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La voce rotta di Tikhanovskaja, la donna forte della Bielorussia

Micol Flammini

La sfidante di Lukashenka è in esilio in Lituania. In un video spiega con le lacrime agli occhi i motivi della sua partenza 

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Roma. Svjatlana Tikhanovskaja non è in prigione, è in Lituania e sulle spalle porta una scelta dolorosissima: aver lasciato la Bielorussia delle proteste; la Bielorussia arrabbiata con il dittatore che vuole rimanere al potere anche se non è stato eletto; la Bielorussia che manifesta perché è ancora convinta di poter ottenere il riconteggio dei voti delle elezioni di domenica. Tikhanovskaja era scomparsa lunedì, quando, dopo una riunione nel suo quartier generale in cui aveva detto che l’opposizione non riconosceva la vittoria di Aljaksandr Lukashenka, era stata portata via e tenuta per tre ore nell’ufficio della Commissione elettorale. Durante quelle tre ore non si sa cosa le abbiano detto ma le hanno fatto registrare un video: Tikhavoskaja, seduta, legge un biglietto in cui dice ai manifestanti di lasciar perdere le proteste, accettare la sconfitta e rispettare la legge. Ma nessuno le ha creduto, anzi, vedere la propria leader costretta e probabilmente minacciata ha convinto ancora di più i bielorussi che la battaglia che stanno portando avanti va combattuta. Ad annunciare l’arrivo della Tikhanovskaja in Lituania è stato il ministro degli Esteri di Vilnius e questa mattina la candidata alla presidenza ha pubblicato un altro video in cui spiega le ragioni più intime della sua scelta e lo fa con le lacrime agli occhi. Racconta di non essere stata costretta da nessuno, di averlo fatto per i suoi figli e forse anche per debolezza. “Ho preso una decisione molto difficile e l’ho presa da sola. Né gli amici, né la mia squadra, né Sergei (suo marito arrestato durante la campagna elettorale) potrebbero influenzarmi. So che in molti mi capiranno, molti mi giudicheranno e che molti mi odieranno. Dio non voglia che un giorno dobbiate affrontare anche voi il mio dilemma”.

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Roma. Svjatlana Tikhanovskaja non è in prigione, è in Lituania e sulle spalle porta una scelta dolorosissima: aver lasciato la Bielorussia delle proteste; la Bielorussia arrabbiata con il dittatore che vuole rimanere al potere anche se non è stato eletto; la Bielorussia che manifesta perché è ancora convinta di poter ottenere il riconteggio dei voti delle elezioni di domenica. Tikhanovskaja era scomparsa lunedì, quando, dopo una riunione nel suo quartier generale in cui aveva detto che l’opposizione non riconosceva la vittoria di Aljaksandr Lukashenka, era stata portata via e tenuta per tre ore nell’ufficio della Commissione elettorale. Durante quelle tre ore non si sa cosa le abbiano detto ma le hanno fatto registrare un video: Tikhavoskaja, seduta, legge un biglietto in cui dice ai manifestanti di lasciar perdere le proteste, accettare la sconfitta e rispettare la legge. Ma nessuno le ha creduto, anzi, vedere la propria leader costretta e probabilmente minacciata ha convinto ancora di più i bielorussi che la battaglia che stanno portando avanti va combattuta. Ad annunciare l’arrivo della Tikhanovskaja in Lituania è stato il ministro degli Esteri di Vilnius e questa mattina la candidata alla presidenza ha pubblicato un altro video in cui spiega le ragioni più intime della sua scelta e lo fa con le lacrime agli occhi. Racconta di non essere stata costretta da nessuno, di averlo fatto per i suoi figli e forse anche per debolezza. “Ho preso una decisione molto difficile e l’ho presa da sola. Né gli amici, né la mia squadra, né Sergei (suo marito arrestato durante la campagna elettorale) potrebbero influenzarmi. So che in molti mi capiranno, molti mi giudicheranno e che molti mi odieranno. Dio non voglia che un giorno dobbiate affrontare anche voi il mio dilemma”.

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Svjatlana Tikhanovskaja non ha esperienza politica, non ha un manifesto, ma si è candidata con l’unico messaggio che la Bielorussia voleva sentirsi recapitare: proviamo, tutti insieme, a cacciare Lukashenka. Qualora fosse stata eletta – e secondo i risultati dello spoglio indipendente avrebbe vinto con il 70 per cento – avrebbe liberato gli oppositori politici, suo marito e tutti gli altri candidati, e probabilmente avrebbe affidato loro il compito di rinnovare la Bielorussia. L’energia che ha tirato e fuori dalla nazione è stata forte, inaspettata, viva. Queste non sono le prime proteste di Minsk contro Lukashenka, ma sono le più grandi e le più determinate anche perché lei è stata in grado di dare a questa battaglia un’unità mai trovata prima. A protestare sono i ragazzi ma anche gli anziani, sono gli intellettuali ma questa volta anche gli operai che ieri si sono uniti allo sciopero indetto da Tikhanovskaja.

   

Ma tutti hanno una debolezza e quella di Svjatlana era anche semplice da scoprire: ha 37 anni, un marito in prigione e due figli che pensava di aver messo al sicuro contro una dittatura che in passato ha fatto sparire più di un dissidente politico. Il presidente e il suo entourage hanno fatto in fretta a scoprire come costringerla a lasciare il paese, come allontanarla dalla nazione che sta sperimentando una violenza mai conosciuta prima. “Nessuna vita vale quello che sta accadendo, i bambini sono la cosa più importante che abbiamo”, dice nel video con la voce rotta. Lukashenka prima del voto aveva arrestato un oppositore dopo l’altro, lasciando soltanto a lei la possibilità di candidarsi, non pensava che una donna sarebbe riuscita a organizzare una campagna elettorale così travolgente, e quel che pesa di più nell’ascoltare il video della Tikhanovskaja dalla Lituania è la sua ammissione di debolezza: “Sono ancora la donna debole che ero all’inizio di tutto questo”. Questa debolezza però non l’hanno percepita i manifestanti, se il dittatore pensava che si sarebbero sentiti traditi aveva sbagliato. L’esilio di Tikhanovskaja ha reso ancora più forti le richieste di democrazia della piazza e nessuno si è tirato indietro. Rimane però la vera grande debolezza di questa protesta, che non è Tikhanovskaja, la sua paura o il suo essere madre e moglie, bensì l’assenza di una sponda politica. L’establishment, le élite sono tutte con il dittatore. E all’establishment e alle élite per ora va bene così.

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