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DOPO LA BREXIT

Turing contro Erasmus

Cristina Marconi

L’idea di Johnson per rimpiazzare il programma Ue per gli studenti è una bella promessa con un po’ di difetti

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Basta Grand Tour, basta Erasmus, da adesso i britannici in giro per il mondo faranno il Turing. Visto che l’Erasmus costava troppo e manteneva quella spiacevole patina europea che di questi tempi a Londra si porta poco, Boris Johnson ha preferito aggiungere un po’ di panache alla rinuncia a un programma in cui in passato aveva promesso di voler restare, inaugurando fin da subito un nuovo “brand” della Global Britain: uno schema che darà “agli studenti la possibilità di andare non solo nelle università europee ma anche nelle migliori università del mondo”. Costerà più di 100 milioni di sterline per il 2021-22 e permetterà, nelle intenzioni del ministero per l’Istruzione, a 35 mila studenti all’anno di andare a studiare all’estero per dodici mesi da settembre prossimo. Negli anni accademici successivi i fondi verranno decisi durante la spending review, ma il ministro dell’Istruzione Gavin Williamson ha garantito, con lessico molto “brexiteer”, che Turing rappresenta senz’altro un “uso migliore dei soldi dei contribuenti” rispetto ai 200 milioni di sterline di Erasmus. La scelta del nome è brillante: Alan Turing è il matematico che contribuì a decriptare le comunicazioni tedesche durante la Seconda guerra mondiale a Bletchley Park, una figura mitica dalla vita tragica – accettò la castrazione chimica invece del carcere come condanna per la sua omosessualità – perdonato ufficialmente solo nel 2009 e interpretato da Benedict Cumberbatch in un bel film di qualche anno fa.

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Basta Grand Tour, basta Erasmus, da adesso i britannici in giro per il mondo faranno il Turing. Visto che l’Erasmus costava troppo e manteneva quella spiacevole patina europea che di questi tempi a Londra si porta poco, Boris Johnson ha preferito aggiungere un po’ di panache alla rinuncia a un programma in cui in passato aveva promesso di voler restare, inaugurando fin da subito un nuovo “brand” della Global Britain: uno schema che darà “agli studenti la possibilità di andare non solo nelle università europee ma anche nelle migliori università del mondo”. Costerà più di 100 milioni di sterline per il 2021-22 e permetterà, nelle intenzioni del ministero per l’Istruzione, a 35 mila studenti all’anno di andare a studiare all’estero per dodici mesi da settembre prossimo. Negli anni accademici successivi i fondi verranno decisi durante la spending review, ma il ministro dell’Istruzione Gavin Williamson ha garantito, con lessico molto “brexiteer”, che Turing rappresenta senz’altro un “uso migliore dei soldi dei contribuenti” rispetto ai 200 milioni di sterline di Erasmus. La scelta del nome è brillante: Alan Turing è il matematico che contribuì a decriptare le comunicazioni tedesche durante la Seconda guerra mondiale a Bletchley Park, una figura mitica dalla vita tragica – accettò la castrazione chimica invece del carcere come condanna per la sua omosessualità – perdonato ufficialmente solo nel 2009 e interpretato da Benedict Cumberbatch in un bel film di qualche anno fa.

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D’altra parte per sostituire l’Erasmus nell’immaginario collettivo ci vogliono molti sforzi, il Regno Unito ne è parte dal 1987 e sebbene in generale accolga più studenti di quelli che manda in giro – 31.727 contro 16.562 nel 2017 – questa circolazione è tutta a vantaggio delle sue università, dove le menti migliori spesso si trattengono con grande beneficio per tutti, soprattutto per il soft power britannico. “Gli scambi di studenti in arrivo hanno dato all’economia britannica un contributo da 440 milioni di sterline nel 2018 e ci sono reali timori che ci sarà un calo al di fuori dello schema Erasmus” ha spiegato Vivienne Stern, direttore della Universities UK International, che rappresenta gli atenei inglesi all’estero. Secondo Stern il Turing è comunque “uno sviluppo straordinario” – bene che l’Erasmus abolito sia stato almeno sostituito – ma rimane un problema, ossia come finanziare la presenza di studenti internazionali nel Regno Unito, perché Turing penserà solo ai britannici all’estero, ma le università del paese si sono sempre nutrite della linfa di un sistema di scambi che rischia, per vari motivi, di venire meno. Fino a ora i 150 mila studenti europei nel paese – ma nell’anno del Covid il numero è già calato – hanno sempre pagato come i britannici, ossia 10 mila euro circa in Inghilterra, e chiunque arrivi prima del 31 dicembre continuerà a farlo, a condizione che sia in regola. Nel 2021 chi sta più di sei mesi deve avere un visto studentesco da 380 euro e tra i 10 e i 13 mila euro nel conto in banca, oltre a versare 500 euro all’anno per usare il servizio sanitario. Chi arriva dopo agosto 2021 paga come gli studenti del resto del mondo, tra i 13 mila e i 33 mila euro l’anno, senza possibilità di prestiti dal governo britannico e senza contare il vitto e l’alloggio.

 

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Arriveranno quindi gli studenti più ricchi, ma non i più bravi come avvenuto più o meno fino ad ora, e soprattutto gli scambi rischiano di essere diretti verso paesi anglofoni dalla cultura affine, lasciando la cultura europea solo alla portata dell’élite. E infatti la componente sociale è in cima alle preoccupazioni del governo: i giovani britannici di classe media viaggiano molto, spesso prendono un anno prima dell’università, il famoso gap year, per viaggiare o lavorare in giro per il mondo, mentre chi non ha i mezzi non lo fa, con conseguenze visibili per tutti, a partire da una classe dirigente dalla provenienza sociale ben poco diversificata, incapace di capire il punto di vista di classi sociali diverse. Dal 2014 dell’Erasmus hanno beneficiato 128 mila britannici, per un costo di 1 miliardo di sterline, e l’uscita dal programma è vista come “vandalismo culturale”, per usare le parole di Nicola Sturgeon, la leader scozzese sempre più indipendente, da una generazione che non ha voluto la Brexit. Gli irlandesi del Nord continueranno a esserci grazie all’Irlanda, a riprova delle nuove geografie di questi tempi. Poi c’è un problema, sempre lo stesso: per un paese uscito dalla Ue in nome della lotta alla burocrazia, è un curioso destino quello di ritrovarsi a moltiplicarla. Ma se vuole guardare al futuro, il Regno Unito fa bene a puntare su iniziative nuove. A condizione che il Turing emerga rispetto alla marea di promesse non mantenute dal governo Johnson.

 

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