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Il rientro di Boris

Fidatevi, dice Johnson agli alunni e ai lavoratori

Paola Peduzzi

Quel che importa al governo inglese è la presenza a scuola e negli uffici. Il deficit di credibilità e l’effetto dei ripensamenti

 

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Milano. Entro la settimana tutte le scuole del Regno Unito riapriranno, il punto di partenza della strategia della normalizzazione – “back to normal” – del governo di Boris Johnson. La Scozia e l’Irlanda del nord hanno già cominciato, con risultati promettenti sull’unico fattore che interessa al premier: la presenza. Un conto è riaprire le scuole e un altro è convincere le famiglie a mandare i figli, cioè a fidarsi delle garanzie di sicurezza anti Covid messe a punto dal governo, in un momento non propizio, visto che i nuovi contagiati registrati nel fine settimana (1.715) sono ai livelli di inizio giugno, quando stava iniziando la flessione. Per chi si rifiuta di far presenziare i ragazzi è prevista una multa, ma il sottosegretario per le Scuole, Nick Gibb, ha detto che si tratta di una “soluzione estrema”: il governo sa che questo non è il momento della sanzione ma della persuasione. In un ennesimo slancio, ieri mattina, alla riapertura del 40 per cento delle scuole in Inghilterra e Galles, giornali e social chiedevano di inviare foto del primo giorno, di condividere un momento quest’anno tanto decisivo. Già nel pomeriggio l’entusiasmo era svanito, le foto e i commenti pervenuti erano resoconti riassumibili in non-ce-la-faremo-mai, e in particolare erano gli insegnanti a lamentarsi perché non avevano ricevuto il kit di sicurezza per affrontare l’assembramento scolastico. C’è polemica anche sui test: ne sono stati forniti pochi alle scuole, da utilizzare soltanto “in caso di emergenza”, e in presenza di sintomi o sospetti la responsabilità dei test resta alle famiglie. Il governo però ripete che ogni cosa si può aggiustare, l’importante è andare: a scuola, al lavoro, nei ristoranti.

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Milano. Entro la settimana tutte le scuole del Regno Unito riapriranno, il punto di partenza della strategia della normalizzazione – “back to normal” – del governo di Boris Johnson. La Scozia e l’Irlanda del nord hanno già cominciato, con risultati promettenti sull’unico fattore che interessa al premier: la presenza. Un conto è riaprire le scuole e un altro è convincere le famiglie a mandare i figli, cioè a fidarsi delle garanzie di sicurezza anti Covid messe a punto dal governo, in un momento non propizio, visto che i nuovi contagiati registrati nel fine settimana (1.715) sono ai livelli di inizio giugno, quando stava iniziando la flessione. Per chi si rifiuta di far presenziare i ragazzi è prevista una multa, ma il sottosegretario per le Scuole, Nick Gibb, ha detto che si tratta di una “soluzione estrema”: il governo sa che questo non è il momento della sanzione ma della persuasione. In un ennesimo slancio, ieri mattina, alla riapertura del 40 per cento delle scuole in Inghilterra e Galles, giornali e social chiedevano di inviare foto del primo giorno, di condividere un momento quest’anno tanto decisivo. Già nel pomeriggio l’entusiasmo era svanito, le foto e i commenti pervenuti erano resoconti riassumibili in non-ce-la-faremo-mai, e in particolare erano gli insegnanti a lamentarsi perché non avevano ricevuto il kit di sicurezza per affrontare l’assembramento scolastico. C’è polemica anche sui test: ne sono stati forniti pochi alle scuole, da utilizzare soltanto “in caso di emergenza”, e in presenza di sintomi o sospetti la responsabilità dei test resta alle famiglie. Il governo però ripete che ogni cosa si può aggiustare, l’importante è andare: a scuola, al lavoro, nei ristoranti.

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Nel bel mezzo delle lamentele sulla scuola – per la prima volta da sempre, i bambini sembrano i più contenti di tornarci – Johnson ha annunciato una campagna mediatica per incoraggiare il ritorno al lavoro: secondo i dati, soltanto il 17 per cento dei lavoratori inglesi è tornato sul posto di lavoro in modo stabile, ma i dati sull’utilizzo dei mezzi di trasporto a Londra sono ancora più definitivi. L’utilizzo della metropolitana è calato, rispetto allo stesso giorno dell’anno scorso, del 72 per cento, del 53 l’utilizzo degli autobus. Il rientro è altrettanto fragile (vuoto): c’è un incremento dell’8 per cento rispetto alla settimana scorsa. Johnson vuole invertire questa tendenza convincendo gli inglesi di due cose: se non ci si rimette in moto, gli effetti economici non saranno sanabili (e per gli alunni la versione è: meglio il virus dell’ignoranza); gli errori del passato non saranno ripetuti. Sulla prima questione, l’opera di convincimento è più semplice pur se dolorosa: il rallentamento è palpabile, i numeri dicono che il Regno è uno dei paesi più colpiti in termini economici di tutto il mondo. Il problema è il deficit di credibilità, cioè convincere gli inglesi a fidarsi dopo questi sei mesi di grandi ripensamenti e di poche giustificazioni. Ancora ieri il governo ha dovuto ammettere di aver acquistato una partita di 50 milioni di mascherine inutilizzabile, e quando Johnson ha ripetuto che il sistema di test e di tracciamento del coronavirus adottato dagli inglesi è “world beating”, un primato mondiale, come già aveva detto qualche settimana fa, è stato ricoperto di critiche e battute. Il numero dei test è molto aumentato e soprattutto il sistema di controllo è stato spostato a livello locale – tutti i paesi si sono accorti che una gestione centralizzata è impossibile – ma il tracciamento continua a essere frammentario, nonostante le iperboli di Johnson.

   

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Il deficit di credibilità è l’ostacolo principale che ha oggi il governo inglese: ci sono stati molti cambiamenti di filosofia e di pratica nella gestione dell’epidemia, ma non sono stati vissuti come una curva di apprendimento bensì come degli “u-turn”, dei voltafaccia malspiegati che hanno creato insicurezza. Ora il governo punta a questa operazione di persuasione nazionale, dice che in ogni caso un altro lockdown è un’ipotesi remota pensando di suonare rassicurante, ma la tempesta perfetta potrebbe già essersi formata. Come sempre accade con gli inglesi, c’è già un nome (bruttino) su cui convogliare le proprie paure: è Brovid, l’incontro tra il Covid e il non accordo sulla Brexit.

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