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editoriali

A Minsk serve la voce unita dell’Ue

Il diritto di veto blocca la politica estera europea. Un bene per Lukashenka

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Ieri gli ambasciatori europei a Minsk sono andati a deporre dei fiori nel posto in cui un manifestante è stato ucciso dalla polizia durante le proteste. E’ stato un bel gesto, ma contro Lukashenka serve di più. La Bielorussia è arrivata alla sua quinta notte di violenze, prima in piazza c’erano soltanto i ragazzi, poi anche gli adulti hanno organizzato scioperi, le donne, vestite di bianco, si sono strette l’una all’altra davanti alla polizia. Ma la repressione non si ferma, anche se i video che ne dimostrano la spietatezza fanno il giro dei social e mostrano al mondo come Aljaksandr Lukashenka intende rimanere al potere. Dice di avere l’80 per cento, ma i disordini scoppiati dopo l’annuncio dei risultati dimostrano che non è vero. Lukashenka vuole continuare a essere il presidente della Bielorussia e, sebbene un pezzettino alla volta i pilastri del suo potere vengano giù – tra la polizia c’è chi inizia a gettare le uniformi, i giornalisti della tv di stato annunciano in diretta le dimissioni – è disposto a provocare tutte queste sofferenze al suo popolo a oltranza. Non ascolta nessuno, sicuramente non i suoi bielorussi, e le altre nazioni, che pure condannano, non riescono a fermare tutta questa violenza alle porte dell’Unione europea.

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Ieri gli ambasciatori europei a Minsk sono andati a deporre dei fiori nel posto in cui un manifestante è stato ucciso dalla polizia durante le proteste. E’ stato un bel gesto, ma contro Lukashenka serve di più. La Bielorussia è arrivata alla sua quinta notte di violenze, prima in piazza c’erano soltanto i ragazzi, poi anche gli adulti hanno organizzato scioperi, le donne, vestite di bianco, si sono strette l’una all’altra davanti alla polizia. Ma la repressione non si ferma, anche se i video che ne dimostrano la spietatezza fanno il giro dei social e mostrano al mondo come Aljaksandr Lukashenka intende rimanere al potere. Dice di avere l’80 per cento, ma i disordini scoppiati dopo l’annuncio dei risultati dimostrano che non è vero. Lukashenka vuole continuare a essere il presidente della Bielorussia e, sebbene un pezzettino alla volta i pilastri del suo potere vengano giù – tra la polizia c’è chi inizia a gettare le uniformi, i giornalisti della tv di stato annunciano in diretta le dimissioni – è disposto a provocare tutte queste sofferenze al suo popolo a oltranza. Non ascolta nessuno, sicuramente non i suoi bielorussi, e le altre nazioni, che pure condannano, non riescono a fermare tutta questa violenza alle porte dell’Unione europea.

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La Russia attende. Gli Stati Uniti vorrebbero imporre delle sanzioni, ieri il segretario di stato americano Mike Pompeo ha detto che servono nuove elezioni trasparenti. L’Ue ha rilasciato varie dichiarazioni, ieri il presidente del Parlamento David Sassoli ha invitato Lukashenka a fermare la repressione, il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha chiesto nuove sanzioni, ma come spesso accade davanti agli autocrati, l’Ue non riesce a far sentire la sua forza, la sua unità. La politica estera europea è imbrigliata dal diritto di veto: tra gli europei c’è anche Viktor Orbán che ha già detto che non sosterrà alcuna azione contro il dittatore bielorusso. E’ uno solo, gli altri ventisei sono d’accordo, ma non possono muoversi. Se l’Ue facesse sentire il suo peso, se qualche diplomatico spingesse per monitorare da vicino la situazione a Minsk, Lukashenka non si sentirebbe così libero di fare della sua nazione il proprio regno e del proprio regno una polveriera.

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