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“Kamala is a cop”. E allora?

Daniele Ranieri

La Harris sta antipatica alla sinistra di Twitter per i suoi trascorsi da dura quando era procuratore della California. Ma Biden per adesso ha sempre vinto grazie all’elettorato centrista. Ora raddoppia con la vice

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Roma. Nel gennaio 2019 una professoressa di Legge di San Francisco, Lara Bazelon, scrisse sul New York Times un op-ed devastante contro Kamala Harris, che allora era candidata alle primarie per diventare presidente. L’editoriale faceva a pezzi l’immagine che Kamala Harris amava dare di sé, quella del “procuratore progressista”. Inserita nel meccanismo della legge, ma con idee sue che contribuivano a rendere il sistema migliore e più umano. La Bazelon scriveva invece che Harris non è per nulla progressista, e portava una serie di argomenti non senza un certo rancore: non si opponeva alla pena di morte, non aveva tentato di rimediare a clamorosi errori processuali che tenevano gente innocente in galera e ogni volta che arrivava il momento di fare una scelta di politica progressista si asteneva – in particolare su una legge che permetteva di punire persino con la detenzione i genitori di studenti che saltavano la scuola. L’accusa era: Harris non è un’eroina antisistema, fa parte del sistema e ne approva gli aspetti peggiori. Quel singolo articolo è poi diventato la madre di tutte le critiche da sinistra contro Kamala Harris, riassunte nello slogan: Kamala is a cop. Kamala è un poliziotto.

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Roma. Nel gennaio 2019 una professoressa di Legge di San Francisco, Lara Bazelon, scrisse sul New York Times un op-ed devastante contro Kamala Harris, che allora era candidata alle primarie per diventare presidente. L’editoriale faceva a pezzi l’immagine che Kamala Harris amava dare di sé, quella del “procuratore progressista”. Inserita nel meccanismo della legge, ma con idee sue che contribuivano a rendere il sistema migliore e più umano. La Bazelon scriveva invece che Harris non è per nulla progressista, e portava una serie di argomenti non senza un certo rancore: non si opponeva alla pena di morte, non aveva tentato di rimediare a clamorosi errori processuali che tenevano gente innocente in galera e ogni volta che arrivava il momento di fare una scelta di politica progressista si asteneva – in particolare su una legge che permetteva di punire persino con la detenzione i genitori di studenti che saltavano la scuola. L’accusa era: Harris non è un’eroina antisistema, fa parte del sistema e ne approva gli aspetti peggiori. Quel singolo articolo è poi diventato la madre di tutte le critiche da sinistra contro Kamala Harris, riassunte nello slogan: Kamala is a cop. Kamala è un poliziotto.

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Roba che suonava brutta per un settore di elettori democratici nel 2019, figurarsi adesso nel 2020 mentre il paese è spaccato dall’uccisione di George Floyd davanti ai telefonini dei passanti su un marciapiede di Minneapolis.

 

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Stare in equilibrio in quel ruolo di procuratore nera, prima distrettuale e poi statale, in California – lo stato con le idee più liberal della nazione, ma anche uno stato da cinquanta milioni di persone e metropoli come Los Angeles – è stato complicato per Harris. Durante la sua prima campagna elettorale, per diventare procuratore a San Francisco, era considerata molto di sinistra, una che non aveva paura di affrontare i poliziotti se pensava che avessero fatto qualcosa di sbagliato. Ma poi c’è stata una svolta, che spiega il suo appiattimento come procuratore negli anni successivi. La data della svolta è il 10 aprile 2004. Un poliziotto in borghese di 29 anni, Isaac Espinoza, durante un turno straordinario di lavoro, quando invece doveva essere già a casa, vede un sospetto, prova a fermarlo, quello si gira, ha in mano un fucile d’assalto Kalashnikov, spara una raffica e lo ammazza. Espinoza aveva una moglie e una figlioletta di quattro anni, è il primo poliziotto ucciso in servizio in dieci anni, l’assassinio riscuote un’attenzione enorme. Tre giorni dopo viene fermato l’assassino, ha ventun anni, se ne occupa la Harris e la prima cosa che dice ai giornalisti è che merita il massimo della pena, cioè l’ergastolo senza possibilità di scarcerazione. Da parte sua è una scelta quasi obbligata, gli elettori californiani sono in maggioranza contro la pena di morte e lei aveva altre elezioni davanti. I poliziotti sono furiosi, il procuratore della città ha subito escluso in partenza che chiederà la pena di morte e il processo non è nemmeno cominciato. Molti dubitano che il colpevole, così giovane, riceverà l’ergastolo. Il funerale è un evento di massa, ci sono centinaia di poliziotti in divisa e di funzionari dello stato e della città, la vedova e la figlia davanti alla bara, partecipa anche la senatrice democratica della California, Dianne Feinstein, che è nel mezzo della battaglia congressuale sulla legge contro le armi d’assalto e non può apparire debole. L’hanno invitata a parlare, lei dice: “Questa non è soltanto la definizione di tragedia, è proprio quella circostanza speciale indicata dalla legge sulla pena di morte”. La senatrice si riferisce a una legge californiana del 1973, che indica l’omicidio di un agente come una delle circostanze speciali che possono giustificare la pena di morte. Ovazione dei poliziotti, che si girano tutti verso Harris. Smentita in pubblico dal Partito democratico durante il funerale di un agente ucciso. Quel giorno segnò il momento della spaccatura fra la polizia di San Francisco e il procuratore, che in tutte le candidature successive non ricevette mai l’endorsement dell’associazione degli agenti.

 

Negli anni successivi Harris diventerà molto cauta quando si tratta di prendere posizione. E spesso la cambierà. Nel suo libro del 2009 scrive che ci vorrebbe più polizia nelle strade perché tutti i cittadini rispettosi della legge si sentono più sicuri quando vedono più agenti, ma quest’anno ha detto al New York Times che volere più poliziotti nelle strade è una cosa da status quo, molto sbagliata.

 

E’ ovvio che quando la squadra del candidato democratico, Joe Biden, ha deciso di valutare e approvare la scelta di Harris come vice conosceva tutte queste cose. Sa che sarà una vice antipatica all’ala radicale del partito e che su Twitter c’è molta gente scatenata contro di lei. Ma Biden è arrivato sin qui perché ignora le mille frecciatine su Twitter e parla a un pubblico molto più ampio, l’elettorato americano che non vuole colpi di testa e che si chiede come rimediare al problema Trump senza ipercompensare a sinistra. Questa sua posizione gli ha permesso di demolire gli altri candidati, inclusi quelli più radicali, durante le primarie. Se il ragionamento è questo, il profilo di Kamala potrebbe essere quello giusto per un pubblico che vuole essere rassicurato.

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