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Trump ha tanta voglia di assembramento 

Paola Peduzzi

La mascherina è una museruola e il presidente americano vuole un ritorno alla normalità assoluto, rapido e visibile, dal G7 alla convention. Chi gli dirà di no?

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Donald Trump vuole un ritorno alla normalità assoluto, rapido e visibile, non gli bastano gli annunci, non gli basta indossare incapricciato la mascherina in pubblico controvoglia, come una museruola, non gli bastano nemmeno le tante immagini che circolano sulle celebrazioni del Memorial Day, una normale giornata di vacanza. Perché la normalità sia vera e percepibile bisogna mettere fine alla paura di ritrovarsi, che per Trump, sospettoso e perennemente incredulo, è anche paura di guardarsi negli occhi. Così il presidente chiama: chiama al G7 i leader mondiali, chiama alla convention repubblicana i suoi sostenitori. Le guerre politiche iniziano spesso così: con una risposta o una mancata risposta, e Trump adora vedere l’effetto che fa ogni sua provocazione. Così qualche giorno fa il presidente americano ha detto (tuittando) che non ci sarebbe modo migliore di celebrare il ritorno alla normalità – la totale normalizzazione, come la chiama lui, “Transitioning back to Greatness” – con un G7 dal vivo, “nella leggendaria tenuta di Camp David”. Trump è disposto a spostare la data – al momento è dal 10 al 12 giugno – un po’ più avanti, magari a fine giugno, e le cancellerie internazionali sono già agitate. La partecipazione al G7 non significa solo mettere su un aereo il leader del paese membro e spedirlo a Camp David con la mascherina, c’è una delegazione da organizzare, un universo nazionale da trasportare: per gli addetti ai lavori la proposta di Trump è un’altra delle sue fantasie. Ma secondo fonti inglesi e francesi il premier Boris Johnson e il presidente Emmanuel Macron stanno prendendo in considerazione l’invito. Cosa fai: dici di no al presidente dell’America?

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Donald Trump vuole un ritorno alla normalità assoluto, rapido e visibile, non gli bastano gli annunci, non gli basta indossare incapricciato la mascherina in pubblico controvoglia, come una museruola, non gli bastano nemmeno le tante immagini che circolano sulle celebrazioni del Memorial Day, una normale giornata di vacanza. Perché la normalità sia vera e percepibile bisogna mettere fine alla paura di ritrovarsi, che per Trump, sospettoso e perennemente incredulo, è anche paura di guardarsi negli occhi. Così il presidente chiama: chiama al G7 i leader mondiali, chiama alla convention repubblicana i suoi sostenitori. Le guerre politiche iniziano spesso così: con una risposta o una mancata risposta, e Trump adora vedere l’effetto che fa ogni sua provocazione. Così qualche giorno fa il presidente americano ha detto (tuittando) che non ci sarebbe modo migliore di celebrare il ritorno alla normalità – la totale normalizzazione, come la chiama lui, “Transitioning back to Greatness” – con un G7 dal vivo, “nella leggendaria tenuta di Camp David”. Trump è disposto a spostare la data – al momento è dal 10 al 12 giugno – un po’ più avanti, magari a fine giugno, e le cancellerie internazionali sono già agitate. La partecipazione al G7 non significa solo mettere su un aereo il leader del paese membro e spedirlo a Camp David con la mascherina, c’è una delegazione da organizzare, un universo nazionale da trasportare: per gli addetti ai lavori la proposta di Trump è un’altra delle sue fantasie. Ma secondo fonti inglesi e francesi il premier Boris Johnson e il presidente Emmanuel Macron stanno prendendo in considerazione l’invito. Cosa fai: dici di no al presidente dell’America?

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Il test vale anche per i repubblicani. Trump vuole una convention dal vivo, a metà agosto, come previsto: vuole il bagno di folla e di applausi che non ha ricevuto nel 2016, quando tra i repubblicani prevaleva soltanto lo sconcerto. Ora che il partito si è riallineato, il presidente pretende una festa, come era previsto, a Charlotte, in Carolina del nord, dal 17 al 20 agosto: il governatore dello stato, Roy Cooper, è un democratico e secondo Trump sta rallentando la riapertura apposta, un po’ perché è come tutti i democratici colpevolmente cauto, un po’ perché vuole privarlo della festa. Saremo costretti a spostarci altrove, ha detto (tuittando) Trump, “a malincuore”, perché ci tenevamo a essere in Carolina del nord, e soprattutto dovreste tenerci voi, abitanti ed elettori dello stato, considerato il valore dell’indotto della convention. Il campo di battaglia dell’ennesimo conflitto è stato così disegnato, ancor più se i democratici stanno già organizzando la loro convention virtuale.

  

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L’ultima frontiera della normalizzazione è l’assembramento, ed è anche l’ultimo capitolo di questa campagna elettorale pandemica e polarizzata. Ci sono gli attacchi diretti al rivale, Joe Biden, come l’ultimo truce video in cui il candidato democratico è in una bara, e poi ci sono le guerre culturali. Secondo tutti i sondaggi, gli americani non sono precipitosi come il presidente verso la riapertura, ma come sottolinea Bloomberg, negli stati in cui ha vinto Trump nel 2016, 23 persone hanno perso il lavoro per ogni persona infetta, mentre negli stati vinti da Hillary Clinton il rapporto è 13 a 1: nella Trumpland il danno più grande è economico non sanitario, e per questo il presidente spinge per una normalizzazione assoluta, rapida, visibile. Il governatore del North Dakota, il repubblicano Doug Burgum, ha implorato i suoi cittadini di non partecipare all’ennesima guerra “senza senso”, quella di considerare la mascherina una dichiarazione politica: faccio appello alla vostra empatia e alla vostra sensibilità, ha detto con la voce rotta Burgum, non dobbiamo combatterle tutte, le battaglie. Come a dire: si può dire di no anche al presidente dell’America.

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