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Editoriali

Ostaggi di Malta

Redazione

L’inerzia degli stati sull’immigrazione non può pesare sui privati, ong o mercantili

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Dal 5 agosto scorso, cioè da oltre un mese, la petroliera battente bandiera danese Maersk Etienne è ostaggio di Malta. Il motivo è sempre lo stesso: il capitano ha avuto la scellerata idea di rispettare quanto previsto dal diritto internazionale e ha tratto in salvo 27 migranti, tra cui un bambino e una donna incinta. Da allora, la nave è alla fonda, bloccata dalle autorità della Valletta senza ricevere l’autorizzazione allo sbarco. Inutile dire che una petroliera non è il posto più adatto a prestare assistenza sanitaria a dei naufraghi. Il 6 settembre, tre migranti, esausti, si sono gettati in acqua prima di essere riportati a bordo. Innumerevoli le richieste d’aiuto rivolte dal capitano della nave, Volodymyr Yeroshkin, e dalla Maersk – leader mondiale del settore shipping –, che da settimane chiede che l’Europa si accorga di ciò che succede a poche miglia da un paese membro dell’Ue.

A coordinare le operazioni di salvataggio, lo scorso 4 agosto, era stata proprio Malta, che però ha poi detto di non essere competente ad accogliere i migranti a bordo del mercantile. Secondo il premier Robert Abela, i naufraghi dovrebbero essere dirottati nientemeno che in Danimarca, dove è registrata la nave. E sarebbe meglio sorvolare sulla surreale replica danese: allora no, facciamo che è la Tunisia a essere competente, è stata la controproposta di Copenaghen.

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Dal canto suo, Abela non ha mai mancato di dimostrare una certa fascinazione per le creative tesi salviniane - - – quelle del “vadano in Germania”, se non addirittura “vadano in Olanda” –, tutte in barba a leggi che, nell’attesa di essere modificate, sono ancora vigenti. Ma stavolta, oltre alla situazione sanitaria dei migranti (e dell’equipaggio) costretti a bordo, si sta superando anche la logica. Solo quest’anno è la terza volta che una nave mercantile è bloccata al largo di un paese dell’Ue dopo avere salvato dei naufraghi. I danni economici sono enormi, quelli umanitari ancora maggiori. Sarebbe ora però di chiarire un equivoco di fondo: non possono essere i privati – siano essi ong o mercantili – a sostituirsi agli stati nella gestione delle frontiere. L’inerzia della politica migratoria dell’Europa non può pesare né sui migranti né sui cittadini europei.

 

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