Una mostra che commemora il passaggio di consegne di Hong Kong nel 1997 presso il Museo del Partito Comunista Cinese (Foto AP/Mark Schiefelbein) 

editoriali

La triste ammissione vaticana sulla Cina

Redazione

“Preoccupati, ma una parola nostra su Hong Kong non cambierebbe nulla”

Per la prima volta in questo pontificato, la Santa Sede ha espresso pubblicamente “preoccupazione” per quanto sta accadendo a Hong Kong, tra giornali chiusi e pressione del governo cinese sempre più evidente. Non era scontato, anche perché mai dal Vaticano era stato detto alcunché nei mesi caldi delle rivolte, quando centinaia di giovani scendevano in piazza per difendere l’autonomia della città ex colonia britannica dalle mire di Pechino.

 

Nel corso della conferenza stampa organizzata per presentare la Giornata di riflessione e di preghiera per il Libano (1° luglio), mons. Paul Richard Gallagher, rappresentante per i Rapporti con gli stati, rispondendo a una domanda sulla differenza che c’è per la Santa Sede tra la situazione di Hong Kong e quella libanese, ha detto: “Abbiamo l'impressione che in Libano possiamo dare un contributo positivo. Nel caso di Hong Kong, no. La questione ci preoccupa. Alla stampa internazionale piacerebbe una parola nostra su Hong Kong, ma  – come sostengono  alcuni dei miei colleghi – non cambierebbe nulla. E’ una situazione molto diversa”.

 

Due sono gli elementi rilevanti delle parole di mons. Gallagher. Innanzitutto, il fatto che la Santa Sede esprime per la prima volta una posizione su quanto accade in estremo oriente. In secondo luogo, ed è forse l’elemento che merita più attenzione, viene manifestata la consapevolezza che ogni parola di condanna (o di biasimo) in relazione alle aggressive politiche cinesi sarebbero inutili, se non controproducenti. Una constatazione che aiuta e non poco a fare luce anche sul contesto in cui è nato l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi: non è un’intesa tra pari, c’è un peso massimo (la Cina) e un peso piuma (la Santa Sede) che è costretto a fare buon viso a cattivo gioco. Ben consapevole della propria situazione, esposta ai cambi d’umore di Xi Jinping e del Politburo.  

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