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L'ultimo giorno di convention

La notte di Trump, quella in cui qualcosa in America si è rotto

Luciana Grosso

La Casa bianca desacralizzata e agghindata come una sagra di paese. Potus ha trasformato la residenza presidenziale in casa sua. Ecco cosa ci ricorderemo di questa convention repubblicana

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Qualcosa si è rotto, questa notte in America. Un giorno, potrete raccontare ai vostri nipoti che voi c’eravate, anche se probabilmente stavate dormendo, quando alle 4 e 23 del 28 agosto l’America si è rotta. Quando tutte le menate sulla Terra dei liberi e degli audaci è andata a farsi benedire. Quando un presidente degli Stati Uniti ha fatto strame della repubblica, della costituzione e della decency e ha trasformato la Casa bianca in casa sua.

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Qualcosa si è rotto, questa notte in America. Un giorno, potrete raccontare ai vostri nipoti che voi c’eravate, anche se probabilmente stavate dormendo, quando alle 4 e 23 del 28 agosto l’America si è rotta. Quando tutte le menate sulla Terra dei liberi e degli audaci è andata a farsi benedire. Quando un presidente degli Stati Uniti ha fatto strame della repubblica, della costituzione e della decency e ha trasformato la Casa bianca in casa sua.

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Quello che è successo questa notte, quando prima Ivanka e poi Donald e Melania Trump hanno sceso la scalinata principale di una Casa bianca desacralizzata e agghindata come se fosse lo stand di una sagra di paese, è qualcosa che difficilmente chi ha visto succedere dimenticherà. E’ una violazione che difficilmente la storia dimenticherà. È una appropriazione potente e tremenda, nel senso proprio che davanti ad essa viene da tremare. È una cosa che non ha a che fare né con i repubblicani né con i conservatori, né con la politica né con le elezioni. Ha a che fare solo con Trump. Con la sua spregiudicatezza. Con la sua implacabilità. 

    

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Alla fine dei conti, quattro notti dopo, questa qui è l’unica vera cosa da ricordare della convention repubblicana: il fatto che sulla Casa Bianca è stata affissa una grande scritta "Trump", come se fosse un albergo o un centro commerciale di quelli delle sue catene. E una volta scritto il nome del presidente sulla facciata della Casa bianca, se si trasforma l’edificio più importante del mondo in uno sfondo per un comizio, che altro c’è da dire? Che il discorso di Trump è stato lungo e noioso? Sì, ma che vuoi che sia.

     

Se (e sottolineo se: la faccenda non è per nulla scontata) Biden vincerà, dovrà vincere la pace, dopo aver vinto la guerra. Dovrà convivere con il fatto che qualcuno ha sfregiato la Casa bianca scrivendoci sopra il suo nome, come fanno i teppisti con le bombolette spray. E che cancellarla, o anche solo farla sbiadire, quella scritta, sarà una faccenda assai più complicata che vincere le elezioni.

    

Detto questo, tutto il resto che si può dire dell’ultima notte di convention, sono solo note a margine. Solo cose che sono successe tra tante.

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Ivanka


Il suo è stato di gran lunga il discorso migliore ascoltato alla convention. Efficace, tagliente, pulito, chiaro. Migliore di quello, pure ottimo, di Melania. Fuori gara rispetto a quello degli altri figli di Trump, Donald Jr., Eric e Tiffany. Migliore, persino di quello di suo padre (che ha parlato per un’ora e venti: un’eternità, specie per i tempi televisivi americani e che, per giunta, non ha nemmeno saputo brillare, come invece altre volte gli è capitato).

    

Ivanka è stata un’oratrice bravissima, capace persino di far passare in cavalleria il fatto di aver detto che suo padre non ha niente a che fare con il partito repubblicano, perchè non è un politico, ma un outsider: un concreto imprenditore e, soprattutto, uno del popolo, ‘uno di noi’: "Washington prende decisioni in base ai partiti. Il presidente Trump in base al buon senso”.  La forza di suo padre, dice Ivanka e pensa un sacco di gente, è quella di essere lontano e diverso da tutti gli altri e di non avere niente a che fare con i parrucconi di Washington. Ha ragione.

