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Il Regno Unito deve scegliere: a scuola o al pub?

Cristina Marconi

La vita sociale al tempo del virus è una coperta corta, per gli esperti di Londra bisogna decidere come ridurre le possibilità di contagio 

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Londra. Banchi o banconi? Vuoi far tornare a scuola i ragazzini che hanno più di 10 anni già dal mese prossimo? Benissimo, ma poiché la vita sociale in tempi di Covid è una coperta corta e stretta, si potrebbe dover chiudere qualcosa di altrettanto grande e importante per la società. Tipo i cruciali, totemici pub, pilastri dell’identità britannica, cuore pulsante del paese, unica storica zona franca di quel distanziamento sociale delle anime che il paese da sempre pratica e, ultimamente, anche comoda piattaforma di diffusione per il coronavirus. Povero, povero Boris Johnson, che da mesi vive la vita dell’eroe di una telenovela sudamericana, tra colpi di scena, ricoveri, nascite, consiglieri indifendibili, dilemmi laceranti: lunedì scorso, in una scuola elementare vuota, ha parlato con la sicurezza del grande statista quando ha ribadito che riaprire le scuole è un “dovere morale”. Peccato che nel frattempo un importante studio mettesse in rilievo che tra i bambini più grandi la propagazione del virus è molto simile a quanto avviene tra gli adulti.

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Londra. Banchi o banconi? Vuoi far tornare a scuola i ragazzini che hanno più di 10 anni già dal mese prossimo? Benissimo, ma poiché la vita sociale in tempi di Covid è una coperta corta e stretta, si potrebbe dover chiudere qualcosa di altrettanto grande e importante per la società. Tipo i cruciali, totemici pub, pilastri dell’identità britannica, cuore pulsante del paese, unica storica zona franca di quel distanziamento sociale delle anime che il paese da sempre pratica e, ultimamente, anche comoda piattaforma di diffusione per il coronavirus. Povero, povero Boris Johnson, che da mesi vive la vita dell’eroe di una telenovela sudamericana, tra colpi di scena, ricoveri, nascite, consiglieri indifendibili, dilemmi laceranti: lunedì scorso, in una scuola elementare vuota, ha parlato con la sicurezza del grande statista quando ha ribadito che riaprire le scuole è un “dovere morale”. Peccato che nel frattempo un importante studio mettesse in rilievo che tra i bambini più grandi la propagazione del virus è molto simile a quanto avviene tra gli adulti.

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Il primo a mettere in dubbio la sicurezza con cui Boris va favoleggiando del settembre prossimo era stato, con il consueto anticipo, il professor Neil Ferguson dell’Imperial College, quello che a marzo aveva fatto mandare rapidamente al macero la poetica ipotesi di lasciare il virus razzolare liberamente per il paese per raggiungere l’agognata immunità di gregge. Ferguson, costretto a dimettersi dal comitato Sage di consiglieri del governo per aver incontrato la sua amante durante il lockdown, ha detto che con le scuole secondarie aperte l’indice di riproduzione del virus aumenterebbe dello 0,2-0,5 e, visto che in alcuni posti, tra cui Londra, è già intorno a 1, c’è da trovare una soluzione in attesa del vaccino a primavera. Lui pensava a classi ridotte, settimane alterne, cose così, mentre a spingersi più in là è stato il presidente del sottogruppo del Sage che fa modelli per le pandemie, Sir Graham Medley, che ha lanciato il sasso: “Pensiamo che i pub siano più importanti delle scuole?”. Già, cosa pensiamo noi, deve essersi chiesto Boris, mentre i piccoli scozzesi si preparano a tornare sui banchi il 18 agosto e il resto del paese protesta per voti di maturità peggiori del previsto (gli esami non ci sono stati e le indicazioni dei professori sarebbero state riviste al ribasso)? Anche perché non basta aprirle, le scuole. Bisogna anche fare in modo che restino aperte.

   

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La professoressa Devi Sridhar dell’Università di Edimburgo, parlando al New York Times, si è unita a Medley nel dire che la cosa migliore sarebbe rinunciare “all’economia notturna”, visto che nella sola Aberdeen 800 persone si sono ritrovate chiuse in casa per essere state al pub. Il governo, giustamente preoccupato da una ripresa economica che non è partita come sperato, si è legato le mani con la promessa che “le scuole saranno in assoluto l’ultimo settore a chiudere in qualunque lockdown locale”. Se gli scienziati non sono convinti, gli insegnanti lo sono ancora meno e hanno risposto piccati alle parole di Boris, perché anche per loro è una priorità riportare i ragazzi a scuola, ma vorrebbero anche uno straccio di linee guida su come farlo, su come gestire un eventuale focolaio, su come comunicare con le famiglie. Tenendo conto anche del fatto che il sistema di test, tracciamento e isolamento non è all’altezza delle promesse fatte e deve essere significativamente migliorato. Fatto sta che il ministro dell’Istruzione Gavin Williamson – quello che un tempo aveva una tarantola sulla scrivania – è stato subito smentito, a mezzo prima pagina del Times, quando ha detto che “la scienza” afferma che le scuole non siano luoghi di contagio.

   

Gli autori dello studio di Public Health England, sulla base dell’esperienza di giugno e luglio, quando a scuola sono tornati i molto piccoli, asili e prime, e i dieci-undicenni, hanno stabilito che mentre per i primi i rischi sono effettivamente minimi, con 6 contagi su 9mila e nessuno avvenuto a scuola, i più grandi diffondono il virus in modo significativo, equiparabile a quello degli adulti. I dettagli dello studio li conosceremo in autunno, quando Boris avrà forse dovuto scegliere tra il morale e la morale del paese.

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