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Il perverso Trump sulla via del tradimento

Giuliano Ferrara

Il presidente vuole rinviare le elezioni, non avendone i poteri, perché teme di perderle. Quest’ultima indecenza assieme alle altre è “il” problema assoluto della democrazia mondiale. Ci vogliono nervi saldi e istinto costituzionale ferrigno

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A ciascuno la sua pena. A noi le preoccupazioni costituzionali sul Fürherprinzip incarnato da Giuseppi, la solita perdita di tempo, agli americani la battaglia contro un gangster, un incubo di bel nuovo, che vuole rinviare, non avendone i poteri, le elezioni regolate da una legge federale e da procedure iscritte in Costituzione (la più antica carta democratica scritta del mondo). Denunciare preventivamente come fraudolente, via Twitter, elezioni che i sondaggi oggi indicano come perdute per il presidente in carica: è l’ultimo esercizio di indecenza venuto da un demente con alto profilo criminale, finalmente smascherato ma, come anticipato qui due giorni fa, ancora più pericoloso ora che è battibile nelle urne. E’ da sperare che il rigetto sia universale e univoco, definitivo e chiuso a ogni possibile apertura. Ne va di un sistema di governo, di una democrazia liberale di massa, della democrazia mondiale.

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A ciascuno la sua pena. A noi le preoccupazioni costituzionali sul Fürherprinzip incarnato da Giuseppi, la solita perdita di tempo, agli americani la battaglia contro un gangster, un incubo di bel nuovo, che vuole rinviare, non avendone i poteri, le elezioni regolate da una legge federale e da procedure iscritte in Costituzione (la più antica carta democratica scritta del mondo). Denunciare preventivamente come fraudolente, via Twitter, elezioni che i sondaggi oggi indicano come perdute per il presidente in carica: è l’ultimo esercizio di indecenza venuto da un demente con alto profilo criminale, finalmente smascherato ma, come anticipato qui due giorni fa, ancora più pericoloso ora che è battibile nelle urne. E’ da sperare che il rigetto sia universale e univoco, definitivo e chiuso a ogni possibile apertura. Ne va di un sistema di governo, di una democrazia liberale di massa, della democrazia mondiale.

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Avevamo per tempo segnalato che con l’elezione di Trump, quel giorno sventurato di quattro anni fa, era venuto il momento non già di domandarsi il “perché” e il “come” ma solo e esclusivamente il “chi”. Tutta la legittima preoccupazione per il clan dei clintoniani, per il naufragio dei liberal nella politica dell’identità, per l’inabissamento di conservatori e neoconservatori, per la sorte dei forgotten men esclusi dai vantaggi della globalizzazione economica, per lo spirito hillbilly della parte del paese incastrato in una crisi seria dell’occupazione, tutta la mal celata ammirazione per l’outsider di talento nell’evocazione dello spirito di feccia limaccioso circolante nei precordi dell’America, per le gesta di un emulo grottesco e perfino l’opposto del ben diverso e serio fenomeno del pop Berlusconi, tutta quella retorica doveva cedere il passo di fronte alla personalità sleale, vanagloriosa, nevrotica fino alla paranoia, del candidato vincente per un pugno di voti nel Collegio elettorale. Si può dire che ogni giorno che Dio ha mandato in terra ha confermato che Trump non poteva cambiare, non poteva convivere con la legge e con l’onore, con la dignità e la competenza, non poteva organizzare uno staff stabile diverso da una cosca di sodali, poteva solo forzare i limiti del potere esecutivo trasformandolo in un’arma di narcisismo demagogico. Così è stato e ora che siamo alla resa dei conti, ora che il consenso svanisce, ecco che l’animale ferito si ribella al suo destino e d’istinto piazza la prima di molte possibili mine sul cammino democratico di una nazione da cui dipende l’equilibrio mondiale.

  

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Non è un gigantesco problema di tutti, è “il” problema assoluto della politica a tutte le latitudini. Quest’uomo che vuole osare l’impensabile ha nelle sue mani leve decisive come la politica estera e di sicurezza domestica, ha in gestione esecutiva dispositivi di potere civile e militare inauditi, considerati come appannaggio di un ristretto circolo familiare che alla fine risale solo e soltanto ai voleri patriarcali del capo, del padre-padrone, e ha tutta l’intenzione di usare questi poteri per rendere intollerabile, incandescente, un ordinario passaggio della carica intuito come un’apocalisse personale e una lacerazione nella coscienza infantile, cattiva, di perverso polimorfo, che lo guida e lo seduce da quando è stato un ridicolo Grande Fratello di successo, proiettato come un bambino viziato nella carica più importante al mondo. Oggi tutti scriveranno giustamente che nemmeno durante la guerra di secessione furono rinviate le elezioni, ma il vero problema è che la gang di Trump sta essa cercando di scatenare un clima da guerra civile, e solo nervi saldi e istinto costituzionale ferrigno potranno salvare l’antica tradizione del Partito repubblicano, tradita dalla rincorsa degli opportunismi, e le speranze politiche, al di là delle divisioni partigiane e delle coalizioni identitarie o etniche, dei cittadini degli Stati Uniti, e del mondo che guarda attonito mentre il virus fa la sua corsa indisturbata e l’economia crolla.

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