(Lapresse)

Mine Vaganti/2

Essere solo contro tutti non dovrebbe essere un merito

David Carretta

Tutte le volte che l’Ungheria s’è messa di traverso in Ue. L’idea di una politica estera a 26

Lunedì, prima dell’inizio del Consiglio europeo, si respirava una certa tensione tra i capi di stato e di governo dell’Ue. L’interrogativo di funzionari e diplomatici era questo: Viktor Orbán avrebbe dato il suo assenso alle nuove sanzioni contro la Bielorussia per il dirottamento del volo Ryanair, dopo che nel giugno del 2020 aveva incontrato Aleksandr Lukashenka e chiesto la fine delle misure restrittive? Prima del Consiglio europeo, il premier ungherese aveva pubblicato un video-messaggio su Facebook parlando di Russia, clima e Covid-19. Non una parola sulla Bielorussia. Alla fine gli altri 26 leader hanno tirato un sospiro di sollievo. Orbán non ha messo il veto e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha potuto annunciare la quarantena aerea della Bielorussia. Ma l’episodio rivela quanto Orbán sia diventato destabilizzante per la politica estera dell’Ue.

 
Con il suo potere di veto l’Ungheria ha bloccato due dichiarazioni dell’Ue su Hong Kong in meno di un mese, ha impedito ai ministri degli Esteri di adottare conclusioni su Israele e Hamas e ha annacquato le prese di posizioni sulla Russia. La scorsa settimana Budapest ha annunciato il veto sull’accordo cosiddetto “post Cotonou”. Ogni documento in cui vengono evocati parità di genere e diritti Lgbt è oggetto di interminabili negoziati. “Abbiamo molti problemi con l’Ungheria e un problema Ungheria”, ammette al Foglio un alto dirigente dell’Ue. Venerdì, quando Orbán sarà ricevuto da Boris Johnson a Downing Street, potrebbe aprirsene un altro nell’era post Brexit. 
 

Tutti i veti di Viktor Orbán in Europa

 

L’Ungheria rappresenta un problema interno per l’Ue da quando Viktor Orbán è tornato al potere nel maggio del 2010 per le violazioni a stato di diritto e democrazia. Ma da un paio d’anni il problema per l’Ue è diventato anche esterno. Decisione dopo decisione l’Ungheria obietta, si mette di traverso e spesso ricorre al veto, paralizzando la politica estera dell’Ue. “Ci mettiamo costantemente d’accordo su questioni internazionali molto importanti a 26, ma non siamo in grado di raggiungere un’intesa a 27”, spiega al Foglio un ambasciatore: l’atteggiamento dell’Ungheria “è contro lo spirito dell’Unione”.

 

Dal Global Compact for Migration dell’Onu nel 2018 è stata un’escalation. L’Ue fatica a presentare le sue posizioni all’Onu. L’alleanza dell’Ungheria con Russia e Cina va  oltre i vaccini. Il ministero degli Esteri di Budapest blocca regolarmente le dichiarazioni che considera troppo dure dell’Alto rappresentante, Josep Borrell, contro Mosca e Pechino. Il veto sull’accordo “post Cotonou” è stato l’ultima sorpresa. L’intesa raggiunta regola i rapporti dell’Ue con 79 paesi terzi (16 nei Caraibi, 48 in Africa e 15 nel Pacifico), fornendo la base giuridica per la cooperazione  e gli aiuti allo sviluppo alle ex colonie. La nuova versione di Cotonou mette l’accento sui cambiamenti climatici, la crescita sostenibile, la democrazia e i diritti, ma anche su migrazione e mobilità. Budapest contesta alcuni passaggi sulle migrazioni legali, nonostante ci siano disposizioni per facilitare i rimpatri.

“Una volta quando eri isolato al Consiglio uscivi e ti chiedevi perché eri isolato. Ora è diventata una questione di cui essere fieri e puoi venderlo politicamente a casa”, spiega sconsolato un funzionario dell’Ue. Il Servizio europeo di azione esterna diretto da Borrell cerca di correre ai ripari con formule più costruttive come l’astensione e le dichiarazioni a 26 stati membri. E’ accaduto con il medio oriente per il veto di Orbán alla richiesta di cessate il fuoco. Con la politica estera che funziona all’unanimità, il rischio per l’Ue è di essere percepita come divisa. Ma alcuni iniziano a pensare che l’unica risposta ai veti di Orbán sia di mostrare quanto sia isolato con una politica estera a 26.