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C’è un Trump già rovinato dalla crisi coronavirus, è in Brasile

Cecilia Sala

Jair Bolsonaro ha seguito le orme del suo idolo americano in tutto, idrossiclorochina inclusa. Gli va malissimo

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Roma. Lo chiamano “Messia” ma non fa miracoli, ha ammesso lui stesso, Jair Messias Bolsonaro, rispondendo – o meglio, non rispondendo – ai giornalisti che gli chiedevano cosa avesse in mente di fare ora che tutto il mondo considera il gigante sudamericano un osservato speciale per il numero di morti da Covid. Per la prima volta, il 26 maggio, il Brasile ha superato l’America come numero di decessi in un giorno. Sono stati 807 contro i 620 degli Stati Uniti, il paese con le cifre totali e in valore assoluto più drammatiche del mondo. Ma Bolsonaro non ha intenzione di fare ammenda, mentre sulla stampa internazionale vengono diffusi questi dati è per l’ennesima volta a passeggio per la spianata dei ministeri nella capitale Brasilia, dove tutte le settimane si radunano i suoi sostenitori. Mascherina calata sotto il mento e carezze ai bambini, strette di mano, selfie. Ha anche tossito rumorosamente asciugandosi la mano sulla giacca e ricominciando subito dopo ad abbracciare le signore in prima fila dietro le transenne. Per il Financial Times è questo l’esatto momento in cui – se la storia fosse una favola con una morale – i brasiliani si rivolterebbero contro il loro presidente.

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Roma. Lo chiamano “Messia” ma non fa miracoli, ha ammesso lui stesso, Jair Messias Bolsonaro, rispondendo – o meglio, non rispondendo – ai giornalisti che gli chiedevano cosa avesse in mente di fare ora che tutto il mondo considera il gigante sudamericano un osservato speciale per il numero di morti da Covid. Per la prima volta, il 26 maggio, il Brasile ha superato l’America come numero di decessi in un giorno. Sono stati 807 contro i 620 degli Stati Uniti, il paese con le cifre totali e in valore assoluto più drammatiche del mondo. Ma Bolsonaro non ha intenzione di fare ammenda, mentre sulla stampa internazionale vengono diffusi questi dati è per l’ennesima volta a passeggio per la spianata dei ministeri nella capitale Brasilia, dove tutte le settimane si radunano i suoi sostenitori. Mascherina calata sotto il mento e carezze ai bambini, strette di mano, selfie. Ha anche tossito rumorosamente asciugandosi la mano sulla giacca e ricominciando subito dopo ad abbracciare le signore in prima fila dietro le transenne. Per il Financial Times è questo l’esatto momento in cui – se la storia fosse una favola con una morale – i brasiliani si rivolterebbero contro il loro presidente.

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“In molti paesi, quando il virus raggiunge una certa intensità di diffusione, inizia ad avanzare come un incendio in un bosco. E’ successo in Cina, a Wuhan, è accaduto in alcuni paesi in Europa, ora sta succedendo in Brasile”, sono state le parole del direttore generale dell’Oms, Tedros Ghebreyesus.

 

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Il ministro della Sanità (ad interim) – dopo che in meno di un mese due ministri sono stati costretti alle dimissioni dal presidente – adesso è un militare, il generale Eduardo Pazuello. In conferenza stampa ha detto che bisogna attendersi in breve tempo l’impatto della pandemia di Covid-19 anche nelle regioni più interne del paese: “La pandemia si sviluppa in tre fasi: preparazione, impatto sulle regioni metropolitane e capitali e infine impatto sulle aree interne del paese, attualmente il Brasile sta attraversando la seconda fase, ma a breve ci sarà la diffusione nelle città dell’interno”, dove scarseggiano le strutture sanitarie. Se le previsioni di Pazuello sono corrette, c’è il rischio che la prossima fase si trasformi in tragedia.

 

Proprio come negli Stati Uniti, anche in Brasile la geografia del virus ha finora mantenuto distinte le grandi città costiere dall’entroterra. Le metropoli cosmopolite e affacciate sul mare sono quelle già oggi in grande sofferenza, nelle zone interne invece esistono immense aree ancora praticamente senza contagi. L’epicentro resta San Paolo, la città più popolosa e quella dove gli scambi commerciali con il resto del mondo sono più intensi, poi Rio de Janeiro e Manaus, capitale dello stato di Amazonas. Insieme con il primo cittadino di San Paolo, il sindaco social-democratico di Manaus Arthur Virgilio Noto è uno dei più convinti oppositori dalla linea ultra-soft di contrasto alla pandemia decisa dal presidente, Bolsonaro lo ha liquidato come “un pezzo di merda” in un video che adesso raccoglie milioni di visualizzazioni su tutti i siti d’informazione locali. La pandemia non è l’unico problema che il presidente brasiliano non sa come affrontare, sulla lista c’è anche l’emorragia di consenso, la prospettiva dell’impeachment, le alleanze dentro e oltre i confini che scricchiolano.

 

I complimenti, le citazioni, il soprannome di “Trump Tropicale”, i retweet e le foto che ritraggono Bolsonaro mentre mangia hot-dog e beve coca cola non sembrano essere serviti a molto, gli Stati Uniti hanno bloccato tutti i voli dal Brasile con un decreto del presidente. Se è Donald Trump l’unico alleato a cui Jair Bolsonaro sembra tenere davvero (in un periodino in cui ne perde parecchi per strada e senza preoccuparsene granché), adesso, con la prima pagina del New York Times sui (quasi) 100 mila morti, i milioni di nuovi disoccupati e le elezioni a novembre il presidente americano non può certo permettersi di esporsi troppo in favore di un collega negazionista che precipita nei sondaggi.

