PUBBLICITÁ

L’ambizione di un’Europa solidale

Micol Flammini

Il Recovery fund, il dna dell’Ue e la sua forza. Parla Alexander Stubb

PUBBLICITÁ

Roma. Rimanere immobili di fronte al mondo che evolve non fa bene a nessuno. Né all’Unione europea né ai suoi stati membri. Alexander Stubb, ex primo ministro della Finlandia ed ex ministro delle Finanze, vicepresidente della Bei fino a pochi mesi fa e dal primo maggio direttore della School of Transnational Governance dell’Eui di Firenze, è convinto che l’Ue sia pronta a cambiare, sia pronta a superare le sfide, ma bisogna iniziare a mettere in chiaro alcune cose: “Dovremmo smetterla di pensare che l’Unione sia una specie di utopia, mettiamoci in testa che non sarà mai perfetta, che ci sarà sempre qualcuno pronto a dire che non fa mai abbastanza. La verità è che l’Ue ha fatto sempre più di quello che i suoi strumenti le hanno consentito”. Soprattutto adesso, dice al Foglio l’ex primo ministro finlandese, cresciuto tra i meandri delle istituzioni europee e convinto che per affrontare la crisi sanitaria ci voglia solidarietà, certo, ma anche tanta ambizione. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma. Rimanere immobili di fronte al mondo che evolve non fa bene a nessuno. Né all’Unione europea né ai suoi stati membri. Alexander Stubb, ex primo ministro della Finlandia ed ex ministro delle Finanze, vicepresidente della Bei fino a pochi mesi fa e dal primo maggio direttore della School of Transnational Governance dell’Eui di Firenze, è convinto che l’Ue sia pronta a cambiare, sia pronta a superare le sfide, ma bisogna iniziare a mettere in chiaro alcune cose: “Dovremmo smetterla di pensare che l’Unione sia una specie di utopia, mettiamoci in testa che non sarà mai perfetta, che ci sarà sempre qualcuno pronto a dire che non fa mai abbastanza. La verità è che l’Ue ha fatto sempre più di quello che i suoi strumenti le hanno consentito”. Soprattutto adesso, dice al Foglio l’ex primo ministro finlandese, cresciuto tra i meandri delle istituzioni europee e convinto che per affrontare la crisi sanitaria ci voglia solidarietà, certo, ma anche tanta ambizione. 

PUBBLICITÁ

 

 

PUBBLICITÁ

Oggi Ursula von der Leyen presenterà la proposta della Commissione europea sul Recovery fund, tutte le orecchie sono rivolte a Bruxelles per sapere se l’Ue è pronta a fare il grande balzo in avanti proposto da Angela Merkel e da Emmanuel Macron, o se invece rimarrà ancorata ai no dei “frugali”, Austria, Olanda, Danimarca e Svezia, che nel frattempo sono diventati “avari”. Tra questi frugali, o avari, non c’è la Finlandia, ovviamente non c’è più neppure la Germania, segno del fatto che qualcosa è cambiato, che la frugalità non è più l’austerità di ieri, ma secondo alcuni è l’avarizia di oggi. “Il detto è: una buona crisi non si spreca mai. Ecco perché abbiamo bisogno di ambizione e di solidarietà. Durante le crisi passate sono stato primo ministro e ministro delle Finanze del mio paese che era visto come uno dei più austeri. Ma ora è tutto diverso, la crisi è diversa. Il virus è simmetrico, colpisce tutti gli esseri umani in modo equo, ma l’impatto economico è e sarà asimmetrico. Non tutti verremo colpiti allo stesso modo ed è per questo che sono convinto che tutti gli stati membri debbano aiutarsi e che l’Ue debba usare tutti gli strumenti a sua disposizione. Io credo che Bruxelles abbia fatto davvero un buon lavoro, il pacchetto complessivo va dai due ai tremila miliardi e si regge su cinque pilastri”. Il primo è il programma Pepp della Bce, il secondo è il fondo della Bei da 25 miliardi, il terzo il Mes “che supera i 400 miliardi di euro”, il quarto è il Sure, “e il pilastro numero cinque è il Recovery fund. Mi sembra chiaro che l’Ue abbia imparato la lezione e abbia dimostrato di essere in grado di reagire in modo rapido. Per chi ha bisogno di una prova, basti ripensare alla crisi finanziaria: ci sono voluti due anni, minimo, per istituire il Meccanismo di stabilità”.

