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editoriali

Le lame dei colonnelli egiziani

redazione

Le testimonianze su Regeni spazzano via i complottismi  sul suo omicidio

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"Ho lavorato per quindici anni nella sede della National Security (l’Agenzia di intelligence interna) egiziana dove Giulio è stato ucciso”, ha raccontato uno dei cinque testimoni sentiti dai magistrati di Roma nell’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. “E’ una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c’è la stanza 13, dove vengono portati gli stranieri sospettati di aver tramato contro la sicurezza”.

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"Ho lavorato per quindici anni nella sede della National Security (l’Agenzia di intelligence interna) egiziana dove Giulio è stato ucciso”, ha raccontato uno dei cinque testimoni sentiti dai magistrati di Roma nell’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. “E’ una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c’è la stanza 13, dove vengono portati gli stranieri sospettati di aver tramato contro la sicurezza”.

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Il palazzo si chiama Lazoughly, per nove giorni Giulio Regeni è stato torturato con lame e bastoni fino alla morte, quando un testimone lo ha incontrato era a torso nudo, magrissimo, ammanettato, con la schiena piena di segni: erano gli ultimi giorni. La Procura di Roma ieri ha chiuso l’inchiesta sull’assassinio di Regeni, ha richiesto il processo per quattro membri dei servizi segreti egiziani, le accuse variano dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e in lesioni personali aggravate. La testimonianza che apre questo editoriale è stata raccontata ieri dai pm di Roma e spazza via molte cose.

 

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A cominciare dalle teorie del complotto che in questi anni sono circolate a proposito della morte di Regeni, che da alcuni è stata raccontata come una faida fra le intelligence egiziane, si diceva che fossero stati i militari a uccidere il ricercatore per poi addossare la colpa alla Sicurezza nazionale: ma Regeni è sempre stato nelle mani della Sicurezza nazionale. Spazza via anche tutte le premure e le delicatezze che finora abbiamo usato verso l’Egitto, per paura di creare una crisi: non sarà l’incriminazione di un generale e tre colonnelli a indebolire un paese da ottanta milioni di persone, è una tesi ridicola. Dovrebbe spazzare via anche l’indifferenza del governo italiano, che in teoria dovrebbe essere molto idealista e trasparente – è formato da grillini e sinistra – e invece non alza  la voce. Si vede che ci arrabbiamo soltanto quando all’estero prendono in giro la pizza.
  

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