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Che i due avessero molto in comune lo si sapeva già dalla campagna elettorale brasiliana del 2018 che ha portato Bolsonaro a Palácio do Planalto il primo gennaio dello scorso anno. Nell’era dominata dal Covid le affinità non sono sparite, entrambi provano simpatia per i gruppi che manifestano contro il lockdown, entrambi considerano i grandi centri urbani – i più colpiti – quelli meno rappresentativi del “voto populista” che li ha portati alla presidenza, credono che una crisi economica li danneggerebbe politicamente più di qualsiasi altro possibile disastro, e ipotizzano scorciatoie per avvicinare la riapertura totale, ad esempio sponsorizzando l’utilizzo di idrossiclorochina in contrasto con l’opinione prevalente nella comunità scientifica. L’Oms, basandosi tra le altre informazioni su uno studio della rivista britannica The Lancet riguardo ai pericoli degli effetti collaterali, ha sospeso i test del farmaco antimalarico per i pazienti Covid. Ma il governo brasiliano “è tranquillo e sereno”, il ministero della Salute comunica che “non ci sarà nessuna modifica” al nuovo protocollo del 20 maggio, quello che prevede la somministrazione del farmaco anche per curare i pazienti con sintomi lievi. Un provvedimento a cui Bolsonaro tiene molto, e su cui si è esposto in prima persona. E una tra le ragioni per cui, in patria, ha perso un alleato fondamentale: il centro.

 

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I moderati – nonostante alcune politiche e toni diversi da quelli del presidente – si erano dimostrati pronti a sostenerlo pur di tenere per un po’ lontano dal governo lo storico partito dei lavoratori brasiliano. Ma adesso sono seriamente preoccupati per la gestione dell’emergenza virus, e non solo.

 

La Corte suprema brasiliana ha caricato sul proprio sito un video in cui Bolsonaro, durante una riunione del governo di fine aprile, si lamenta della polizia federale che non gli passa informazioni e non lo aiuta a “proteggere” i propri familiari dalle inchieste in corso. “Non aspetterò che la mia famiglia o i miei amici vengano fregati. Se non posso cambiare questi funzionari, allora cambierò il loro capo. Se non posso cambiare il loro capo, cambierò direttamente il ministro!”, sono state le parole pronunciate dal presidente. Che poi ha effettivamente rimosso il capo della polizia federale Mauricio Valeixo senza dare spiegazioni. Il video è stato messo a disposizione di tutti i cittadini sul sito istituzionale della Corte, che è andato immediatamente in crash per il numero record di visite. Una decisione insolita, presa dal giudice Celso de Mello perché considera la registrazione una prova regina nell’inchiesta che deve stabilire se Bolsonaro abbia fatto pressioni indebite sulla polizia.

 

Le indagini di cui il presidente si lamenta nel video riguardano i suoi figli. Carlos Bolsonaro, consigliere comunale a Rio, è accusato di aver manovrato una rete di esperti a lavoro giorno e notte durante la campagna elettorale per diffondere notizie false sugli avversari, da veicolare poi sui social e in particolare tra i gruppi whatsapp. Su Flavio Bolsonaro, senatore, si indaga invece per riciclaggio, corruzione e rapporti con la criminalità organizzata di Rio de Janeiro.

 

Come ogni populista che si rispetti Bolsonaro aveva conquistato la presidenza raccontandosi come assolutamente estraneo a un establishment ovviamente corrotto. Niente di nuovo. La lotta alla corruzione e “la vecchia politica da spazzare via” erano state bandiere della sua campagna elettorale, in cui aveva sfruttato l’inchiesta “Lava Jato” – la Mani pulite del Brasile – condotta dal magistrato Sergio Moro. Il giudice era diventato una star con l’arresto dell’ex presidente Lula e l’impeachment della ex presidentessa Dilma Rousseff, Bolsonaro aveva sfruttato la sua popolarità e la circostanza (temporanea) in cui i due affrontavano nemici comuni, quindi lo aveva scelto come ministro della Giustizia. Una decisione che adesso gli si ritorce contro: il mese scorso Moro si è dimesso in protesta con il licenziamento del capo della polizia federale, ha attaccato Bolsonaro e c’è da aspettarsi che continuerà a farlo, ora con un megafono ancora più potente che lo stesso presidente gli ha fornito. Anche qui, niente di nuovo.

 

Se il consenso del giudice nei mesi è rimasto pressoché immutato, quello di Jair Bolsonaro è sotto la soglia del 30 per cento. In Brasile, l’impeachment è un procedimento assai più politico che non un meccanismo tecnico-legale. Quando Dilma Rousseff è stata rimossa dalla carica, il suo consenso popolare era ai minimi termini, dopo “Lava Jato” aveva l’appoggio di solo un brasiliano su 10. Non è una questione da poco, anche se le elezioni non sono alle porte, proprio perché sulle spalle di Bolsonaro pesa l’inchiesta della Corte suprema e con essa l’ipotesi di messa in stato d’accusa.

 

Il contagio sta passando dalle metropoli della costa brasiliana all’entroterra infinito – e più vulnerabile – e sta demolendo il governo populista del “presidente-Messia”, che intanto litiga con i sindaci che non approvano la sua linea (“pezzo di merda!”), con la Corte suprema e con la polizia federale

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