 

 

Il primo momento è stato di stupore, di incredulità, forse di panico. Ma poi Bruxelles si è mossa, lo ha fatto in fretta e lo ha fatto inviando dei segnali forti. Rimane tuttavia molta diffidenza tra i cittadini europei e anche tra gli italiani, convinti che l’Ue durante la pandemia abbia fatto meno di cinesi e russi. Bruxelles fa, si muove, è presente, ma sembra che non sia in grado di farlo capire. “Quello che hanno fatto Pechino e Mosca è nulla e soprattutto non è disinteressato. Credo che gli italiani lo sappiano. Dalla parte di Cina e Russia c’è la propaganda, uno strumento che un’istituzione democratica come l’Unione non può certo prendere in considerazione di adottare, ma poi credo anche che bisognerebbe smetterla di pensare ai problemi della comunicazione europea, che sono eterni, ma il punto è che la comunicazione non è una soluzione”, dice Stubb, per il quale il problema è soprattutto politico, e lo dice da ex primo ministro. “La comunicazione dei leader nazionali è spesso distorta: tutto quello che è positivo viene dalle tue politiche, dalla tua capitale. Quando le cose vanno male si punta il dito verso Bruxelles. La gente sta iniziando a rendersi conto che da una crisi globale come questa nessun leader nazionale sarà in grado di uscirne da solo, ma qualunque cosa farà Bruxelles, nessuno le darà i meriti che le spettano, come nessuno li darà alla von der Leyen”. Si finisce sempre lì, allo scontro tra leader e politiche nazionali. Eppure la settimana scorsa è stato fatto un passo importante per uscire dagli egoismi di ciascun paese, abbiamo parlato del nostro “momento Hamilton”. “Mi unisco a quanto ha scritto Erik Jones della Johns Hopkins di Bologna. Questo non è tanto un momento Hamilton, semmai è il momento Madison, uno degli autori della Costituzione americana e che nel saggio Federalist 10 sosteneva che bisognasse creare armonia tra le diversità di un’unione. Da convinto europeista sono contento che si inizi a parlare di federalismo, di integrazione, di matrimonio. Alla fine credo che tutto si risolverà con un classico compromesso europeo, che prevede tre fasi: la crisi (il Covid); il caos (che stiamo vivendo); alla fine il compromesso, a metà strada tra Hamilton e Madison”.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Alexander Stubb, lo scorso anno, si era candidato come Spitzenkandidat per i popolari europei contro il bavarese Manfred Weber. Le possibilità di vittoria non erano molte, ma l’ex premier si era presentato con un messaggio forte, aveva detto agli europeisti che si preparava alla battaglia contro i sovranisti e che bisognava difendere il Dna ideologico dell’Ue. Coma va questa difesa? “E’ un pendolo, stiamo andando bene, ma rimangono difficoltà, come nel caso ungherese. Senza quei valori, non siamo nulla. La pandemia ci sta ponendo davanti a nuovi dibattiti su privacy, sorveglianza e sulla nostra libertà”.

 

PUBBLICITÁ

Questa Ue in movimento, “che non dobbiamo considerare un’utopia”, come ci consiglia l’ex premier, ha dimostrato di saper resistere e di saper cambiare quando serve, nonostante i cori di chi ha visto anche in questa crisi l’inizio della sua fine. “Anni fa un nutritissimo gruppo di persone diceva che la crisi finanziaria avrebbe smantellato l’euro – conclude Stubb – Noi esseri umani abbiamo la tendenza a fare tre cose: razionalizziamo troppo il passato, iperdrammatizziamo il presente e sottovalutiamo il futuro. La mia raccomandazione è: facciamo un bel respiro, l’Ue ne uscirà più forte che mai”.

PUBBLICITÁ