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Editoriali

I passi di Orbán verso la exit

Redazione

Varsavia tentenna sul veto, Budapest no e scrive al Ppe per un’uscita unilaterale

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Ieri Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki si sono incontrati di nuovo a Varsavia, dopo che la presidenza tedesca dell’Unione europea aveva lanciato un ultimatum per il loro veto sullo stato di diritto. Gli altri 25 stati membri sono pronti a istituire un Recovery fund senza Ungheria e Polonia, se i due non accetteranno il meccanismo di condizionalità che permette di tagliare i fondi comunitari ai paesi che violano princìpi come l’indipendenza della giustizia. Alla riunione ha partecipato anche il padrone del governo polacco, il leader del partito Legge e giustizia (PiS) e vicepremier Jaroslaw Kaczynski.

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Ieri Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki si sono incontrati di nuovo a Varsavia, dopo che la presidenza tedesca dell’Unione europea aveva lanciato un ultimatum per il loro veto sullo stato di diritto. Gli altri 25 stati membri sono pronti a istituire un Recovery fund senza Ungheria e Polonia, se i due non accetteranno il meccanismo di condizionalità che permette di tagliare i fondi comunitari ai paesi che violano princìpi come l’indipendenza della giustizia. Alla riunione ha partecipato anche il padrone del governo polacco, il leader del partito Legge e giustizia (PiS) e vicepremier Jaroslaw Kaczynski.

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Il fronte del veto continua a scricchiolare. Innanzitutto dentro il governo polacco, dove si scontrano falchi e colombe di fronte alla prospettiva di perdere 27 miliardi di euro del Recovery fund e di subire un netto taglio dei fondi della coesione a causa della mancanza di un accordo sul bilancio 2021-27 dell’Ue. Ma anche l’alleanza tra Varsavia e Budapest non appare così solida. Morawiecki ha rilasciato interviste a vari giornali europei dicendosi convinto che si possano trovare “soluzioni”. Orbán ha invece scelto di scrivere al presidente del gruppo del Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber, per proporgli una soluzione a un altro problema: la permanenza del suo Fidesz nella famiglia cristiano-democratica. La formazione di Orbán è sospesa dal partito del Ppe, ma i suoi deputati siedono a pieno titolo nel gruppo parlamentare. Il premier ungherese propone di uscire dal gruppo del Ppe, salvo restarvi associato sulla base del modello che era stato usato per i Tory britannici prima che David Cameron decidesse di andarsene nel 2009. Orbán probabilmente vuole anticipare l’espulsione di Fidesz con un’uscita unilaterale. Ma il suo gesto conferma un trend che alla fine potrebbe portare l’Ungheria a seguire il Regno Unito sulla strada della exit dall’Ue, di cui Orbán non condivide più valori e regole. Tocca ai cittadini ungheresi fermarlo. Il resto dell’Ue ha il dovere di sostenerli.

 

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