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Un accordo Brexit sì, ma non a ogni costo

David Carretta

Alla vigilia dell’ottavo round di negoziati per il divorzio inglese dall’Ue, il capo-negoziatore europeo Barnier appare molto preoccupato. I punti da risolvere e i rischi che si corrono

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Bruxelles. Non è nell'interesse di lungo periodo dell'Unione Europea concludere un accordo di libero scambio con il Regno Unito che sacrifichi la parità di condizioni, dando ai britannici un vantaggio in termini di competitività e costi sull'economia del continente. È questo l'avvertimento lanciato dal capo-negoziatore dell'Ue per la Brexit, Michel Barnier, alla vigilia di una settimana cruciale per i negoziati sulla partnership che dovrebbe regolare le relazioni future con il Regno Unito.

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Bruxelles. Non è nell'interesse di lungo periodo dell'Unione Europea concludere un accordo di libero scambio con il Regno Unito che sacrifichi la parità di condizioni, dando ai britannici un vantaggio in termini di competitività e costi sull'economia del continente. È questo l'avvertimento lanciato dal capo-negoziatore dell'Ue per la Brexit, Michel Barnier, alla vigilia di una settimana cruciale per i negoziati sulla partnership che dovrebbe regolare le relazioni future con il Regno Unito.

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“Sono preoccupato e sono deluso”, ha ripetuto più volte Barnier in un dibattito online all'Institute of International and European Affairs di Dublino: “Non abbiamo visto alcun cambiamento nella posizione del Regno Unito. Noi ci siamo mossi. Abbiamo fatto molte aperture negli ultimi mesi, cercando di andare incontro alle linee rosse britanniche” su parità di condizioni, pesca e meccanismo di risoluzione delle dispute. Ma “su nessuna di queste questioni il Regno Unito si è mosso in modo reciproco”, ha spiegato Barnier. “Se non si muovono su queste questioni, che sono chiave per l'Ue, il Regno Unito si assumerà da solo il rischio di un no-deal”, ha detto Barnier, avvertendo che ci sarà “un'enorme differenza” tra un accordo e un mancato accordo sulle relazioni future.

  

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Di fronte allo stallo delle trattative, ieri Barnier è stato a Londra per una discussione d'emergenza con la sua controparte britannica, David Frost. La prossima settimana nella capitale britannica si terrà l'ottavo round negoziale sulle relazioni future tra Ue e Regno Unito. Molti osservatori ritengono che sarà il round del “o la va, o la spacca”. Il tempo stringe. Pur dicendosi convinto che Johnson voglia un deal, Barnier ha ricordato che c'è “una scadenza stretta”: un accordo va trovato entro la fine di ottobre per permettere al Parlamento europeo e al Consiglio dell'Ue di ratificarlo e farlo entrare in vigore il 1 gennaio 2020, quando terminerà il periodo di transizione post-Brexit.

  

“Non abbiamo più tempo da perdere”, ha detto Barnier, accusando il governo di Boris Johnson di essere rimasto al palo sin dall'inizio delle trattative sulle tre priorità dell'Ue: la parità di condizioni economiche (il cosiddetto level playing field, in particolare sugli aiuti di Stato, ma anche sulle regole ambientali, sociali e sanitarie); una soluzione per permettere l'accesso reciproco nel settore della pesca; e un meccanismo di governance delle relazioni future. “Francamente parlando, finora il Regno Unito non si è impegnato costruttivamente su questo”, ha detto Barnier.

  

Secondo il capo-negoziatore Ue, il governo Johnson dice di volere una rottura netta con l'Ue, ma “la verità è che i negoziatori britannici stanno ancora cercando continuità in molti settori. Tutto tranne una rottura netta!”. Londra vuole “mantenere i benefici dell'Ue e del mercato unico, senza gli obblighi”, sostiene che sia “nell'interesse dell'Ue concedere al Regno Unito uno status speciale”, ma “francamente parlando: è davvero nell'interesse economico di lungo periodo dell'Ue?”.

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La domanda trova una risposta nelle parole successive di Barnier, che mostrano quanto sia avanzata la riflessione dell'Ue sul rischio di trovarsi una Singapore sul Tamigi, cioè un concorrente che non rispetta le stesse regole e gli stessi standard, ma è pronto a fare una concorrenza spietata: il Regno Unito potrebbe diventare “un hub di assemblaggio” di merci da esportare verso l'Ue senza dazi e senza quote; i camionisti britannici potrebbero “guidare sulle strade Ue senza dover rispettare le condizioni di lavoro dei camionisti Ue”; le compagnie aeree britanniche potrebbero “operare dentro l'Ue senza dover rispettare gli stessi standard sul lavoro e ambientali”; i produttori di energia non dovrebbero pagare “un prezzo carbonio equivalente”; sugli aiuti di Stato il Regno Unito “sarebbe libero di concedere sussidi a suo piacimento”.

  

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Insomma “è normale che il Regno Unito voglia fissare da solo standard e regole” dopo la Brexit, “ma se questo serve a distorcere la concorrenza con noi, allora abbiamo un problema”. Per questo – ha detto Barnier – “vogliamo un accordo ma non a qualsiasi costo”. Con un ultimo avvertimento a Boris Johnson e ai britannici: “Non sbagliatevi. Ci sarà un enorme differenza tra un deal e un no-deal su economia e commercio”, ha detto Barnier. “Se c'è no-deal, oltre ai controlli che saranno un obbligo per ogni merce che entra nel mercato interno (...), implementeremo dazi doganali Brexite quote, il che farà un'enorme differenza. Le nostre relazioni saranno nel quadro del Wto e sarà un cambiamento molto importante, con molte distorsioni e molti problemi e frizioni tra noi”. Ma “sarà la scelta del Regno Unito, non la nostra scelta. La porta dell'Unione resterà aperta in ogni caso”.

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