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La politica estera del semestre europeo della Germania

Jean-Pierre Darnis e Federico Niglia

La strategia e gli interessi internazionali della presidenza tedesca trovano un compromesso con le ambizioni globali della Francia. Una prospettiva geopolitica per Bruxelles e un'opportunità anche per l'Italia (ma bisogna saperla cogliere)

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Ci si interroga molto, giornali specializzati e centri di ricerca inclusi, sul ruolo trainante che la Germania avrà nei prossimi mesi, che poi coincidono con il semestre di presidenza tedesca dell’Unione europea. Il pubblico ama le assonanze e le coincidenze e certo qui non ne mancano: tedeschi sono infatti il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il direttore del Mes, Klaus Regling e, ovviamente, Angela Merkel. La cancelliera e il governo tedesco sono convinti che ci si trovi in una situazione in cui la salvezza di tutti passa per un forte potenziamento dell’Unione europea non solo al suo interno, ma anche in rapporto alle altre potenze globali. Dunque now or never: o l’Unione europea esce rafforzata da questa transizione oppure finirà lacerata dalle tensioni interne e messa sotto scacco sulla scena internazionale.

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Ci si interroga molto, giornali specializzati e centri di ricerca inclusi, sul ruolo trainante che la Germania avrà nei prossimi mesi, che poi coincidono con il semestre di presidenza tedesca dell’Unione europea. Il pubblico ama le assonanze e le coincidenze e certo qui non ne mancano: tedeschi sono infatti il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il direttore del Mes, Klaus Regling e, ovviamente, Angela Merkel. La cancelliera e il governo tedesco sono convinti che ci si trovi in una situazione in cui la salvezza di tutti passa per un forte potenziamento dell’Unione europea non solo al suo interno, ma anche in rapporto alle altre potenze globali. Dunque now or never: o l’Unione europea esce rafforzata da questa transizione oppure finirà lacerata dalle tensioni interne e messa sotto scacco sulla scena internazionale.

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Al di là delle singole iniziative, che saranno molto condizionate dall’andamento della pandemia e da quello che accadrà negli altri paesi (Stati Uniti in primis), si può immaginare un forte collegamento tra le riforme portate avanti all’interno dell’Unione e i principi ispiratori della sua politica estera. Sul piano interno l’idea di “cavalcare” la pandemia (e la crisi da essa derivante) per operare una forte ristrutturazione del tessuto produttivo dell’Unione va letta come un tentativo di attualizzare anche il concetto di democrazia. Questa idea si riflette nel rapporto con le grandi potenze: vale per l’America di Trump ma anche e soprattutto per la Cina di Xi. Si può addirittura azzardare l’interpretazione per cui l’idea di uno spazio europeo democratico, sostenuto dalla Germania e dalla sua visione del processo di allargamento, si sia ora traslato nella dimensione internazionale dell’Unione.

 

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La peculiarità del momento storico che ci apprestiamo a vivere risiede dunque nella perfetta coerenza tra la dimensione politica interna della Germania, la sua strategia europea e la sua politica globale. A voler usa un facile stereotipo si potrebbe dire: tutto molto tedesco! Resta però da comprendere chi saranno i partner della Germania nella realizzazione di questo progetto così ambizioso. In questo la Germania non potrà probabilmente avvalersi della collaborazione di quei paesi che rientrano nella sua area geopolitica e geoeconomica, proprio perché si tratta di quei paesi già menzionati che presentano il deficit democratico di cui si è detto o che sono privi della capacità di comprendere quello slancio globale di cui parla Merkel (il riferimento è a Olanda e Austria).

 

Prendendo atto della dipartita britannica e lasciando per un attimo da parte l’Italia, non rimane che la Francia. L’intesa franco-tedesca riposa su solide basi storiche: il trattato dell’Eliseo del 1963 rappresentò un enorme passo in avanti, con l’ambizione di legare istituzionalmente due nazioni che non avevano mai smesso di farsi la guerra. La riconciliazione dei due nemici storici non rappresentò un semplice sviluppo diplomatico, ma piuttosto una svolta di due paesi che, da quel momento in poi, hanno mantenuto sempre aperti i canali di dialogo, attraverso un sistema di relazioni bilaterali particolarmente profonde. Questo sforzo non va sottovalutato soprattutto se si tiene presente che entrambi i paesi vedono nel partner un “estraneo”, per le profonde differenze che caratterizzano sia le culture politiche che definiscono i due paesi sia gli equilibri istituzionali che li regolano. È forse proprio per questo motivo che quello che viene impropriamente chiamato asse franco-tedesco è tanto importante per il futuro dell’Unione europea, perché contiene una serie di camere di compensazione che permettono un compromesso costante e continuo che poi permette alle politiche comuni, da quelle bilaterali a quelle comunitarie, di “decollare”.

