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editoriali

Polonia e Ungheria insistono

redazione

Il veto di Orbán e Morawiecki è una battaglia per la loro sopravvivenza

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Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki hanno confermato il veto al bilancio 2021-27 dell’Unione europea e al Recovery fund perché si oppongono all’introduzione di un meccanismo di condizionalità sul rispetto dello stato di diritto. Dopo un incontro a Budapest, i premier di Ungheria e Polonia hanno firmato una dichiarazione comune per dire che lo stato di diretto viene “degradato” a “strumento politico”, che la condizionalità “aggira il trattato” e che serve “una modifica sostanziale” del meccanismo per tagliare i fondi a chi non rispetta princìpi base come l’indipendenza della giustizia. La loro controproposta è andare avanti con bilancio e Recovery fund senza stato di diritto. Per legare le due cose – hanno detto Orbán e Morawiecki – serve una modifica dei trattati. Non è bastata una lettera di Ursula von der Leyen per spiegare che il regolamento prevede un freno di emergenza politico e un ricorso giurisdizionale: un paese colpito da sanzioni può chiedere l’intervento del Consiglio europeo o fare ricorso davanti alla Corte di giustizia dell’Ue se ritiene che la Commissione abbia abusato dei suoi poteri. I populisti se ne infischiano dei tecnicismi.

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Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki hanno confermato il veto al bilancio 2021-27 dell’Unione europea e al Recovery fund perché si oppongono all’introduzione di un meccanismo di condizionalità sul rispetto dello stato di diritto. Dopo un incontro a Budapest, i premier di Ungheria e Polonia hanno firmato una dichiarazione comune per dire che lo stato di diretto viene “degradato” a “strumento politico”, che la condizionalità “aggira il trattato” e che serve “una modifica sostanziale” del meccanismo per tagliare i fondi a chi non rispetta princìpi base come l’indipendenza della giustizia. La loro controproposta è andare avanti con bilancio e Recovery fund senza stato di diritto. Per legare le due cose – hanno detto Orbán e Morawiecki – serve una modifica dei trattati. Non è bastata una lettera di Ursula von der Leyen per spiegare che il regolamento prevede un freno di emergenza politico e un ricorso giurisdizionale: un paese colpito da sanzioni può chiedere l’intervento del Consiglio europeo o fare ricorso davanti alla Corte di giustizia dell’Ue se ritiene che la Commissione abbia abusato dei suoi poteri. I populisti se ne infischiano dei tecnicismi.

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Quella di Orbán e Morawiecki è una battaglia ideologica contro le fondamenta delle democrazie liberali. Ma la loro è anche una battaglia per la sopravvivenza. Involontariamente lo ha ammesso Orbán in una recente intervista, quando ha raccontato di aver detto a Merkel questa frase: “Quello che mi chiedi di fare, Angela, è il suicidio”. I fondi dell’Ue servono ad alimentare le loro clientele. Una decisione di Bruxelles di chiudere i rubinetti minerebbe le basi su cui si reggono i loro regimi. Ma dipendere dai fondi europei è anche la loro debolezza. Per questo occorre rispondere con gli stessi metodi. Gli altri 25 possono fare un Recovery fund senza Ungheria e Polonia. Il tempo di metterlo in piedi e di fronte alla prospettiva di perdere 7,5 e 27 miliardi, Orbán e Morawiecki rinunceranno al veto.

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