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Il figlio strappa la maschera al padre, con cattiveria. La guerra degli Enthoven

Mauro Zanon

“E’ un libro atroce per quelli che come me e altre persone hanno adorato Raphaël, e si ritrovano immersi in un oceano di ingratitudine”. Il libro di Raphael e l’infanzia infernale

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Parigi. Era in programma a gennaio il suo libro su Albert Camus, incentrato sull’opposizione tra la rivolta camusiana e quella dei gilet gialli. Ma quando Muriel Beyer, direttrice delle Éditions de l’Observatoire, ha letto le prime trenta pagine dell’altro manoscritto che giaceva sulla scrivania della sua casa di Montparnasse, gli ha sussurrato queste parole: “Dimentica Camus”. “Le temps gagné” (Éditions de l’Observatoire) di Raphaël Enthoven è il romanzo evento della rentrée letteraria francese, cinquecentoventotto pagine che sanno di zolfo e nelle quali il filosofo più dandy di Francia racconta senza freni né indulgenza la sua vita di ragazzo ferito della buona borghesia parigina, cresciuto tra Montparnasse e l’Odeon, tra l’Henri IV e la Normale Sup’, figlio di una pianista e critica d’arte e di un padre grande editore e letterato, convinto di avergli offerto un’infanzia meravigliosa, e che Raph, invece, ha vissuto come un “inferno”. “Non è un regolamento di conti”, dice lui, è peggio, assicura l’Obs: “E’ un massacro”, dove nessuno viene risparmiato, tranne una, Carla Bruni, facilmente riconoscibile dietro i tratti di Beatrice, un’ex campionessa di tennis bellissima, elegantissima, ricchissima, che ha una villa paradisiaca al cap Bénat, proprio accanto al cap Nègre dove ora, nella vita vera, passa le estati con il marito, l’ex presidente Nicolas Sarkozy.

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Parigi. Era in programma a gennaio il suo libro su Albert Camus, incentrato sull’opposizione tra la rivolta camusiana e quella dei gilet gialli. Ma quando Muriel Beyer, direttrice delle Éditions de l’Observatoire, ha letto le prime trenta pagine dell’altro manoscritto che giaceva sulla scrivania della sua casa di Montparnasse, gli ha sussurrato queste parole: “Dimentica Camus”. “Le temps gagné” (Éditions de l’Observatoire) di Raphaël Enthoven è il romanzo evento della rentrée letteraria francese, cinquecentoventotto pagine che sanno di zolfo e nelle quali il filosofo più dandy di Francia racconta senza freni né indulgenza la sua vita di ragazzo ferito della buona borghesia parigina, cresciuto tra Montparnasse e l’Odeon, tra l’Henri IV e la Normale Sup’, figlio di una pianista e critica d’arte e di un padre grande editore e letterato, convinto di avergli offerto un’infanzia meravigliosa, e che Raph, invece, ha vissuto come un “inferno”. “Non è un regolamento di conti”, dice lui, è peggio, assicura l’Obs: “E’ un massacro”, dove nessuno viene risparmiato, tranne una, Carla Bruni, facilmente riconoscibile dietro i tratti di Beatrice, un’ex campionessa di tennis bellissima, elegantissima, ricchissima, che ha una villa paradisiaca al cap Bénat, proprio accanto al cap Nègre dove ora, nella vita vera, passa le estati con il marito, l’ex presidente Nicolas Sarkozy.

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“Non mi piace quando la vita privata delle persone viene messa a nudo in pubblico in questo modo… Perché infliggere a me e ai miei cari questo trattamento a base di indiscrezioni e di denigrazioni? Si ha il diritto, senza il consenso degli interessati, e a proprio piacimento, di strappare la maschera di cui ognuno, nel corso della propria vita, ha avuto bisogno?”, ha dichiarato al Figaro Jean-Paul Enthoven, il padre, dopo due settimane di doloroso silenzio dinanzi ai contenuti velenosi del romanzo del figlio. “Sono in lutto. Ho il cuore a pezzi. E’ un libro atroce per quelli che come me e altre persone hanno adorato Raphaël, e si ritrovano immersi in un oceano di ingratitudine”, ha aggiunto Jean-Paul, che a Raph aveva perdonato persino di avergli soffiato la fidanzata, Carlà. La prima conseguenza di una storia familiare che avrà, probabilmente, un seguito anche in tribunale, è la fine dei rapporti tra padre e figlio, che il primo avrebbe comunicato al secondo con un sms. Perché diavolo lo ha fatto, si chiedono nella Parigi delle belles lettres: no da lui non ce lo aspettavamo, dicono alcuni, dall’incurabile liberale che lo scorso anno era andato da solo alla Convention de droite a difendere il progressismo, lui il garbato causeur che su Twitter mette in riga sovranisti e populisti sgangherati.

 

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Dall’uscita del romanzo che sta elettrizzando il petit monde di Saint-Germain-des-Prés, è in corso una guerra di trincea all’interno dei confini del VI arrondissement. Da una parte gli amici del padre, disgustati dalla violenza algida delle parole di Raph, dall’altra i sostenitori del “philosophe médiatique”, come viene apostrofato per la sua costante presenza su social e talk-show. “E’ un libro abietto, un tentativo di parricidio. Raphaël ha avuto una crisi adolescenziale tardiva”, “è il libro di un Narciso misogino, che tenta ogni cosa per essere famoso. Rischia di avere dei problemi con le donne che lo leggeranno”, attaccano i primi. “E’ la nascita di un vero talento letterario”, “il romanzo di emancipazione di un giovane uomo di buona famiglia”, lo incensano i secondi, rallegrandosi alla luce delle “vendite che iniziano a decollare”. Chi prova ad andare oltre lo scontro tra le due fazioni, descrive il conflitto edipico di un figlio che a quarantasei anni non ha deciso di uccidere il padre, ma i padri: quello naturale, il patrigno, lo psicoanalista Isi Beller, che lo picchiava, e il padre adottivo, Bernard-Henri Lévy (“Elie Verdu”, nel testo), miglior amico di Jean-Paul Enthoven, ma anche padre della sua ex moglie, Justine Lévy (ribattezzata “Faustine”). Non è difficile intravedere in questa autofiction una risposta all’autobiografia che proprio Justine, nel 2004, aveva pubblicato per le edizioni Stock, “Rien de grave”, niente di grave, raccontando la depressione in cui era caduta dopo che “Terminator” – Carla Bruni – le aveva portato via il marito. All’Express, Raphaël Enthoven ha detto che con questo romanzo vuole soltanto “riprendersi l’infanzia rubata”.

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