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La Merkel e il rosa

Daniel Mosseri

Il piano per la parità di genere della Germania sfata un mito e apre nuove vie di alleanze politiche

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Berlino. Fra i grandi paesi europei la Germania è quello con più donne in posizione di potere. Almeno a prima vista. Angela Merkel è cancelleria ormai da un’èra geologica: il suo primo insediamento risale al novembre del 2005. La sua tre volte ministra (della Famiglia, del Lavoro, della Difesa) Ursula von der Leyen è stata promossa a inizio 2019 alla guida della Commissione europea. Un po’ meno successo ha avuto Annegrett Kramp-Karrenbauer che a dicembre lascerà la presidenza del partito comune alle tre donne (la Cdu) ma che continua a dirigere il ministero della Difesa.

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Berlino. Fra i grandi paesi europei la Germania è quello con più donne in posizione di potere. Almeno a prima vista. Angela Merkel è cancelleria ormai da un’èra geologica: il suo primo insediamento risale al novembre del 2005. La sua tre volte ministra (della Famiglia, del Lavoro, della Difesa) Ursula von der Leyen è stata promossa a inizio 2019 alla guida della Commissione europea. Un po’ meno successo ha avuto Annegrett Kramp-Karrenbauer che a dicembre lascerà la presidenza del partito comune alle tre donne (la Cdu) ma che continua a dirigere il ministero della Difesa.

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Altri partiti tedeschi vedono donne in posizione di comando: Annalena Baerbock è copresidente dei Verdi, Saskia Esken dei socialdemocratici (Spd) e Katja Kipping della Linke. Uno scenario sconosciuto alle nostre latitudini e in apparenza molto amico delle donne. Le apparenze però ingannano: complice una severa legge sulla privacy che impedisce ai lavoratori di un’azienda di parlare ad alta voce del proprio salario, la Germania è uno dei paesi occidentali dove oggi le donne guadagnano nettamente di meno dei loro colleghi maschi. Il gender gap salariale è stato quantificato nel 21 per cento. Più in generale le donne in Germania non hanno l’auto aziendale né ricoprono posizioni dirigenziali, soprattutto in settori come industria e finanza. Il problema non è solo la riservatezza ma ha radici antiche, negli anni del boom economico. Nel periodo subito successivo alla fine della Seconda guerra mondiale le donne erano ambite da un’industria rimasta orfana degli uomini inviati al fronte: la parità salariale risale ad allora. Ma quando il boom economico lo ha permesso, tante donne si sono occupate di casa e figli, mentre il marito lavorava fuori.

 

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Cultura, legge e fisco hanno fatto il resto: Rabenmutter (“mamma corvo”) è il termine dispregiativo con cui si indica in tedesco la donna che antepone la carriera ai biberon; il Parlamento ha abrogato il diritto riconosciuto al marito di impedire alla moglie di lavorare fuori casa solo nel 1977; e il sistema fiscale continua nei fatti a penalizzare le famiglie con doppia fonte di reddito. Gli studi sul gender gap non si contano e, consapevole che una differenza del 20 per cento nel salario di oggi si traduce in una differenza del 40 per cento nella pensione domani, il governo Merkel è passato al contrattacco.

 

È stata la ministra per la Famiglia, Franziska Giffey (Spd), a presentare il piano strategico per l’uguaglianza di genere approvato dall’esecutivo. Un piano, ha spiegato Giffey, che attraversa le articolazioni dello stato – “perché l’uguaglianza non può più essere una competenza solo del mio ministero” – e che sarà “un filo rosso” anche per i governi a venire: un problema antico richiede tempo per essere risolto. Denominata “Forti per il futuro”, la strategia si articola su diversi assi: centrale la questione pensionistica con troppe donne penalizzate per il ricorso al part-time; il piano propone poi di valorizzare le professioni cosiddette sociali (quelle come infermiera o maestra, ricoperte in gran parte da donne); occorre poi spingere su digitalizzazione e lavoro da casa per meglio conciliare carriera e genitorialità; Merkel e Giffey vogliono anche più donne nei cda delle imprese grandi e piccole, nel mondo della cultura, nei giornali e nella scienza. Non ultima arriva la politica: a sorpresa la Cdu è il partito tedesco con la più bassa rappresentanza femminile: il 19,9 per cento al Bundestag contro il 60 per cento dei Verdi e il 42 della Spd. Peggio fanno solo i sovranisti di AfD (11 per cento), non a caso l’unica formazione tedesca apertamente contraria alla strategia per l’uguaglianza. La Cdu ha proposto nuove quote rosa nel partito: il 30 per cento da subito, il 40 nel 2023 e il 50 nel 2025 e sarà il prossimo congresso – quello di dicembre con quattro uomini in corsa per rimpiazzare Akk – a discuterle. In compenso il piano per l’uguaglianza ha fatto furore fra Verdi e Spd. Non a caso le due formazioni con cui la Cdu governa oggi (i socialdemocratici) o spera di governare domani (i Verdi). La strategia è ben sperimentata e ha già funzionato dieci anni fa con il no al nucleare: Merkel accompagna la Cdu a elezioni nel 2021 forte di una proposta che da un lato toglie forza alla piattaforma dei suoi concorrenti e che allo stesso tempo rinnova la Cdu agli occhi dell’elettorato femminile, trasformandola da un partito di (poche) donne a un partito per le donne.

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