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La Bbc spiegata alla Rai

Cristina Marconi

Scandali, pregiudizi, tv concorrenti (e aggressive), pure il governo inglese che vuole levare il canone. I guai e i rimedi di Tim Davie, architetto della tv pubblica del futuro

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La Bbc sta per compiere un secolo – mancano due anni all’appuntamento – ma l’essere veneranda, nel complicatissimo 2020, non la salva da niente, anzi: al momento, a guardarla bene, sembra più che altro vecchia. E sì che starebbe trascorrendo una bella pandemia, questa eterna prima della classe del mondo un po’ fané dei servizi pubblici universali, naturalmente a suo agio con i compiti istituzionali come tenere in forma la nazione con travolgenti programmi di fitness o trasmettere i videomessaggi della più grande comunicatrice del globo, Elisabetta II. Solo che il governo di Boris Johnson vuole far fuori la Bbc come Alec Guinness in “The Ladykillers” e molti britannici sono stanchi di pagare quelle 157,5 sterline all’anno imposte (pena, in teoria e ancora per poco, il carcere) a chiunque possieda un televisore (oggetto che comunque molti giovani considerano come un curioso pezzo di modernariato) rammi di fitness o trasmettere i videomessaggi della più grande comunicatrice del globo, Elisabetta II. Solo che il governo di Boris Johnson vuole far fuori la BBC come Alec Guinness in “The Ladykillers”, molti britannici sono stanchi di pagare quelle 157,5 sterline all’anno imposte (pena, in teoria e ancora per poco, il carcere) a chiunque possieda un televisore (oggetto che comunque molti giovani considerano come un curioso pezzo di modernariato) e oltre al solito Rupert Murdoch, c’è il suo storico rivale John Malone che sta cercando di sfruttare lo stato di debolezza della Bbc e lo scontento verso il suo mix di politicamente corretto e fredda imparzialità: lo squalo australiano e il “cowboy del cavo” americano stanno entrambi puntando al mercato della tv d’opinione di destra, in stile Fox News. Ma questo è soltanto uno di una serie di problemi che riflette in modo fedele quelli di un paese disorientato e in crisi di identità, che ha recentemente dato prova di essere capace di gesti estremi quando si tratta di voltare la faccia alle istituzioni.

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La Bbc sta per compiere un secolo – mancano due anni all’appuntamento – ma l’essere veneranda, nel complicatissimo 2020, non la salva da niente, anzi: al momento, a guardarla bene, sembra più che altro vecchia. E sì che starebbe trascorrendo una bella pandemia, questa eterna prima della classe del mondo un po’ fané dei servizi pubblici universali, naturalmente a suo agio con i compiti istituzionali come tenere in forma la nazione con travolgenti programmi di fitness o trasmettere i videomessaggi della più grande comunicatrice del globo, Elisabetta II. Solo che il governo di Boris Johnson vuole far fuori la Bbc come Alec Guinness in “The Ladykillers” e molti britannici sono stanchi di pagare quelle 157,5 sterline all’anno imposte (pena, in teoria e ancora per poco, il carcere) a chiunque possieda un televisore (oggetto che comunque molti giovani considerano come un curioso pezzo di modernariato) rammi di fitness o trasmettere i videomessaggi della più grande comunicatrice del globo, Elisabetta II. Solo che il governo di Boris Johnson vuole far fuori la BBC come Alec Guinness in “The Ladykillers”, molti britannici sono stanchi di pagare quelle 157,5 sterline all’anno imposte (pena, in teoria e ancora per poco, il carcere) a chiunque possieda un televisore (oggetto che comunque molti giovani considerano come un curioso pezzo di modernariato) e oltre al solito Rupert Murdoch, c’è il suo storico rivale John Malone che sta cercando di sfruttare lo stato di debolezza della Bbc e lo scontento verso il suo mix di politicamente corretto e fredda imparzialità: lo squalo australiano e il “cowboy del cavo” americano stanno entrambi puntando al mercato della tv d’opinione di destra, in stile Fox News. Ma questo è soltanto uno di una serie di problemi che riflette in modo fedele quelli di un paese disorientato e in crisi di identità, che ha recentemente dato prova di essere capace di gesti estremi quando si tratta di voltare la faccia alle istituzioni.

