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Ohibò, il Massachusetts si ribella a un Kennedy

Luciana Grosso

Joe Kennedy III ha perso male (55 a 44) delle primarie democratiche che sembravano già scritte. Lo slogan del vincitore, Edward Markey: “Con tutto rispetto, è ora di iniziare a chiedere che cosa può fare il paese per te”

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Cosa deve fare, ancora, il mondo per farci capire che è cambiato? Cosa deve fare, di più, il mondo per farci capire che il tempo in cui alla fine le cose andavano come sono sempre andate è finito e che quel che ci viene da considerare inaudito è invece normale?

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Cosa deve fare, ancora, il mondo per farci capire che è cambiato? Cosa deve fare, di più, il mondo per farci capire che il tempo in cui alla fine le cose andavano come sono sempre andate è finito e che quel che ci viene da considerare inaudito è invece normale?

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Eppure non lo abbiamo ancora imparato e, dopo Brexit, Trump e pandemie varie siamo ancora qui a farci spettinare i pensieri dai risultati delle elezioni, che hanno la colpa di non essere quelli che ci aspettavamo e di non essere quelli che sarebbero stati dieci anni fa. Così, epigoni di un mondo che non esiste più, siamo qui a guardare un Kennedy fare quello che nessun Kennedy mai ha fatto prima, ossia perdere in Massachusetts, lo stato che dei Kennedy è (ops: era) il regno, più che il feudo. 

    

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Joe Kennedy III, figlio del figlio di Bob, ha perso male (55 a 44) un’elezione primaria che, sulla carta, sembrava già scritta. Lui, deputato rispettato da quattro mandati, bello, giovane, educato e stella nascente della famiglia politica più importante della sinistra americana, contro Edward Markey, 75 enne, deputato prima e senatore poi di lunghissimo corso, non particolarmente noto né popolare. In teoria sembrava non ci fosse storia. E invece, siccome i tempora e i mores cambiano e della teoria non se ne fanno niente, Markey ha vinto a mani basse, usando a proprio vantaggio la tiriterera dell’elite contro il popolo.

   

Così, l’aura mitologica dei Kennedy e del loro mascellone irlandese, si è rivoltata contro l’incolpevole Joe III, che in questa elezione ha fatto la parte del rampollo viziato, convinto che il fatto di chiamarsi Kennedy gli assicurasse la vittoria per diritto divino e contasse più del lavoro politico di quarant’anni del senatore Markey (non è vero, ma vallo a spiegare). Così, la leggenda dei Kennedy, riusciti a passare in sole tre generazioni da uno spelacchiato campo di patate in Irlanda alla Casa Bianca, si è trasformata nel suo esatto opposto: una storia che puzzava di privilegio e aristocrazia. Per questo la sinistra del partito (assai pesante in Massachusetts, dove Bernie Sanders ha perso solo per 5 punti contro Joe Biden) ha votato compatta Markey, dicendo ai Kennedy (tutti, non solo all’incolpevole Joe III) che il loro tempo è finito e che la democrazia degli ottimati di cui si erano erti ad alfieri non funziona più; che la gente vuole sudore e calli sulle mani, non più camicie inamidate e lauree ad Harward; che l’appoggio di Alexandria Ocasio Cortez (una che, guarda tu i casi della vita, aveva dato il benservito a Joseph Crawley, deputato di lunghissimo corso) conta più di una storia gloriosa alle spalle; che il tempo di “non chiederti cosa può fare il tuo Paese per te, ma cosa puoi fare tu per il tuo Paese” è bell’e andato e che oggi è il tempo di quel che ha ripetuto Markey per tutta la sua campagna: "Con tutto il rispetto, è ora di iniziare a chiedere cosa può fare il tuo paese per te"

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Soprattutto, gli elettori del Massachussets, hanno fatto sapere al Partito democratico che, se non lo avessero ancora capito, il ventesimo secolo è finito. E con lui l’America dei Kennedy e delle loro manfrine su Camelot e sulla nuova frontiera. E poco importa se Joe III ha 39 anni e con suo nonno e il suo prozio non ha mai avuto niente a che fare (in verità ha avuto poco a che spartire anche con il padre Joe II, deputato e gran pasticcione, con il solito debole kennediano per le donne): il rinnovamento, il futuro non è più questione di anagrafe e di età. Ce lo insegnano Bernie Sanders, Ed Markey, Elisabeth Warren, e persino Donald Trump. Il rinnovamento passa per la volontà di rottura. O almeno per la capacità di incarnare e raccontare questa volontà.

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