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Trattare i lettori da adulti

Paola Peduzzi

Cosa dicono gli affezionati del WSJ sullo scontro interno tra News e Opinioni
 

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Roma. Il Wall Street Journal ha pubblicato una selezione di commenti dei propri lettori che conferma: questo non è il New York Times, non ci pieghiamo alle pressioni interne né a quelle esterne. La settimana scorsa, l’Editorial board del quotidiano americano di proprietà della famiglia Murdoch ha scritto una “nota ai lettori” in cui dava conto della lettera che era stata spedita al management del giornale da 280 dipendenti che denunciavano “la mancanza di trasparenza e di fact checking” delle pagine degli editoriali del quotidiano: questa mancanza di rispetto nei confronti dei fatti, scrivevano i 280 portando degli esempi, “compromette la fiducia dei nostri lettori e la nostra credibilità presso le fonti”. I responsabili delle pagine delle opinioni rispondevano: la vostra ansia “non è un nostro problema”, la redazione delle opinioni e quella delle news “operano con dipendenti e direttori separati” e questa separazione “ci permette di seguire storie e di informare i nostri lettori secondo il nostro giudizio indipendente”. L’obiettivo della nota era molto chiaro: sapevamo che la cancel culture sarebbe arrivata anche qui, era inevitabile, “ma noi non siamo il New York Times”. Mancava la risposta dei lettori: davvero hanno meno fiducia nel Wall Street Journal? I sette lettori selezionati dicono: no, avremmo meno fiducia se sapessimo che la denuncia della redazione delle News fosse accolta. L’esatto contrario del meccanismo che si è attivato al New York Times, dove le pressioni hanno portato il direttore della redazione delle opinioni, James Bennet, a dimettersi e il suo braccio destro, Bari Weiss a fare lo stesso dicendo: “Twitter è il direttore del New York Times”.

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Roma. Il Wall Street Journal ha pubblicato una selezione di commenti dei propri lettori che conferma: questo non è il New York Times, non ci pieghiamo alle pressioni interne né a quelle esterne. La settimana scorsa, l’Editorial board del quotidiano americano di proprietà della famiglia Murdoch ha scritto una “nota ai lettori” in cui dava conto della lettera che era stata spedita al management del giornale da 280 dipendenti che denunciavano “la mancanza di trasparenza e di fact checking” delle pagine degli editoriali del quotidiano: questa mancanza di rispetto nei confronti dei fatti, scrivevano i 280 portando degli esempi, “compromette la fiducia dei nostri lettori e la nostra credibilità presso le fonti”. I responsabili delle pagine delle opinioni rispondevano: la vostra ansia “non è un nostro problema”, la redazione delle opinioni e quella delle news “operano con dipendenti e direttori separati” e questa separazione “ci permette di seguire storie e di informare i nostri lettori secondo il nostro giudizio indipendente”. L’obiettivo della nota era molto chiaro: sapevamo che la cancel culture sarebbe arrivata anche qui, era inevitabile, “ma noi non siamo il New York Times”. Mancava la risposta dei lettori: davvero hanno meno fiducia nel Wall Street Journal? I sette lettori selezionati dicono: no, avremmo meno fiducia se sapessimo che la denuncia della redazione delle News fosse accolta. L’esatto contrario del meccanismo che si è attivato al New York Times, dove le pressioni hanno portato il direttore della redazione delle opinioni, James Bennet, a dimettersi e il suo braccio destro, Bari Weiss a fare lo stesso dicendo: “Twitter è il direttore del New York Times”.

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Nicholas Petro da Omaha, Nebraska, dice: so che quando leggo le notizie mi posso fidare, ma mi “avvilisce” sapere che dei giornalisti vogliono cambiare la sezione delle opinioni, “è compito del lettore capire se è d’accordo o no con un articolo d’opinione”, “una mente aperta è cruciale per il progresso, e silenziare voci differenti non fa altro che portarci alla decadenza”. Se la richiesta di riforma viene accolta, “non rinnoverò il mio abbonamento”. Vince Pasquale da Lontana, Texas, è più sintetico: che bello sapere che non siete come il New York Times, è per questo che vi leggo, e trovo “rassicurante sapere che non cambierete la vostra filosofia”. Tom Quade da Edgerton, Montana, scrive che ha iniziato a leggere il Wall Street Journal all’università, quarant’anni prima, perché un professore diceva che si trovavano buone notizie finanziarie. Lui si era messo a guardare anche gli editoriali e anche se il più delle volte non li condivideva li trovava ben argomentati e li usava per stuzzicare i suoi amici (liberal, come lui) a discussioni anche aspre ma belle. Non cambiate mai e anzi, “per favore incoraggiate la ‘generazione Howard Zinn’ di giovanotti che lavora nella redazione delle notizie a diventare grande” (Zinn è stato uno storico e attivista americano conosciuto anche in Italia: nel 2008, due anni prima di morire, aveva firmato un appello al voto per Sinistra Critica). Mike Meyer da Minneapolis dice che le opinioni sono “a volte troppo partigiane” e che dovrebbero “trovare un po’ più di equilibrio”, ma “come on, guys”, vi leggo da 35 anni, se dovete litigare non fatecelo vedere. Krishnamurthy Balachandran di Sunnyvale, California, dice: non vi leggo, farei un abbonamento se i 280 vincessero la battaglia. Louis Garguilo di Slingerlands, New York, ribalta la questione: la redazione delle notizie sta andando a sinistra, ditele di fermarsi, e di limitarsi a raccontare le notizie. Il più breve e il più preciso è Bruce Duxbury di Ballston Spa, New York, scrive: “Non ho mai avuto problemi a vedere la differenza tra una notizia e un’opinione”. Questo è il punto: trattare i lettori da adulti, e poi esserlo, adulti.

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