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La fronda anticinese (e anti Huawei) dei Tory

Gregorio Sorgi

Neil O’Brien, il parlamentare conservatore inglese più falco contro la Cina, ci spiega l’effetto domino in Europa dell'estromissione dell’azienda cinese dalla costruzione della rete 5G del Regno Unito

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Londra. Se fino a pochi mesi fa la questione europea dilaniava i conservatori britannici, oggi l’ostilità verso la Cina unisce il gruppo parlamentare dei Tory. La marcia indietro del governo inglese, che ha estromesso l’azienda cinese Huawei dalla costruzione della rete 5G britannica solo sette mesi dopo avere dato il via libera all’operazione, è nata dal timore di una rivolta parlamentare (oltre che dalle note pressioni internazionali). La fronda anticinese dei Tory è cresciuta a dismisura nelle ultime settimane, rispecchiando un’opinione pubblica sempre più sino-scettica. “Molti cittadini, e di conseguenza molti parlamentari, sono diventati diffidenti nei confronti di Pechino ultimamente”, spiega al Foglio Neil O’Brien, parlamentare conservatore e cofondatore del China Research Group (Crg), una corrente che combatte contro l’influenza crescente della Cina in Gran Bretagna. La decisione del governo su Huawei va nella direzione auspicata dal Crg, malgrado alcuni deputati conservatori volessero estromettere l’azienda cinese prima del 2027. “Questo punto sarà meno fondamentale di quello che credono in molti. La parte più importante dell’annuncio di martedì è che le aziende di telecomunicazioni britanniche non potranno più acquistare i dispositivi di Huawei da gennaio 2021 – spiega O’Brien – Dunque non useranno le forniture dell’azienda cinese per i progetti a lungo termine e saranno costrette ad affidarsi ad altre compagnie, che saranno in grado di entrare nel mercato britannico”.

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Londra. Se fino a pochi mesi fa la questione europea dilaniava i conservatori britannici, oggi l’ostilità verso la Cina unisce il gruppo parlamentare dei Tory. La marcia indietro del governo inglese, che ha estromesso l’azienda cinese Huawei dalla costruzione della rete 5G britannica solo sette mesi dopo avere dato il via libera all’operazione, è nata dal timore di una rivolta parlamentare (oltre che dalle note pressioni internazionali). La fronda anticinese dei Tory è cresciuta a dismisura nelle ultime settimane, rispecchiando un’opinione pubblica sempre più sino-scettica. “Molti cittadini, e di conseguenza molti parlamentari, sono diventati diffidenti nei confronti di Pechino ultimamente”, spiega al Foglio Neil O’Brien, parlamentare conservatore e cofondatore del China Research Group (Crg), una corrente che combatte contro l’influenza crescente della Cina in Gran Bretagna. La decisione del governo su Huawei va nella direzione auspicata dal Crg, malgrado alcuni deputati conservatori volessero estromettere l’azienda cinese prima del 2027. “Questo punto sarà meno fondamentale di quello che credono in molti. La parte più importante dell’annuncio di martedì è che le aziende di telecomunicazioni britanniche non potranno più acquistare i dispositivi di Huawei da gennaio 2021 – spiega O’Brien – Dunque non useranno le forniture dell’azienda cinese per i progetti a lungo termine e saranno costrette ad affidarsi ad altre compagnie, che saranno in grado di entrare nel mercato britannico”.

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Il deputato esamina le diverse ragioni che hanno spinto il governo a tornare sui propri passi – la pressione anticinese ricevuta dagli Stati Uniti, la legge del regime di Pechino contro Hong Kong e la guerra commerciale tra Cina e Australia – e lascia intendere che Pechino è stata punita per le proprie azioni. “La scelta del governo è stata dettata da molte ragioni. E’ chiaro che ci troviamo di fronte a una Cina molto più aggressiva rispetto al passato, il paese compie ripetutamente delle gravi violazioni dei diritti. E’ innegabile che le sanzioni americane contro Huawei hanno cambiato le carte in tavola e influenzato la decisione del nostro governo. Però questa scelta è stata dettata da un timore crescente e strutturale nei confronti della Cina. Non è stato un semplice atto di clemenza verso i nostri alleati americani”.

 

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A proposito di pressioni statunitensi: la scelta del governo inglese avrà un effetto domino sugli altri paesi europei? “Ho parlato di recente con due diplomatici stranieri che erano molto interessati all’approccio inglese verso Huawei. Molti paesi europei stanno affrontando il nostro stesso dilemma: la Danimarca ha ricevuto pressioni enormi dalla Cina per mantenere l’accesso a Huawei (il governo di Pechino ha minacciato di stracciare un accordo commerciale con le Isole Faroe come ritorsione, ndr), e altri stati come la Repubblica Ceca sono diventati molto diffidenti verso l’azienda. Vedo che gran parte dell’Europa comprende la minaccia di Huawei, e mi auguro che la Gran Bretagna sia solo il primo paese europeo a vietare l’accesso alla compagnia”.

 

Il fatto che un conservatore moderato come O’Brien – già braccio destro dell’ex cancelliere George Osborne e dell’ex premier Theresa May – sia diventato il capofila della corrente anticinese è il segno di un netto riposizionamento del partito e di tutta la politica inglese. Anche il Labour ha avallato la scelta del governo su Huawei. Tuttavia, O’Brien rifiuta l’etichetta di sinoscettico (“not at all!”) e articola la sua missione in modo diverso: “Il nostro obiettivo è quello di dare vita a un dibattito su come affrontare l’ascesa della Cina. Sono critico nei confronti delle politiche del governo cinese e penso che il nostro obiettivo di fondo debba essere quello di riequilibrare il rapporto economico con Pechino. A oggi non c’è alcuna reciprocità. La Cina è libera di investire in alcuni settori chiave della Gran Bretagna, ma noi non possiamo fare lo stesso nel loro paese. Inoltre il governo di Pechino elargisce grandi sussidi alle proprie aziende e pratica lo spionaggio industriale. Noi siamo aperti verso l’estero e loro sono chiusi. Penso che questo rapporto asimmetrico sia profondamente ingiusto”. Però la Gran Bretagna non può fare a meno della Cina. Temete delle ripercussioni dopo la scelta su Huawei? “Non possiamo escludere nulla. Però dobbiamo anche ricordare che la Cina ha un interesse ad avere dei buoni rapporti con la Gran Bretagna: non commerciano con noi per spirito di carità”.

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