   

Il Covid: quale Covid?


La platea che assiste, dal giardino della Casa Bianca ai discorsi di Ivanka e Donald Trump è fatta di gente seduta vicina e tutta rigorosamente senza mascherina. Auguriamo loro buona fortuna e prendiamo atto. La versione trumpiana della faccenda Covid è che il “china virus” sia acqua passata: il virus non c’è più, anche se c’è è più debole e comunque la risposta data alla pandemia dal presidente è stata la migliore possibile. Questo, soprattutto, ci è stato ripetuto per giorni, anche se i numeri dicono l’esatto contrario (poco meno di 200 mila morti in sei mesi e 6 milioni di malati). 

   

L’intervento di Dan Scavino


In pochi conoscono Dan Scavino, ma è uno degli elementi chiave del successo elettorale e mediatico di Donald Trump: è il vice capo del personale della Casa Bianca ed è stato il direttore dei social media di Trump per la sua campagna presidenziale del 2016. È tutt’ora uno dei pochi assistenti che ha accesso all'account Twitter di Trump (un suo ampio è ritratto è stato scritto dal New York Times qui). È intervento all’inizio della serata, con un discorso tagliente ed efficace, nel quale è contenuta, in una frase, l’essenza del Trumpismo (non a caso, il suo mestiere è scrivere tweet): “What the rest of the world calls caos, Donald Trump calls change”. Perfetto. 



     

Quel che resta del GOP

Quel (poco) che è sopravvissuto del Partito Repubblicano fagocitato da Donald Trump si trova nel discorso di Mitch McConnell. Il leader del senato e senatore di lunghissimo corso (eletto al prima volta nel 1984) ha fatto un discorso che sembra uscito dagli anni di Ronald Reagan, tutto concentrato sulla volontà democratica di privare i cittadini di quella libertà che è a loro tanto cara. “I Democratici vogliono dirvi che macchina guidare e persino quanti hamburger a settimana mangiare”.

   

Non è esattamente così, ma è pur vero che così sono percepiti i democratici, con il loro pallino sul consumo responsabile, l'ambiente, il risparmio di risorse e il green new deal. Dio ha dato agli americani le automobili, la plastica e la dieta carnivora a ogni pasto. Nessuno può toglierglieli. 


PS: Mitch McConnell è uno dei senatori più importanti d’America. Ha parlato per due minuti. Avete sentito polemiche e discussioni come quelle di settimana scorsa sul minuto concesso a Alexandria Ocasio-Cortez e ritenuto troppo poco? Ah. Ecco. La litigiosità e la reciproca diffidenza è un problema che i Democratici devono sbrigarsi a risolvere, se vogliono andare da qualche parte.

    

Dana White e Kimberly Guilfoyle: oratori col botto

Il primo, Dana White, è il presidente di Ultimate Fighting Championship, la più importante organizzazione di Mixed Martial Arts d’America. Ha donato un milione di dollari alla campagna Trump e assomiglia a Hank Schrader, il cognato poliziotto tutto d’un pezzo di “Breaking Bad”. La seconda, Kimberly Guilfoyle, è un personaggio televisivo, attuale fidanzata di Donald Jr. e presidente del Trump Victory Finance Committee 2020. 

Hanno parlato rispettivamente la prima e l’ultima sera. Il loro valore politico, non ce ne vogliano i loro ammiratori, è meno che niente. Ma il loro valore retorico, la loro capacità di suscitare emozioni con le parole, la loro precisione nel rivolgersi all’elettorato è stata eccellente. Se (e sottolineo se) Trump dovesse vincere, potremmo sentire di nuovo parlare di loro.

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