Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio con l'omologo cinese Wang Yi (Foto LaPresse)

Di Maio e la Cina sono in una relazione complicata

Giulia Pompili

Della stessa conversazione tra il ministro degli Esteri e il suo omologo cinese Wang Yi ci sono due versioni. L'Italia sempre in prima linea nella propaganda di Pechino

Come nelle migliori storie d'amore un po' complicate, i due interlocutori, della medesima conversazione, ascoltano (e riportano) solo quello che vogliono ascoltare. Ma quando si tratta di diplomazia due messaggi diversi – quasi antitetici – mandano un messaggio confuso, sbagliato, quasi manipolatorio. Dov'è la verità? Di cosa si è parlato davvero?

  
Stamattina il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha parlato in videoconferenza con il suo omologo cinese, Wang Yi. Lo scarno comunicato della Farnesina parla di una conversazione sul “rilancio del partenariato economico e l'export di prodotti agroalimentari” ­– ma come, il memorandum sulla Via della Seta non aveva già rilanciato a sufficienza? –­ “la lotta al Covid-19 e la cooperazione globale per un vaccino”, e poi “la transizione digitale” ma soprattutto un tema particolarmente spinoso, sul quale il ministero degli Esteri italiano si è distinto per indifferenza: “La situazione a Hong Kong e la tutela dell'autonomia”. Bene, bravo, bis.

    
La versione della conversazione del ministero degli Esteri cinese è però un tantino differente. Come riporta Keegan Elmer sul South China Morning Post, Pechino avrebbe chiesto all'Italia di rimanere “indipendente” rispetto a “certi paesi” che vogliono intromettersi nelle relazioni bilaterali. Il riferimento è chiaramente agli Stati Uniti, ai tour dei funzionari della Casa Bianca (prima O'Brien e Pottinger, poi Pompeo) per rinnovare l'alleanza anticinese in chiave pro-America. Secondo la versione cinese, Di Maio avrebbe detto a Wang che “l'Italia vorrebbe fare da ponte negli affari internazionali”, aiutando così anche i rapporti tra Ue e Cina. Di Maio avrebbe anche ringraziato la Cina per l'aiuto durante la fase critica della pandemia, l'ennesimo ringraziamento non dovuto, dato che abbiamo pagato tutto, e anche caro, quello che abbiamo comprato dalla Cina.

   
Il ministro Di Maio, l'uomo che ha posto la firma sull'intesa con la Cina sulla Via della Seta il 23 marzo del 2019 e che non ha mai nascosto la sua simpatia per il governo autoritario di Pechino (come del resto tutto il Movimento), in un'intervista del 13 luglio scorso sul Foglio pareva aver cambiato posizione, per mostrarsi più anticinese e più atlantista che mai. Quando non si danno risposte chiare, in diplomazia, ogni versione può essere quella vera.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.