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Ad Austin c’è un flirt con Bernie, sognando la California

Simona Siri

È il giorno del SuperTuesday. Benvenuti nel nuovo Texas, lo stato che da rossissimo è diventato “purple” e che più di ogni altro si sta trasformando tanto da assomigliare sempre più allo stato che si affaccia sul Pacifico

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Austin, Texas. “I miei pronomi sono she/they”, dice stringendomi la mano. Revelle è alta, bionda, con due orecchini giganteschi, ed è ancora all’inizio del processo di transizione da uomo a donna. È una delle centinaia di volontarie che sono arrivate ad Austin, in Texas, a sostegno della campagna di Bernie Sanders e come tanti giovani che vengono da fuori – chi dalla California, chi dallo stato di Washington, chi dal New Hampshire – probabilmente non tornerà indietro. “Qui si vive bene, non ho mai avuto problemi”, dice quando le chiedo se non ha timore a bussare alle porte della gente in nome di un candidato socialista che vuole la rivoluzione contro i ricchi – siamo pur sempre in uno stato repubblicano e prospero che quando sente parlare di dirigismo, di centralismo, diventa sospettoso. Eppure.

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Austin, Texas. “I miei pronomi sono she/they”, dice stringendomi la mano. Revelle è alta, bionda, con due orecchini giganteschi, ed è ancora all’inizio del processo di transizione da uomo a donna. È una delle centinaia di volontarie che sono arrivate ad Austin, in Texas, a sostegno della campagna di Bernie Sanders e come tanti giovani che vengono da fuori – chi dalla California, chi dallo stato di Washington, chi dal New Hampshire – probabilmente non tornerà indietro. “Qui si vive bene, non ho mai avuto problemi”, dice quando le chiedo se non ha timore a bussare alle porte della gente in nome di un candidato socialista che vuole la rivoluzione contro i ricchi – siamo pur sempre in uno stato repubblicano e prospero che quando sente parlare di dirigismo, di centralismo, diventa sospettoso. Eppure.

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Benvenuti nel nuovo Texas, lo stato che da rossissimo è diventato “purple” e che più di ogni altro si sta trasformando – culturalmente, demograficamente, numericamente – tanto da assomigliare sempre più alla California. Per alcuni un sogno, per altri un incubo da scacciare. “Don’t California my Texas!” sbraitava nel novembre del 2018, durante la corsa per la sua rielezione contro la democratica Lupe Valdez, il governatore Greg Abbott: uno slogan così popolare da finire sulle magliette e sugli adesivi in vendita su Amazon, accompagnato dal grido: “Avete presente le tasse alte, i regolamenti onerosi e l’agenda socialista? Be’, noi non ci crediamo”. Abbott è stato rieletto con il 56 per cento dei voti confermando una tendenza lunga 25 anni, ma neanche la sua rielezione sembra fermare il processo di californizzazione – California-ing, dicono qui – dello stato repubblicano più ricco e popoloso d’America.

 

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“Il cibo”, risponde l’autista asiatico di Uber quando gli chiedo la similitudine più importante tra California e Texas, due dei quattordici stati che oggi votano alle primarie – è il SuperTuesday – e che regaleranno la bellezza di 415 e 228 delegati (nel caso di vittoria di Sanders, che è avanti nei sondaggi, sarebbe un’enorme ipoteca sulla candidatura). “Il cibo: una volta qui c’era solo barbecue, oggi c’è varietà perché è la gente a chiederla”. Affitti più bassi e un polo tech da far invidia alla Silicon Valley non sono meno importanti. A sentire lui il Texas è già una California, ma senza difetti (“anche se il traffico negli ultimi due anni è molto peggiorato”). “Austin è un’isola felice”, mi riporta alla realtà Griffin Mauser. Lavora a Book People, la libreria indipendente più famosa di Austin e la più grossa di tutto lo stato. “Il resto è ancora molto conservatore. Houston e Dallas comprese”, spiega. Anche lui non può negare però che qualcosa di grosso si stia muovendo. Ad esempio nella sensibilità per i temi ecologisti: “L’energia alternativa sta prendendo piede. Secondo i dati della US Energy Information Administration siamo leader nazionali nella decarbonizzazione del settore elettrico. Nel 2018 un terzo di tutti i pensionamenti di centrali elettriche a carbone è avvenuto in Texas. Allo stesso tempo abbiamo guidato gli Stati Uniti nell’aggiunta di energia rinnovabile”. Mauser si spinge a dire che in favore dell’ambiente i texani potrebbero addirittura essere convinti a pagare qualcosina in tasse statali, cosa che fino a oggi non hanno mai fatto. Perché va bene il pokè e l’invasione degli scooter che fanno tanto Malibù, ma la differenza più grande con la California rimane sempre quella: da una parte uno stato liberal socialmente e con tasse elevate, servizi elevati, regolamentazione alta. Dall’altra uno stato socialmente conservatore ma con tasse basse e pochissima regolamentazione in tutto. “Sono qui da dieci anni e ho visto sì il cambiamento”, racconta Michelle Kassel, che incontro vicino agli uffici di Sanders. Il quartiere dove ci troviamo, mi spiega, era storicamente povero, ma l’arrivo di Google e Amazon l’ha completamente gentrificato. “La scuola privata dove insegno era lì da 70 anni. Un mese fa è stata chiusa: l’affitto era triplicato. E’ indubbio che oggi Austin sia più ricca, diversa culturalmente e mentalmente, più aperta rispetto a dieci anni fa, ma a un prezzo”. Prezzo che è destinato ad alzarsi ulteriormente man mano che la popolazione cresce, anche grazie ai californiani in fuga: nell’ultimo decennio la media costante è stata tra i 60 e i 70 mila nuovi arrivi ogni anno, tutti giovani, liberal, benestanti, colti, esigenti sul sushi come sui diritti civili. In questo contesto, la prossima famiglia che dalla California fa i bagagli e arriva in Texas non è solo l’ennesima coppia con gusti diversi in fatto di cibo. Potenzialmente è la goccia demografica che fa saltare il dominio repubblicano.

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