AP Photo/Ben Gray 

L'elefante imbizzarrito

Trump va fermato: bisogna spezzare il suo consenso dentro al Gop

Matteo Muzio

L'ex presidente americano punta alla candidatura per il 2024, ma i repubblicani non sono tutti concordi. Tra gli avversari, la deputata del Wyoming Liz Cheney

Il Partito repubblicano è “una nave portarifiuti di corrotti, sediziosi e fiancheggiatori di questi ultimi”, e il possibile ritorno alla presidenza di Trump dopo le elezioni del 2024 è “un incubo che incombe”. Lo leggiamo in un editoriale del Washington Post pubblicato a inizio ottobre. Nulla di nuovo: è una testata antitrumpiana sin dal sottotitolo adottato nel 2017 “Democracy dies in darkness”, la democrazia muore nell’oscurità. Ma  l’autore non è un commentatore progressista come gli altri: Michael Gerson è stato il capo degli speechwriter alla Casa Bianca dal 2001 al 2006, durante la presidenza di George W. Bush, uno dei membri dell’Iraq Group, la task force dedicata a informare il pubblico sugli sviluppi dell’attacco a Saddam Hussein nel 2003 – un bushiano, un repubblicano. Gerson mostra la guerra sotterranea della cerchia dell’ex presidente Bush contro il Partito repubblicano trumpizzato. La lotta  sembrava impari, ma  sta cominciando a dare qualche frutto. I membri dell’ex Amministrazione Bush non sono un blocco monolitico. Molti hanno lavorato nell’Amministrazione Trump, mentre Matthew Dowd, stratega della campagna per la rielezione del ticket Bush-Cheney nel 2004, ha deciso di passare con i democratici, sfidando nel 2022 il vicegovernatore texano Dan Patrick, noto per le posizioni di estrema destra su immigrazione e vaccini.

 

Ma cosa pensa, George W. Bush? Si sa per certo che non ha una buona opinione di Trump. Il suo discorso  per il ventennale dell’11 settembre ha lasciato poco spazio ai dubbi: “L’estremismo di destra è una minaccia grave più del terrorismo islamico”. Nonostante questo, Bush aveva deciso di non votare per Joe Biden nel 2020 perché riteneva di poter  avere un ruolo di mediazione con un Trump che si sapeva già come piuttosto riluttante a lasciare la Casa Bianca con le buone. Adesso però dice: il Partito repubblicano va salvato, combattendo nella trincea della esponente  più in vista e più invisa al partito trumpizzato: la deputata del Wyoming Liz Cheney, che dopo aver votato per il secondo impeachment dell’ex presidente il 13 gennaio scorso, è diventata il suo principale bersaglio. Trump ha sostenuto la sua avversaria alle primarie di partito, l’avvocata Harriet Hageman, che pure aveva lavorato per lei e che sul palco della convention repubblicana del 2016 aveva definito il futuro presidente  “razzista”. Poco male, questa è politica. E sarà anche politicissimo l’evento di raccolta fondi di Dallas il 18 ottobre: assieme a Bush ci saranno anche il suo stratega Karl Rove, che durante la presidenza Trump criticava spesso le mosse del suo successore Steve Bannon definendolo “dilettante”, e l’ex senatrice Kay Bailey Hutchison, una moderata sostituita nel 2012 da Ted Cruz, le cui giravolte da oppositore a lealista di Trump sono ben note. 

 

Al momento la  raccolta fondi sta andando bene: più di un milione e mezzo di dollari nel primo trimestre del 2021, e quasi due nel secondo, e molti vedono Cheney come possibile vincitrice nel 2022 data la divisione dei suoi avversari. Qualora dovesse prevalere  si pensa che potrebbe puntare ben più in alto. Il prossimo 9 novembre viaggerà in New Hampshire, ospite di Joe McQuaid, editore del New Hampshire Union Leader, i cui endorsement in genere fanno vincere le ambite primarie presidenziali. La sua vittoria approfondirebbe le crepe del Partito repubblicano, dando forse coraggio agli oppositori nascosti dell’ex presidente: Mitch McConnell ha fatto una donazione alla Cheney e lo stesso ha fatto l’insospettabile Lindsey Graham, formalmente un trumpiano. Almeno per ora.

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