La guerra è un dipinto ad olio su tela di cm 114 x 195 realizzato nel 1894 dal pittore francese Henri Rousseau e conservato al Musée d’Orsay di Parigi

Che cosa ne sarà del nostro piccolo mondo antico

Andrea Ruggeri

Finirà la globalizzazione? Ritorneremo a confini impenetrabili? Le democrazie moriranno? Cresce la lista delle previsioni da parte di studiosi delle relazioni internazionali. Tre regole-machete per sopravvivere nella giungla delle predizioni

Che sarà del mondo che conoscevamo prima del Covid-19? Finirà la globalizzazione? Ritorneremo a confini nazionali impenetrabili? Vedremo relazioni fra stati più violente? Le democrazie moriranno? La lista delle previsioni da parte di studiosi delle relazioni internazionali, ma anche di commentatori, sta crescendo quotidianamente. Una giungla di predizioni sempre più fitta, che anziché farci capire che cosa sarà di noi, rende sempre di più imperscrutabile il futuro.

  

Predire il futuro della politica internazionale è difficile. E ovviamente c’è chi sostiene che sia semplicemente impossibile avere “super forecaster”, come un Nate Silver, delle relazioni internazionali, ma c’è anche chi ritiene non sia cosi arduo. Le interdipendenze sono complesse, dunque i parametri da considerarsi molteplici, e l’avventurarsi in analogie storiche problematico. Alcuni hanno provato a predire, 30 anni or sono, grandi eventi subito dopo la fine della Guerra Fredda, pronosticando lo scioglimento della Nato e anche un Europa arena di confitti violenti. Per nostra fortuna, al momento, entrambe le predizioni si sono rivelate sbagliate.

 

Però c’è un recentissimo tentativo di predizione sul mondo dopo il Covid-19 a cui vorrei prestare più attenzione. Perché l’autore, Francis Fukuyama, scrisse un libro, forse il suo libro più conosciuto - La fine della storia e l'ultimo uomo - prevedendo come la storia fosse pronta a finire, a breve. Era il 1992. La fine era dovuta alla convergenza ideologica (pensiero liberal-democratico) ed economica (sistema capitalista) a cui oramai tutti i paesi tendevano. Quella era una predizione forte, e forse coraggiosa. Ma la storia ci fece capire violentemente che non era finita. E che la predizione era sbagliata.

 

Però, se cambiar idea è indice d’intelligenza, Fukuyama la sua intelligenza l’ha dimostrata sovente. Si veda il suo libro contro i neo-con americani (2006), dopo essere stato lui stesso un neo-con. E infatti Fukuyama ha cambiato strategia di predizione per non sbagliare di nuovo. Ha applicato una delle due possibili strategie per evitare errori di predizioni.

 

La prima strategia, praticata da pochi opinionisti ma da molti esperti, è semplicemente non predire. La seconda, insegnata anche nelle migliori università, è predire tutto e il contrario di tutto. In entrambi i casi l’errore di predizione non può avvenire. In entrambi i casi ne sapremo come prima del futuro. Ma è solo la seconda strategia che permette di poter pubblicare su riviste e quotidiani. Fukuyama, pubblicando un articolo lo stesso giorno su Foreign Affairs e La Stampa, ci fornisce un esempio della seconda strategia per non errare. Vedremo più guerra, ma anche no: “L’ascesa del nazionalismo aumenterà la possibilità di conflitti internazionali. […] Tuttavia, data la costante forza stabilizzatrice delle armi nucleari e le sfide comuni che devono affrontare tutti i principali attori, la turbolenza internazionale è meno probabile della turbolenza interna”, scrive. Potremo rischiare di diventare fascisti, ma potremmo anche rafforzare i nostri valori liberali e democratici: “Le pandemie passate hanno favorito visioni apocalittiche, culti e nuove religioni cresciute attorno all’estrema ansia. Il fascismo potrebbe essere visto come uno di questi culti […] Tuttavia, proprio come la Grande Depressione non ha solo prodotto il fascismo, ma ha anche rinvigorito la democrazia liberale, così la pandemia può produrre esiti politici positivi”. L’articolo continua predicendo anche maggiore polarizzazione internazionale, però anche cooperazione internazionale. Comunque, un paio di predizioni abbastanza chiare (e confutabili) Fukuyama le propone. Ecco una previsione alquanto ottimista sulla Cina: “La distribuzione globale del potere continuerà a spostarsi verso Est, perché l’Asia orientale ha gestito meglio la situazione rispetto ad Europa e Stati Uniti. La pandemia ha avuto origine in Cina, inizialmente è stata censurata e si è diffusa, eppure la Cina trarrà beneficio dalla crisi, perché Pechino è stata in grado di riprendere il controllo della situazione e sta passando alla sfida successiva, tornando a far correre l’economia”. Ed è notizia recente, e preoccupante, che una seconda ondata di Covid-19 sembra prender piede in Cina e che a Pechino le scuole sono nuovamente chiuse.

 

E quindi le uniche due strategie per predire le relazioni internazionali sono “non predire” o “predire tutto”? Ovviamente, no. Predire si può, e per alcuni deve essere un aspetto centrale del lavoro di chi studia le relazioni internazionali. Si può predire, però bisogna essere consci del rischio di sbagliare, e quanto distante il nostro sguardo possa spingersi. E più distante nel tempo è la nostra predizione, più ampia sarà l’incertezza attorno ad essa. Un modello predittivo molto famoso riusciva a predire l'85 per cento dei casi, rari, di guerre civili in un finestra di due anni.

  

Bisogna dunque pensare in termini di probabilità di un evento anziché di predizioni deterministiche. Dovremmo anche essere consci che la complessità del sistema internazionale e la limitata conoscenza che ha un individuo – sembra che predizioni fatte da un gruppo di esperti funzionino meglio – dovrebbe portarci a fare predizioni in ambiti specifici e limitati, anziché offrire previsioni sistemiche e su una molteplicità di aspetti. Inoltre, la qualità dei dati conta ma anche la struttura teorica che porta a sostenere – probabilisticamente – una predizione è fondamentale. Perché le predizioni senza teorie possono funzionare ma tendono ad aver le gambe corte. Il paradosso è che più incerto sembra il futuro, e questo 2020 è paradigmatico in termine d’incertezze, e più abbiamo bisogno di certezze sul futuro per superare il quotidiano. Ma queste certezze non ci sono.

   

Nell’attuale nutrita e disordinata congerie di predizioni sulla politica internazionale post Covid-19 da parte di esperti e opinionisti, io applico tre regole-machete per sopravvivere nella jungla delle predizioni: Primo, chi è restio a offrire previsioni di solito è il più esperto, ascoltiamolo con attenzione. Secondo, più è grossa e rivoluzionaria la predizione più dobbiamo prenderla con le molle. Terzo, chi dice che è sicuro, sta sicuramente sbagliando.

 

Andrea Ruggeri, Università di Oxford

Di più su questi argomenti: