare”. Mentre parlavano, sui cieli del Golfo persico andava in scena un’esercitazione congiunta con un bombardiere americano scortato da aerei caccia israeliani, egiziani e sauditi che sembrava proprio un avvertimento all’Iran.

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