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Ma qualcosa di positivo potrebbe essere partito ieri da Glasgow, sede regionale da cui il nuovo direttore generale Tim Davie, in jeans, camicia e giacca, ha fatto la scelta molto simbolica di iniziare il suo incarico: basta Londra, basta approccio tutto tarato sui turbamenti delle élite metropolitane. Per ogni direttore generale nuovo la sfida è immensa, ma stavolta basta fare proprio un po’ di quel principio di obiettività che è la stella polare dell’emittente pubblica britannica – cui Davie vuole ridare tutto il suo lustro – per rendersi conto che non ha un compito invidiabile. Tanto più che tra un anno cambierà anche il presidente e il governo, al quale spetta la nomina, potrà aggiungere altra pressione, magari insostenibile, sulle sue spalle da maratoneta. “Informare, educare e intrattenere” è un bellissimo motto se non si hanno alle calcagna un numero impressionante di concorrenti che fanno egregiamente la prima e la terza cosa, ignorando bellamente quella componente pedagogica che annoia solo a nominarla ma che ha avuto un ruolo fondamentale nel tessere la società britannica contemporanea. E che appare ancora più importante in tempo di fake news e terrapiattismi vari. Inoltre, capire cosa si intende per “imparzialità” in un paese fermo e insicuro come il Regno Unito 2020 è roba da oracoli.

   

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Davie non è un uomo d’apparato arrivato diciottenne da Oxford a fare le fotocopie e finito a scalare la Bbc. E’ nato nella proletaria Croydon, da giovane è stato vicepresidente di una sezione locale dei Tory e ha molte idee su come rilanciare l’azienda. “Il mio principio guida”, ha spiegato in un comunicato, è che ci vuole una “Bbc per tutti, che serva e rappresenti ogni parte di questo paese”. Inoltre, da ex manager di Pepsi e Procter&Gamble e da ex responsabile delle attività commerciali della Bbc, ha ben chiara l’importanza del prodotto, che deve essere “fuori dall’ordinario”, tale da rendere l’emittente “fidata, rilevante e indispensabile nell’era digitale”. Insomma, la gente deve voler pagare il canone, sentire che ne vale la pena. Anche perché ancor prima che il nuovo direttore generale pronunci il suo primo discorso e illustri le sue linee guida ai dipendenti, una premurosa fonte conservatrice ha fatto sapere al Telegraph che Davie non sarebbe del tutto ostile all’idea di sostituire il canone con un abbonamento volontario sul modello di quanto si fa con Netflix.

    

Ora, il bilancio della Bbc è di 4,9 miliardi di sterline, di cui 3,69 finanziati attraverso il canone e il resto grazie alla vendita dei suoi programmi e prodotti all’estero. Nessun manager può immaginare che un abbonamento possa garantire questo tipo di entrate, visto che solo con la decisione del governo di non rimborsare più il canone gratis per gli ultrasettantacinquenni si crea in prospettiva un buco insostenibile da 750 milioni di sterline (ci si finanziano tre canali, le notizie e pure i servizi per i bambini). Inoltre c’è un altro problema: toccherebbe rincorrere il pubblico, mentre la Bbc, la Zietta, babbiona e bacchettona, colta e incisiva, vuole dare alla gente “quello che non sa di volere” mentre le tv commerciali rincorrono i gusti del pubblico e sul fronte delle notizie le rivali di destra – la “GB News” di Malone ha già ottenuto l’autorizzazione dal regolatore a trasmettere – vogliono in sostanza raddoppiare l’approccio popolare e urlato che nel Regno Unito è già ben rappresentato dai tabloid. La qualità va preservata o no davanti alle forze del mercato? Davie sembra orientato a non fare della Bbc una foca monaca da tutelare davanti ai bracconieri, ma vuole metterla in condizione di difendersi da sé. Davie nel 2022 dovrà negoziare il rifinanziamento per la Bbc e nel 2027 sarà la volta, cruciale, della Royal Charter, ossia il documento decennale con cui si delinea la missione della Corporation e se ne giustifica l’esistenza stessa. Solo allora il canone potrà essere abolito, il che vuol dire che Davie ha sette anni per salvare letteralmente la baracca.

  

Bravo è bravo e lo ha dimostrato quando, nel 2012, in pieno scandalo Jimmy Savile (il leggendario presentatore eccentrico e sinistro la cui pedofilia è stata coperta per anni), è stato direttore generale reggente per cinque mesi. Per poter occupare nuovamente e stabilmente il trono più alto del panorama mediatico britannico si è tagliato lo stipendio: prendeva 642 mila sterline l’anno scorso – era il più pagato tra i manager – ma ha accettato di prendere la stessa somma del suo predecessore, 475 mila. L’anno prossimo passerà a 525 mila. Ai tempi in cui era ancora bravo a cogliere l’umore nazionale e trasformare le crepe in voragini a suo vantaggio, Boris Johnson chiamava la Bbc la Brexit Bashing Corporation, tutta presa ad attaccare l’uscita dall’Unione europea e a ridicolizzare i suoi sostenitori. Il terrore di Davie è quello di fare un altro errore mostruoso come quello avvenuto quando effettivamente la Bbc sottovalutò l’importanza di temi come l’immigrazione e la diffidenza verso l’Unione europea, contribuendo a polarizzare ancora di più un dibattito che non ne aveva affatto bisogno. E quindi si torna in provincia, si cerca di capire altre sensibilità, altri punti di vista. Lottando anche contro “la faziosità di sinistra” della satira e affrontando quel pregiudizio che fa sì che, secondo YouGov, il 25 per cento dei britannici pensi che la Bbc tenda a sinistra, il 24 la ritiene neutra e il 17 per cento la percepisce di area conservatrice.

