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O imperador

Roberto Marinho, con il suo Globo, ha trasformato il Brasile in una telecrazia

Stefano Cingolani

Infaticabile, il magnate brasiliano è cresciuto insieme ai suoi affari dominando anche le cronache politiche e quelle mondane. Ora il suo impero mediatico è in mano ai figli

Rey si chiama Edson Arantes do Nascimento, più comunemente conosciuto come Pelé; su questo nessuno può avere dubbi, è lui a definire nel mondo intero l’immagine classica, ma anche stereotipata, del Brasile, il regno del calcio (oltre che del samba). Pochi invece, oltre i confini del gigante latino-americano, si rendono conto che accanto al re, anzi sopra, c’è O Imperador, colui che ha riplasmato il paese trasformandolo nel maggior laboratorio della telecrazia; sì, più ancora degli Stati Uniti grazie al predominio culturale e politico che la tv ha esercitato e ancora esercita. Il suo nome è Roberto Pisani Marinho, la sua creatura si chiama Globo come il giornale e la rete televisiva, la sua tribuna Jornal Nacional in origine testata di un quotidiano diventato poi il telegiornale in prima serata, il suo capolavoro la telenovela che ha appassionato, divertito, istruito, offerto un paradigma sociale ad un paese povero che ancora oggi vive incollato al teleschermo.

 

Roberto Pisani Marinho (Wikimedia commons) 

 

Roberto è morto nel 2003 e ha lasciato l’impero mediatico ai figli, oggi il gruppo Globo viene gestito in modo meno personalistico e patrimoniale, tuttavia è ancora l’arbitro della nazione, anche di quella politica. È con lui che duella Jair Bolsonaro, è con lui che ha già fatto i conti Lula negli anni in cui ha gestito e poi perduto il potere, è con lui che entrambi dovranno confrontarsi in vista delle elezioni presidenziali l’anno prossimo. Il populista di destra contro il populista di sinistra, e in mezzo c’è Marinho. “Chi comanda davvero in Brasile?”: la prima risposta, la più diffusa, è Globo. Il gruppo vale quasi 5 miliardi di dollari e ha compiuto un balzo tecnologico; anche grazie al contributo di Accenture, la società internazionale nata dalla Arthur Andersen, è diventato un grande e moderno conglomerato mediatico, il più grande dell’intera America Latina; il 7 aprile scorso ha firmato un accordo di partnership strategica con Google; è guidato da manager di valore, ma un resta un affare di famiglia. Roberto Irineu Marinho, nato nel 1947 e padre di quattro figli, è presidente esecutivo. Ha cominciato a fare la gavetta nel quotidiano O Globo quando aveva solo 16 anni, per poi prendere in mano le redini dopo la morte del padre nel 2003. Il fratello Joao Roberto, classe 1953, ha cominciato anche lui lavorando nel giornale quando aveva 20 anni, è il numero due nella gerarchia. José Roberto, di due anni più giovane, ha studiato Storia alla Pontificia università e Geografia alla Università federale di Rio de Janeiro, ma a 17 anni il padre lo ha gettato nella mischia come reporter alla cronaca del quotidiano.

 

Nel 1992 ha fondato l’Instituto Aqua per la preservazione delle risorse idriche ed è impegnato sui temi etici e della sostenibilità, insomma guida il ramo intellettual-sociale della famiglia. I tre fratelli, secondo Forbes, hanno un patrimonio superiore ai due miliardi di dollari a testa. In tutti questi anni si sono sforzati di lucidare un blasone appannato e di ripulire il nome dai detriti di una storia drammatica nella quale il gruppo Globo e il suo fondatore hanno avuto sempre un ruolo di protagonisti. Presidenti, generali, dittatori, tutti hanno avuto bisogno di Marinho e lui ha avuto bisogno di loro. Figlio del giornalista Irineu Marinho Coelho de Barros e di Francisca Pisani Barros, Roberto Pisani Marinho era nato il 3 dicembre 1904 nel quartiere Rio di São Cristóvão. Aveva completato i suoi studi primari nelle scuole pubbliche e poi alla Escola Profissional Sousa Aguiar e Colégios Anglo-Brasileiro. La passione politica lo travolge ancor prima del giornalismo: a 18 anni prende parte al movimento tenentista composto da giovani militari (i tenentes, cioè luogotenenti) e da intellettuali, e alla rivolta del Forte di Copacabana repressa nel sangue (diciotto fuggitivi vengono uccisi sulla spiaggia). Il padre, nel 1911, aveva fondato il quotidiano A Noite e nel 1925 O Globo, dove Roberto ha cominciato la sua carriera professionale come reporter e segretario privato.

 

Il 21 agosto 1925, poco dopo la nascita del nuovo giornale, Irineu Marinho muore di infarto lasciando tutto nelle mani del giovane figlio il quale, consapevole di avere poca esperienza, decide di continuare il suo apprendistato accanto all’esperto Euclydes de Matos, nominato direttore. La grande svolta politica ed editoriale arriva nel 1930, quando Getúlio Vargas, avvocato, politico e militare, mette fine alla Prima Repubblica, prende il potere che non lascerà più fino al 1945 e lancia l’Estado Novo, regime populista e anticomunista vicino al fascismo portoghese di Salazar e per molti tratti simile al peronismo argentino. Marinho si schiera senza esitazione e mette il suo giornale a disposizione del governo; ne ottiene sostegni e riconoscimenti come quando viene nominato nel Consiglio Nazionale della Stampa che dipende dall’agenzia statale che censura i giornali. Ma Roberto Marinho non è un utile idiota o un esecutore, al contrario influenza, interferisce, sostiene una sua linea in genere più prudente rispetto a quella del dittatore dal quale si distingue nettamente quando scoppia la seconda guerra mondiale. Vargas resta neutrale occhieggiando alle potenze dell’Asse, l’editore vuole invece che il Brasile scenda apertamente al fianco degli alleati soprattutto quando gli Stati Uniti entrano in guerra. L’alleanza con gli Usa resta una costante delle sue posizioni politiche e anche dei suoi affari. Il 2 dicembre del 1944 compra la prima emittente radiofonica ed espande il gruppo mediatico. Con la sconfitta del nazismo crolla anche l’Estado Novo e Marinho schiera le sue batterie editoriali per democratizzare il Brasile.

 

Quando Vargas nel 1950 torna al potere vincendo le elezioni trova O Globo e le sue emittenti sul fronte opposto. Prima con toni moderati poi in modo sempre più energico Marinho apre i microfoni al più vivace degli oppositori, Carlos Lacerda, contrasta lo statalismo, si batte contro la creazione di Petrobras, il colosso petrolifero nazionale. La svolta liberale dura una decina d’anni, dal 1960 in poi l’editore e il suo gruppo diventano sempre più insofferenti di fronte alla instabilità politica interna e allo schieramento neutralista sullo scacchiere internazionale. Finché nel 1964 non appoggia apertamente il golpe del maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco. Il regime, chiamato la dittatura dei Gorillas, durerà 21 anni durante i quali il gruppo Globo diventa sempre più grande e potente. Nel 1965 nasce la rete televisiva, grazie anche a due accordi con Time-Life, uno per l’assistenza tecnica e l’altro per una joint venture, che sarebbe stata la base per la produzione dei programmi. Il gruppo americano fornisce capitali ed expertise, in cambio prende il 49 per cento dell’azienda brasiliana che decolla sempre più non solo per le notizie diffuse in quasi tutto l’immenso paese, ma grazie a una innovazione che la renderà famosa in tutto il mondo: le telenovelas. Il modello è la situation comedy statunitense, i contenuti sono da cima a fondo basiliani. Il ritmo e la cadenza delle trasmissioni renderanno la rete di Marinho protagonista assoluta delle serate in casa, da Rio a Sao Paulo o a Recife, fino alle città dell’interno.

 

Le telenovelas della Rede Globo sono di quattro tipi: delle sei pomeridiane, delle sette, delle nove e delle undici. Quelle delle sei vengono trasmesse quotidianamente, esclusa la domenica; durano 50 minuti per puntata, hanno una trama semplice che non richiede molta attenzione da parte dei telespettatori e spesso sono d’epoca. Le telenovelas delle sette, anch’esse a cadenza quotidiana tranne la domenica, durano un’ora con soggetti più leggeri e comici adatti anche al pubblico dei bambini. Più lunghe quelle delle 21 che cominciano dopo il telegiornale, il Jornal Nacional, vera bandiera della rete. Hanno una trama drammatica, complessa e impegnativa, abbondano le storie d’amore, ma anche tematiche sociali, durano un’ora e dieci e fanno da ponte alle telenovelas delle undici, spesso si tratta di remake e sono vietate ai minori di 14 anni, hanno ascolti bassi e vengono intervallate da miniserie che durano meno delle canoniche 60 puntate. Le telenovelas sono diventate un successo internazionale ed esportate, soprattutto negli anni ’80, ovunque anche in Italia dove Roberto Marinho è sbarcato comprando Telemontecarlo nel 1985 e rivendendola nel 1993 (dopo una serie di passaggi la rete televisiva diventerà La7).

 

Infaticabile, il magnate brasiliano è cresciuto insieme ai suoi affari dominando anche le cronache mondane. Cattolicissimo e conservatore, acerrimo nemico della teologia della liberazione, ha avuto tre mogli, ma ogni volta dedicava le proprie energie al lavoro e alla famiglia, senza trascurare anche una serie di passioni (tutte lecite e in sintonia con i costumi nazionali): pesca subacquea in apnea (l’ultima immersione quando aveva ottant’anni), ippica, automobilismo, collezionismo artistico a cominciare dalle opere del suo amico Candido Portinari, il più importante pittore brasiliano. Il sostegno di Marinho al regime militare è durato a lungo e resta una macchia difficile da cancellare. Un documentario britannico intitolato Beyond Citizen Kane ha colpito duramente l’immagine dell’editore e la reputazione del gruppo Globo, che ha fatto ricorso anche in tribunale per impedire l’uscita e la proiezione in Brasile del film. Ma dopo il decollo di internet, è diventato virale: sulla rete digitale le impronte s’imprimono a lungo nel bene e nel male ed è difficile, spesso impossibile, cancellarle. Nel 2013, Globo ha riconosciuto, attraverso un testo pubblicato sul proprio sito web, che sostenere il golpe è stato un errore. Marinho, il suo giornale, la sua tv sono rimasti i king maker della politica brasiliana. Con la fine della dittatura militare è arrivata una nuova svolta al centro culminata nel 1989 con il sostegno a Fernando Collor de Mello contro Lula.

