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L’ex sindaco di Charlottesville ci racconta il suo progetto contro estremismo e odio

Simona Siri

Nella città del primo atto del neo suprematismo

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New York. Nell’agosto del 2017 qualche migliaio di suprematisti bianchi marciarono su Charlottesville, quieta cittadina universitaria della Virginia, al grido di “White Lives Matter” ma soprattutto: “Gli ebrei non ci sostituiranno”. Bandiere con le svastiche e torce, guidati da Richard Spencer, figura di spicco della alt right americana, i nuovi nazionalisti erano in città in occasione del comizio Unite the Right per protestare contro la decisione della giunta di rimuovere la statua del generale sudista Robert E. Lee da un parco. Il giorno dopo, nello scontro tra questo gruppo e quello degli antifascisti e dei sostenitori di Black Lives Matter, Heather Heyer viene investita da una macchina che si lancia sulla folla dei manifestanti. Dal New Jersey, rispondendo a una domanda dei giornalisti, Donald Trump invece di condannare i nazisti, dice la famosa frase: “Ci sono persone per bene da entrambe le parti”.

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New York. Nell’agosto del 2017 qualche migliaio di suprematisti bianchi marciarono su Charlottesville, quieta cittadina universitaria della Virginia, al grido di “White Lives Matter” ma soprattutto: “Gli ebrei non ci sostituiranno”. Bandiere con le svastiche e torce, guidati da Richard Spencer, figura di spicco della alt right americana, i nuovi nazionalisti erano in città in occasione del comizio Unite the Right per protestare contro la decisione della giunta di rimuovere la statua del generale sudista Robert E. Lee da un parco. Il giorno dopo, nello scontro tra questo gruppo e quello degli antifascisti e dei sostenitori di Black Lives Matter, Heather Heyer viene investita da una macchina che si lancia sulla folla dei manifestanti. Dal New Jersey, rispondendo a una domanda dei giornalisti, Donald Trump invece di condannare i nazisti, dice la famosa frase: “Ci sono persone per bene da entrambe le parti”.

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Michael Signer all’epoca dei fatti era il sindaco di Charlottesville. Nel suo libro “Cry Havoc: Charlottesville and American Democracy Under Siege”, ricorda i fatti da una prospettiva molto personale. Ebreo e democratico, Signer ha vissuto sulla propria pelle il rigurgito di odio antisemita: nei giorni successivi agli scontri ricevette telefonate anonime con la voce di Hitler e un’immagine che lo rappresentava in una camera a gas, con il generale Robert Lee a premere il pulsante. “Ci destreggiavamo con le attività quotidiane mentre ondate di odio arrivavano in casa”, dice in una conversazione con il Foglio. La discussione sulla rimozione dei simboli confederati che torna a dominare l’attualità è per lui il ricordo del momento più difficile della sua vita da sindaco. “La decisione di rimuovere la statua di Lee fu presa dopo il lavoro della Commissione Blue Ribbon, un gruppo di lavoro creato per discutere degli spazi pubblici e che aveva tenuto 17 audizioni pubbliche per sei mesi prima di informare il Consiglio comunale su cosa fare. L’opinione di molti residenti afroamericani era che le statue sarebbero dovute rimanere come ‘occasioni di insegnamento’, un’opinione che, pur essendo in minoranza, avevo sostenuto anche io con il mio voto. Ma questo succedeva prima della manifestazione Unite the Right. Dopo la manifestazione, come molti, cambiai pubblicamente il mio voto, dicendo che le statue erano diventate un totem per il terrore e chiedendo al governatore una sessione speciale per rimuovere la legge che impediva di spostare le statue”.

 

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La scorsa settimana, in seguito alle proteste per la morte di George Floyd, Signer ha scritto su Time Magazine un articolo in cui definisce Trump responsabile di utilizzare in modo intenzionale e strategico il nazionalismo bianco per cercare di fomentare la sua base. “Tutte le decisioni di Trump sono motivate dalla politica. I suoi sostenitori sono incoraggiati dal suo approccio alla guerra culturale a vedere le statue confederate non solo come reliquie di un passato razzista, ma come simboli del nazionalismo bianco di oggi: molti partecipanti al rally della alt-right di Charlottesville sostenevano che le statue rappresentassero anche la loro visione sulla politica anti immigrazione”. Oggi trovare soluzioni di compromesso sembra difficile. Gli afroamericani “sono le persone più direttamente colpite dal messaggio visivo di esclusione e dallo storico razzismo sistemico prodotto dalle statue. E’ giusto che siano ascoltate”, continua Signer che nel frattempo non è più sindaco: nel 2018 non si è ricandidato. “Da allora ho fondato e presieduto la Communities Overcoming Extremism: the After Charlottesville Project. L’obiettivo era di convocare vari leader per trovare le pratiche migliori per superare l’estremismo. Abbiamo tenuto due vertici nazionali, prodotto un podcast e un rapporto finale. La soluzione è che i governi locali sviluppino strategie che includano dimensioni ‘dure’ (intelligence, investigazione, azione giudiziaria) e ‘morbide’ (raggiungere i gruppi emarginati in modo che non si radicalizzino) sia prima sia durante e dopo gli eventi di odio. Una grande innovazione, a Charlottesville, è stata quella di citare in giudizio, con successo, i gruppi paramilitari di destra usando una nuova tecnica legale, quella che fa riferimento alla legge statale che vieta gli eserciti privati”.

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