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Tra le più ustionanti passeggiate sui carboni ardenti che attendono Davie c’è poi quella legata alla diffusione di una versione particolarmente rigorista del politicamente corretto nell’azienda: ad esempio ultimamente i dipendenti erano stati incoraggiati a segnalare quali pronomi utilizzare per rivolgersi a loro in modo da andare incontro al personale transgender. Non è raro che alla fine di una mail, un londinese ti dica che i suoi pronomi sono “lui/suo” (He/His) o che preferisce che si usi “they, their”, “loro”. Difficilmente la cosa rientrerà nella lista delle priorità di Davie, che sembra ritenere tutte queste battaglie di retroguardia rispetto alla necessità di far tornare la Bbc a splendere nel cuore di tutti. Mentre il suo predecessore Lord Hall stracciava vari record di ipocrisia spiegando che “Rule Britannia” e “The Land of Hope and Glory” verranno suonate ma non cantate alla serata finale dei Proms il 12 settembre prossimo (causa ufficiale: il Covid non ci permette un coro all’altezza della situazione; causa reale: il testo è colonialista e vecchiotto e non vorremmo che qualcuno si offendesse, anche se tutto il paese lo canta da sempre a ugole unificate), Davie faceva pressione per evitare il disastro della censura, il rischio che i due pezzi venissero proprio cancellati dalla programmazione della serata finale alla Royal Albert Hall (che seguendo la stessa logica andrebbe probabilmente rasa al suolo). Qualcuno ha osservato che solo un gruppo di maschi bianchi provenienti dal mondo ovattato delle scuole private può essere così terrorizzato dalla realtà da ricorrere alla censura preventiva su tutto.

  

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Ad ogni modo Boris, che non aspettava altro, ne ha approfittato per dare addosso alla Bbc, creando la situazione che in futuro Davie vuol fare di tutto per evitare. L’imparzialità deve essere come un’armatura per la Bbc. E a questo proposito, il nuovo direttore generale vuole mettere un freno ai presentatori star che arrotondano moderando eventi aziendali, eventi che poi magari suscitano controversie e che comunque non danno una bella immagine di un’azienda che paga meno dei concorrenti, ma con soldi pubblici. Naga Munchetty, per dire, ha intervistato uno dei capi di Aston Martin a un evento Aston Martin, e hanno parlato a lungo di tutela dei posti di lavoro con il Covid. Poco dopo Aston Martin ha licenziato 500 dipendenti. Poi ci sono le superstar da trattare con i guanti, come Emily Maitlis che con le sue prese di posizione nette fa sognare i londinesi e offende i conservatori di provincia, e il capo del politico, Laura Kuenssberg, che lavora come dieci e porta tantissime notizie ma viene sempre accusata di essere filogovernativa. Due volti noti e amati – anche se la Kuenssberg aveva bisogno delle guardie del corpo per andare ai congressi del Labour ai tempi di Jeremy Corbyn – che si sono dovute far sentire, insieme ad altre dipendenti della Bbc, per ottenere stipendi all’altezza di quelli dei loro colleghi uomini, che in alcuni casi prendevano fino a sei volte di più per mansioni simili. Almeno questo scandalo appare risolto.

  

Senza proibire ai giornalisti di usare Twitter, la soluzione per Davie sarebbe di superare la questione della “partigianeria” politica mettendo i giornalisti a fare quello che devono fare: scovare notizie a raffica, lasciando il cicaleccio e i commenti sterili alle altre testate. Infine ci sono le categorie da riconquistare: l’uomo che guarda lo sport con una birra in mano sul divano e che si sta allontanando dalla Bbc che non ha più tutti i diritti del calcio e della Formula 1. Per Davie è importante riportarli a casa, anche spendendo tanto come con Gary Lineker, che con i suoi 1,7 milioni di sterline è la star più pagata dell’azienda. E pure i giovani vanno convinti a non accontentarsi di Netflix e ad affidarsi alla Zietta per programmi dal successo planetario come Fleabag o Normal People. Bisogna tornare cool e spuntare le armi a un governo che era partito sul piede di guerra: dopo le elezioni di dicembre scorso aveva addirittura vietato ai suoi di andare a farsi crocifiggere al programma radiofonico Today di Bbc4, ma ha dovuto fare marcia indietro, perché la Bbc sa riaffermare la sua autorevolezza in tempi di crisi. Ed è questa è la vera battaglia: siccome senza canone la Bbc non esiste, bisogna lottare per meritarselo, per fare la differenza, per dimostrarsi indispensabili. Per evitare di diventare come la Pbs americana, marginale, inutile. Con Fox alle calcagna, con tutto quello che significa.

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