 

Il dibattito televisivo tra i due candidati è stato determinante nel decidere il risultato, ancor più dopo che nell’ultimo Jornal Nacional prima del voto l’emittente ha presentato un’edizione del dibattito favorevole a Collor, secondo le accuse dello sfidante di sinistra. Nel 1994 e nel 1998 Marinho ha sostenuto le campagne di Fernando Henrique Cardoso, il presidente che farà compiere un salto di qualità al Brasile sul piano economico e politico. L’ex sindacalista Luiz Inácio da Silva, detto Lula, è sempre rimasto nel mirino del gruppo Globo, sarà interessante capire cosa sceglierà l’anno prossimo se, come sembra, lo scontro sarà a due tra Lula e Bolsonaro, entrambi fieri avversari dei Marinho. Il Brasile è in ginocchio, piegato dal Covid e in particolare dalla variante Manaus, dal negazionismo del presidente, da una fallimentare gestione della pandemia che corona una catastrofica amministrazione scriteriata ancor più che populista. Il consenso di Bolsonaro vacilla nelle aree metropolitane, tra i militari (soprattutto dopo il licenziamento del ministro della Difesa nel marzo scorso perché non più disponibile ad avallare il negazionismo di regime), nella stessa chiesa cattolica (la conferenza episcopale ha preso le distanze), ma nelle aree agricole, nelle enormi distese dell’interno (el interiorzao, come viene chiamato il Brasile profondo), là dove dominano le piantagioni di soia per il mercato cinese, o di caffè per quello occidentale, gli allevamenti di bestiame e le miniere, il presidente è ancora El Messias.

 

Si ripropone in Brasile il conflitto tra città e campagna, tra élite e masse impoverite, che già aveva dominato le precedenti elezioni e che ormai caratterizza lo scontro politico in occidente, dagli Stati Uniti all’Europa. Il gruppo Globo fa parte più di ogni altro della classe dirigente, anzi per lungo tempo ha contribuito alla sua formazione, così come alla diffusione della cultura popolare. Anche per i Marinho, dunque, il 2022 sarà una cartina di tornasole. La televisione resta fondamentale nel decidere le sorti politiche, nonostante la diffusione dei social media soprattutto nelle città. Nella sua intervista al Jornal Nacional durante le precedenti elezioni, Bolsonaro conquistò parecchi punti quando, dopo aver apprezzato la dittatura militare del ventennio 1964-1985, chiese brutalmente: “E allora Roberto Marinho era un dittatore o un democratico?”. Inutile, anzi persino controproducente precisare che il gruppo Globo aveva riconosciuto i propri errori. Quanto al Partido dos Trabalhadores di Lula, non ha mai mandato giù che l’impeachment di Dilma Rousseff sia stato spinto dal Globo. È vero che il giornale ha contribuito a far cadere anche il successore Michel Temer, accusato di corruzione, ma per Lula e il suo partito (accreditato dai sondaggi di consensi superiori al 40 per cento) i Marinho sono nemici di lungo corso. “Noi non abbiamo mai preso parte per nessun candidato e seguiremo questa linea anche l’anno prossimo”, dice Frederic Kachar direttore della divisione che si occupa d’informazione, ma l’opinione comune a destra come a sinistra la pensa diversamente.

 

Così, tutti attaccheranno il gruppo Globo e tutti faranno a gara per conquistare spazi nelle due reti e consensi tra gli elettori. Bolsonaro usa bastone e carota, soprattutto è legato ai pentacostali della Igreja Universal do Reino de Deus (Iurd), vicina al Partido Republicano e proprietaria del gruppo Record, che possiede la rete televisiva Universal, seconda del paese e nemica giurata di Tv Globo. Edir Macedo, leader della Iurd, ha battezzato Bolsonaro al suo culto nel settembre 2019. Molti sostengono che la setta pensa soprattutto ai propri interessi, quindi è pronta a scaricare l’attuale presidente se Lula si afferma con un convincente risultato. Anche il Pt ha un atteggiamento pragmatico e non si mette di punta contro la Iurd. In ogni caso nel regno della telecrazia lo scontro tra Record e Universal è uno spettacolo nello spettacolo. Televisione contro televisione, come ai vecchi tempi; i persuasori occulti diventano palesi, Vance Packard e Umberto Eco sorridono dall’aldilà. I precedenti articoli della serie Editori, su Rupert Murdoch, Axel Springer, la famiglia Sulzberger, i Lagardèr, Shoriki Matsutaro e Jeff Bezos sono disponibili sul foglio.it

 

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