 

Ma tutto questo non ci deve portare a sottostimare le profonde diversità che caratterizzano la visione globale dei due paesi. È necessario guardare a Charles de Gaulle, proprio a colui che più fortemente volle la riconciliazione con la Germania di Adenauer, per capire il Dna internazionale della Francia. La visione neo-gollista della politica estera concepisce la Francia come una potenza mondiale, sovrana e autonoma. Questa visione non è stata mai smentita, rimane espressa anche tramite attributi di potenza mondiale come la dissuasione nucleare, la sede permanente al consiglio di sicurezza delle Nazione unite o la difesa di un ruolo culturale e linguistico mondiale. Alcuni autori hanno proposto la formula di “media potenza di portata mondiale” per la Francia di oggi. Rimane quindi la questione della potenza, quell’impronta realista di uno stato che usa anche la forza militare per difendere quello che considera come i suoi interessi, ad esempio nella zona del Sahel. Questa concretezza nell’uso del potere militare non deve però condurci a considerare la Francia come una specie di potenza svincolata dalle regole. Si tratta di un’analisi errata che purtroppo caratterizza molti osservatori esterni della Francia, soprattutto in Italia. Una larga parte dell’azione internazionale della Francia si sviluppa nell’ambito dell’Unione europea, e segue i canali e le regole dell’Unione che si basano su convergenze e alleanze, in un’opera di constante mediazione. Inoltre, la Francia è stata sempre attenta al multilateralismo onusiano, ma anche alla ricerca di promozione di ulteriori soluzioni multilaterali come ben illustrato dall’accordo di Parigi sul clima (COP 21) del 2015. Possiamo quindi osservare un doppio binario per il rapporto della Francia al mondo, quello della “potenza mondiale” ormai ridotto una serie circoscritta di ambiti operativi, ad esempio lo scenario africano. La Francia quindi mantiene alcuni strumenti della potenza senza che questo confligga con una moderna e integrata azione europea.

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È in questo contesto che bisogna collocare il rapporto con la Germania. L’essenziale della dialettica bilaterale fra Parigi e Berlino è volta al gioco europeo, anche perché Berlino ha poco appetito per la geopolitica mondiale. D’altro canto, Parigi ha sempre sollecitato, ma anche temuto, un maggiore coinvolgimento tedesco sui principali dossier di quella che potremmo definire, in modo volutamente naif, la politica di potenza del XXI secolo, dall’Africa al confronto scontro con Usa, Cina e Russia. Con l’indurimento del quadro internazionale, anche legato alla crisi del Covid, le posizioni tedesche si stanno avvicinando a quelle francesi, come tra l’altro illustrato dalla nomina di Ursula von der Leyen a capo della Commissione, operazione completata con l’intervento di Parigi. Ma l’assunzione da parte della Germania di una maggiore responsabilità mondiale, spesso invocata a Parigi, ad esempio con la crescita della partecipazione tedesca allo sforzo di sicurezza in Sahel, apre un credito maggiore alla Germania che può quindi chiedere in ritorno a Parigi un impegno convergente sui principali dossier europei. Vediamo anche in questo caso quell’effetto di riequilibrio di cui dicevamo: più Parigi viene sostenuta negli scenari geopolitici internazionali, più si possono sviluppare convergenze intra-europee. Se si comprendono queste sfaccettature importanti e la complementarietà fra le velleità di “grande gioco” francese e di visione eurocentrica tedesca, allora viene poi facile pensare a un inserimento maggiore dell’Italia che può sfruttare la complementarietà con l’uno o l’altro. Il voto a favore della partecipazione italiana alla task force Takuba basata in Mali rappresenta un chiaro segno positivo per Parigi.

  

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Si tratta di una chiave di lettura fondamentale quasi sempre ignorata in Italia. Negli ambienti italiani si è spesso denunciato l’esistenza di un “asse franco-tedesco” senza analizzare la natura e le dinamiche delle relazioni fra Berlino e Parigi. Ma da questo gioco a somma positiva che si realizza tra Parigi e Berlino scaturiscono anche dei potenziali benefici per l’Italia, che peraltro potrebbe utilmente inserirsi in questo discorso se lo volesse fino in fondo. L’ulteriore rinsaldamento dei rapporti tra Roma e Parigi, tramite un apposito trattato, ma anche un maggiore investimento italiano (sia di tipo economico che di tipo politico) nei rapporti con la Germania permetterebbe sia di sbarazzarsi di stereotipi dannosi sia di garantire all’Italia una maggiore incisività in ambito europeo. L’attuale crisi lascia però anche aperto uno scenario alternativo, nel quale l’Italia (nello specifico l’insieme delle sue forze politiche) continua a giocare la carta del nemico esterno – in questo caso quello dell’Europa carolingia – come diversivo per celare le sue difficoltà di realizzare riforme e di operare con continuità e successo sulla scena europea ed internazionale.

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