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Alle convention si studiano i presidenti che verranno

Daniele Ranieri

Don Jr e Ivanka e la loro gara zitta zitta per la guida dei repubblicani. E dall'altra parte c'è Kamala Harris, che fra quattro anni potrebbe tentare di fare quello che non riuscì a Hillary Clinton, magari di nuovo contro un Trump

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Le convention non rivelano nulla di nuovo sul prossimo presidente americano, ma possono servire per conoscere i presidenti che verranno dopo. Barack Obama era un senatore dell’Illinois quando fece un discorso spettacolare alla convention democratica del 2004 e quattro anni dopo vinse la Casa Bianca. Sappiamo già che se vince Trump è al suo ultimo mandato e anche Biden ha detto che per una questione di età farà un mandato soltanto in caso di vittoria. E quindi la competizione è ravvicinata e le convention di queste due settimane sono state un ottimo posto d’osservazione sul futuro.

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Le convention non rivelano nulla di nuovo sul prossimo presidente americano, ma possono servire per conoscere i presidenti che verranno dopo. Barack Obama era un senatore dell’Illinois quando fece un discorso spettacolare alla convention democratica del 2004 e quattro anni dopo vinse la Casa Bianca. Sappiamo già che se vince Trump è al suo ultimo mandato e anche Biden ha detto che per una questione di età farà un mandato soltanto in caso di vittoria. E quindi la competizione è ravvicinata e le convention di queste due settimane sono state un ottimo posto d’osservazione sul futuro.

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Che vinca oppure no, Trump ha un capitale politico enorme, una base di fedelissimi che vale circa il 40 per cento dell’elettorato e non lo molla mai. Non l’ha mollato nemmeno durante la pandemia, che ha gestito malissimo, quindi non lo abbandonerà più. E quando il presidente non sarà più il presidente, chi è l’erede che riceverà questo capitale politico? I Trump si considerano una dinastia, si vedono come i Kennedy, ci scherzano sopra. Lui dice che Melania “è la nostra Jackie”, il genero Jared ha in ufficio una foto di JFK e si definisce “un Joe Kennedy ebreo” e dopo tutto se ce l’hanno fatta i Bush, a passare lo Studio Ovale da padre a figlio (con gli otto anni di Bill Clinton in mezzo), perché non dovrebbero farcela i Trump?

 

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Il presidente ha due figli, Ivanka e Donald Jr., che da quando quattro anni fa hanno assaggiato la politica non vogliono più tornare indietro. Ivanka è molto più avanti nella gara rispetto a Don. Lui ha fatto il discorso alla prima serata della convention, ma Ivanka l’ha fatto all’ultima serata proprio prima di papà e si sa come funzionano queste cose: l’ultimo a salire sul palco è il più importante. “La cocca di paparino”, la chiama lui, che percepisce il distacco di immagine e nelle preferenze di Trump. Non è una cosa di adesso, va avanti da quattro anni. Quando Corey Lewandowski fu cacciato dalla campagna elettorale, Don e Jared, il marito di Ivanka, si contesero con discrezione il posto libero. Nessuno lo ottenne, ma Jared finì a volare in aereo con Donald per assisterlo da vicino nella campagna e Don finì invece a fare comizi in stati che non interessavano a nessuno. “Mi sveglio alla mattina e vado nella città che mi dicono”, raccontò depresso a un amico secondo un pezzo molto dettagliato pubblicato dall’Atlantic. E però in questo semi-esilio scoprì che le cose che lo appassionavano, come la caccia e la pesca, lo facevano andare fortissimo. Era in sintonia con l’elettorato di Trump. Riusciva a non passare per il figlio del lusso di Manhattan, ma per un uomo del popolo. “Finalmente mi sei utile a qualcosa”, gli disse il padre. E così si spiegano l’attivismo di Don sui social e certe sue iniziative letali, come quando organizzò un incontro con i russi alla Trump Tower – che poi divenne una faccenda molto controversa.

  

Del tutto perdente in questa competizione Don non dev’essere, visto che di Jared non c’era traccia alla convention repubblicana. E invece s’è vista molto la sua fidanzata ambiziosa, Kimberly Guilfoyle, che dal paco ha gridato: “Il meglio deve ancora venire”. Bello slogan, no? Ivanka per ora si gode la sua superiorità, molto impegnata nell’equilibrismo di farsi vedere accanto al presidente nei momenti che contano e di sparire durante le faccende più controverse, come quella dei bambini dei migranti separati dai genitori al confine e tenuti in gabbie. Era al tavolo quando Trump ha incontrato il dittatore della Corea del Nord Kim Jong Un.

  

Dall’altra parte i democratici offrono meno occasioni di chiacchiericcio. Questo gioco della convention l’ha vinto Kamala Harris, che fra quattro anni potrebbe tentare il salto e fare quello che non riuscì a Hillary Clinton, magari di nuovo contro un Trump.

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