(foto Ap)

l'analisi

Le due visioni (e ambizioni) di Italia e Francia sul trattato bilaterale

Jean-Pierre Darnis

Il governo italiano preferisce un rapporto basato su progetti e iniziative settoriali. Mentre i transalpini insistono sull'adozione di meccanismi che possano creare un quadro stabile di governabilità

Oggi a Parigi sventolavano le bandiere italiane mentre Sergio Mattarella si recava dagli Invalides fino all’Eliseo, preceduto dal reggimento a cavallo della guardia repubblicana che apriva la strada a suon di trombe e di tamburi.  Questo viaggio mette in evidenza il successo dell’azione diplomatica del presidente Mattarella. Nel 2019 i rapporti con la Francia erano talmente in crisi che Parigi aveva richiamato l’ambasciatore Christian Masset per consultazioni. L’anniversario della morte di Leonardo da Vinci nel maggio del 2019 aveva fornito l’occasione per un viaggio di Mattarella al castello di Chambord. Con il secondo governo Conte abbiamo assistito a una normalizzazione dei rapporti bilaterali, sancita poi dal vertice di Napoli di febbraio 2020. La svolta vera è  poi avvenuta con l’adozione del piano per la ripresa dell’Ue, segno di convergenza fra Italia e Francia.

Questo rilancio ha fatto molto per mettere da parte non soltanto un sentimento antifrancese che era cresciuto nei decenni precedenti, ma anche le rivisitazioni in chiave nazional-geopolitica del posizionamento internazionale dell’Italia. Il momento attuale rappresenta un periodo positivo per le relazioni fra Italia e Francia.  L’intensità dei problemi è stata tale che nel 2017 è stata proposta l’adozione di un trattato bilaterale per stabilizzare e dare prospettiva ai rapporti tra le due nazioni. Il progetto, tramontato con il primo governo Conte, è stato poi rilanciato nel 2020. Oggi –  il salto di qualità corrisponde all’arrivo di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio –  l’Italia apre la strada a una firma del trattato bilaterale. 

Tutto bene, ma bisogna stare attenti a qualche diavolo nei dettagli. Le diplomazie italiane e francesi che lavorano attualmente sul testo del trattato hanno visioni diverse. La Francia, istruita dall’esperienza del rapporto franco-tedesco, insiste sull’adozione di meccanismi istituzionali che possano creare un quadro stabile di governabilità del rapporto (consigli dei ministri comuni, commissioni ministeriali ad hoc, sessioni comuni dei parlamenti, scambio strutturale di alti dirigenti della pubblica amministrazione). L’Italia preferisce un rapporto basato sui progetti e su iniziative settoriali. Un rapporto bilaterale rinforzato nel contesto europeo rappresenta una novità per la diplomazia italiana che non sembra però né al suo aggio con questo modello, né consapevole dell’efficienza dei meccanismi franco-tedeschi. Sono due approcci complementari che possono entrambi trovare spazio nel trattato ma ci possiamo anche interrogare su alcuni limiti del processo. Nel 2017 la scrittura del trattato era nelle mani di una commissione mista italo-francese con membri di grande competenza e cultura, e quindi non prigionieri dalle rispettive culture amministrative del Quai d’Orsay o della Farnesina. Bisognerebbe recuperare l’idea iniziale di scambio e di fertile compromesso per evitare l’attuale pericolo della ristrettezza del confronto tecnico amministrativo. In questo contesto si deve fare sentire la volontà politica dei governi e dei capi di stato che, dato il riavvicinamento, debbono anche trasmettere la forza di questa visione a un’amministrazione che non può essere altro che l’esecutore di un disegno politico, e non la fonte di quel disegno.

La Francia sa bene quanto sono preziosi i meccanismi istituzionali che permettono cinghie di trasmissioni permanenti fra Berlino e Parigi, due paesi divergenti da un punto di vista politico e amministrativo. Anche se la storia ci insegna l’importanza dell’influenza francese nella costituzione della struttura amministrativa italiana, non bisogna sottovalutare le differenze fra il sistema  italiano e francese e quindi l’utilità di meccanismi paragonabili a quelli franco-tedeschi che hanno una comprovata efficacia, anche nella capacità di produrre confronti e convergenze nel contesto europeo. Tali sono stati gli screzi fra Parigi e Roma negli ultimi decenni che meccanismi permanenti di confronto a livelli politici e amministrativi sembrano più che auspicabili, e determinano anche un ulteriore potenziale di promozione dei propri interessi. D’altro canto, la volontà di inscrivere la cooperazione bilaterale in una serie di progetti e settori trainanti rappresenta certamente un segno di concretezza ma anche di buona comunicazione verso l’opinione pubblica. Entrambe le diplomazie hanno oggi approcci che rappresentano un pezzo fondamentale del puzzle e  l’eccellente clima politico bilaterale, espresso dalla visita di Sergio Mattarella a Parigi, ma anche dell’attuale collaborazione fra capi di governo e ministri, può   condurre a un compromesso al rialzo che faccia tesoro del lavoro delle diplomazie e integri sia la visione italiana sia quella francese, per beneficiare sia dello slancio fondamentale dei progetti che della bontà dei meccanismi istituzionali.

Di più su questi argomenti: