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Piazza piena in Serbia contro il presidente che s’atteggia a Orbán

Matteo Tacconi

I manifestanti protestano contro la gestione scriteriata dell’epidemia. Vucic ha revocato il lockdown per vincere le elezioni

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Roma. Belgrado era un formicaio, martedì e mercoledì notte. Migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro l’annuncio, dato dal presidente Aleksandar Vucic, di nuove misure per contenere l’epidemia di coronavirus: un lungo e severo lockdown da attuare in questo fine settimana. Le manifestazioni sono nate spontaneamente. Vi hanno preso parte studenti, famiglie, politici dell’opposizione democratica e i nazionalisti di Dveri, entrambi rimasti fuori dal Parlamento alle elezioni del 21 giugno, stravinte dal Partito progressista (Sns) di Vucic, al potere dal 2012, che ha ottenuto il 60 per cento.

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Roma. Belgrado era un formicaio, martedì e mercoledì notte. Migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro l’annuncio, dato dal presidente Aleksandar Vucic, di nuove misure per contenere l’epidemia di coronavirus: un lungo e severo lockdown da attuare in questo fine settimana. Le manifestazioni sono nate spontaneamente. Vi hanno preso parte studenti, famiglie, politici dell’opposizione democratica e i nazionalisti di Dveri, entrambi rimasti fuori dal Parlamento alle elezioni del 21 giugno, stravinte dal Partito progressista (Sns) di Vucic, al potere dal 2012, che ha ottenuto il 60 per cento.

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A un certo punto si sono registrati scontri durissimi tra manifestanti e polizia. Cariche, arresti e feriti, anche tra gli agenti. Vucic, durante una conferenza con il premier ungherese Viktor Orbán, ha gridato alla regia esterna, occidentale, nelle proteste. Dopo i disordini, il lockdown è stato revocato. Ci saranno solo alcune limitazioni agli assembramenti, sia negli spazi all’aperto che in quelli al chiuso.

 

Se ci si fermasse ai soli numeri, la ragione sembrerebbe dalla parte di Vucic. Il numero dei contagi – 17mila in tutto, con 341 morti – è salito rapidamente nelle ultime settimane. Le strutture sanitarie, poco attrezzate, rischiano il collasso. Il punto, tuttavia, è che le tante persone scese in piazza, anche in altre città della Serbia, rimproverano proprio al presidente l’aumento dei contagi: la conseguenza di una gestione scriteriata della pandemia.

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Inizialmente Vucic, capo dello stato dal 2017 dopo essere stato vice premier e premier, ha minimizzato. “Un virus ridicolo”, così ha definito il Covid-19. Poi, di colpo, ha introdotto un lockdown dal registro quasi militare, tra i più rigidi in Europa, e rimandato le legislative dal 26 aprile al 21 giugno. Un paio di settimane prima del voto ha revocato le restrizioni, evitando ogni gradualità nel ritorno alla vita di prima. Per molti è stato solo cinismo elettorale, un modo per trascinare quanta più gente possibile ai seggi e far sì che il boicottaggio del voto deciso dall’Alleanza per la Serbia, la principale forza di opposizione, non avesse successo. L’affluenza è stata del 48 per cento, non così inferiore a quella delle parlamentari del 2016 (56 per cento). Le opposizioni accusano il Partito progressista, un partito che a dispetto del nome ammicca al sovranismo, di aver trasformato la Serbia in una semi-dittatura. Gli uomini di Vucićc controllano le istituzioni centrali, la magistratura, quasi tutti i comuni del paese e la stampa: negli ultimi anni diverse testate indipendenti sono entrate nell’orbita del governo. L’Aventino serbo è stata una forma di protesta per questa erosione della democrazia.

 

Nel nuovo Parlamento ci saranno i socialisti, alleati dell’Sns, l’Alleanza patriottica, una forza nazionalista che ha superato di un soffio lo sbarramento del 3 per cento, e i partitini delle minoranze ungherese, albanese e bosniaco musulmana. Per Vucic e il suo approccio al potere – un mix di centralismo, paternalismo, autoritarismo e cospirazionismo – il campo è sempre più libero. E secondo i manifestanti la gestione della pandemia è uno specchio di come il presidente gestisce il paese. Le proteste dei giorni scorsi sono state prima di tutto un’espressione di rabbia disperata da parte di cittadini rimasti senza rappresentanza. L’Aventino – viene da chiedersi – era davvero la cosa giusta da fare?

Intanto stanno per ripartire i negoziati con il Kosovo. Belgrado e Pristina cercano un accordo che porti al reciproco riconoscimento diplomatico, chiudendo il lungo conflitto congelato. Si parla persino di scambio di territori, con Washington che avallerebbe l’ipotesi. L’Unione europea, cui la Serbia vorrebbe aderire anche se sembra più attratta dalle sirene russe e cinesi, è più cauta. Anche in questa partita c’è solo un uomo a comandare: Aleksandar Vucic. E poiché il Kosovo per tanti serbi è una questione molto sensibile, non è da escludere che Belgrado torni presto un formicaio.

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