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Ci manca il GOP

Alla convention dei repubblicani Trump recita la parte del moderato

Luciana Grosso

Il tentativo di conquistare gli elettori di centro nella campagna elettorale più polarizzata degli ultimi 16 anni e quel che resta del Great Old Party, tra palloncini e souvenir

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È cominciata ieri sera (l’alba qui da noi) la convention repubblicana, ibrido americano che sta a metà tra una serie di comizi acchiappa voti e (almeno all’arrivo del Covid-19) una specie di sagra di paese con palloncini, patatine fritte e vendita di souvenir. Quest’anno però la convention è tutta un’altra cosa, non solo perché c’è il Covid, che ha svuotato le sale, ma anche perché a fare da motore immobile della convention c’è Donald Trump. E il resto scompare.

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È cominciata ieri sera (l’alba qui da noi) la convention repubblicana, ibrido americano che sta a metà tra una serie di comizi acchiappa voti e (almeno all’arrivo del Covid-19) una specie di sagra di paese con palloncini, patatine fritte e vendita di souvenir. Quest’anno però la convention è tutta un’altra cosa, non solo perché c’è il Covid, che ha svuotato le sale, ma anche perché a fare da motore immobile della convention c’è Donald Trump. E il resto scompare.

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Da questa prima notte repubblicana, ecco alcune cose che porteremo con noi.

    

Ci manca il Gop

Il partito Repubblicano in America si chiama Gop, ossia Great Old Party, per una ragione: è antico, ovvio, ma è soprattutto "grande", non solo per voti, ma anche per ambizione e per respiro. Non è un partito conservatore nel senso tradizionale del termine, perché in America, per la natura delle cose, per come girano le cose in quella parte del mondo, non esiste conservazione, non esiste niente che non sia, a suo modo, rivoluzionario. L’America, dai tempi di George Washington è un paese che ha fatto della rivoluzione la sua tradizione.

   

Il partito Repubblicano, fino al 2016, si era erto a vestale di quella tradizione molto americana di ricambio, rivoluzione, di inizio, di libertà e di indipendenza.

   

Sì, certo, oltre che sinceri appassionati di rivoluzione, i Repubblicani sono anche fissati con lo smantellamento dello stato sociale, con le armi ovunque, con il nazionalismo e (di recente e solo in parte) con il suprematismo bianco.

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Ma il partito Repubblicano, prima di Donald Trump era un’altra cosa. Era il partito che si fregiava di incarnare lo spirito più autentico dell’America, il partito dell’orgoglio, della fede nel futuro. Oggi però quel partito lì non c’è più: non esiste, non ce n’è traccia. Se l’è mangiato Donald Trump. Non esistono più, in America, destra e sinistra, Repubblicani o Democratici, rivoluzione o tradizione, futuro o conservazione. No: c’è solo Trump.

        

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La Convention Repubblicana è più bella di quella Democratica

Diamo a Cesare quel che è di Cesare. La convention Repubblicana è stata organizzata molto meglio di quella Democratica, almeno dal punto di vista televisivo.


Se quella Democratica era, in buona sostanza, una giustapposizione di video e clip (non tutti egualmente efficaci e riusciti), quella Repubblicana ha un format molto più efficace: è una passerella continua di oratori, che si avvicendano, senza soluzione di continuità, sul palco. Il pubblico li vede entrare e uscire, li vede parlare tutti nello stesso posto, con la stessa scenografia e con la stessa luce, in modo simile a quello che accade nelle vere convention. Il risultato è molto ben riuscito. Bravi.

    

Trump ha un problema al centro

Da anni, forse dal 2004, non si vedevano elezioni presidenziali così polarizzanti. Tra i suoi molti effetti, la polarizzazione ha che, da un lato, compatta gli elettori già convinti, che fondono la loro identità con quella del candidato, dall’altro, trasforma gli elettori di centro nei veri vip del voto: tutti li vogliono, a tutti sfuggono. I democratici, che hanno candidato un moderato che più moderato non si può. I repubblicani, che dopo quattro anni vissuti al cardiopalma, ieri si sono sforzati di rappresentare Donald Trump come un campione del mondo di quiete olimpica, capace di accogliere e includere tutti, e di dare loro risposte rapide, concrete e coerenti.

   

Così le due convention, almeno sino a ora, sono parse impegnate a fare l’una il controcanto dell’altra. I repubblicani hanno fatto di tutto per mostrare quanto sia assolutamente non razzista il loro candidato (ieri si sono viste una sfilza di donne e di afroamericani), quanto sia impegnato per gli ultimi e i diseredati (l’intervento più interessante è stato quello di Andrew Pollack, padre di una ragazza uccisa nella strage di Parkland), quanto sia ‘champion’, un efficace commander in chief. Non deve essere per forza vero, (NYT ha fatto fact checking e ha trovato delle incongruenze molto interessanti), basta che lo sembri.

   

È presto per dire se la strategia di Trump di presentarsi come leader dei moderati, pur non essendo egli per niente moderato, funzionerà. O se funzionerà quella di dipingere Joe Biden come un bolscevico. Però le linee di carreggiata della campagna dei prossimi due mesi, appaiono chiari. Io sono più moderato e più bravo con le minoranze di te.

    

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