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I fanatici quattro

Maurizio Stefanini

Daniel, Edén, Miguel, Ernesto: i patriarchi della rivoluzione sandinista bisticciano e si rappacificano da trent’anni. A spese del Nicaragua

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[Aggionamento del 2 febbraio 2020] È morto oggi Ernesto Cardenal, ormai in dura opposizione con Daniel Ortega, che definiva ormai un “falso socialista” e un “fascista”, e che lo aveva fatto sottoporre a processi e sequestri giudiziari.

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[Aggionamento del 2 febbraio 2020] È morto oggi Ernesto Cardenal, ormai in dura opposizione con Daniel Ortega, che definiva ormai un “falso socialista” e un “fascista”, e che lo aveva fatto sottoporre a processi e sequestri giudiziari.

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Daniel, il figlio del ragioniere e della fornaia che si era messo a rapinare banche per finanziare la Rivoluzione, divenne presidente della Repubblica. Edén, l’ex studente in Medicina che aveva preso in ostaggio un intero Parlamento, fu viceministro della Difesa. Miguel, il figlio del diplomatico nato negli Stati Uniti, che negli Stati Uniti si era fatto prete missionario e in Cile si era messo a organizzare sindacati nelle poblaciones, fu mandato al ministero degli Esteri. Ernesto, il bohémien figlio di papà che aveva lasciato le donne ma non la poesia per diventare trappista e prete, si era entusiasmato alla non violenza con Thomas Merton e alla violenza rivoluzionaria con Fidel Castro, ed era andato poi a spiegare il Vangelo e Marx a una comunità di contadini e pescatori in un arcipelago lacustre, organizzò il nuovo ministero della Cultura. Poi Edén litigò con gli altri. Suo padre, un proprietario terriero di origine calabrese, era stato ucciso dai suoi stessi contadini, aizzati da un generale del dittatore Somoza cui aveva rifiutato di vendere la sua fattoria. E i suoi fratelli avevano ucciso gli assassini, ma senza poter toccare il mandante. Lui allora si era messo con la guerriglia che dal 1961 aveva ripreso la bandiera e il nome del “generale degli uomini liberi” Augusto César Sandino. Aveva 29 anni Edén quando finì in galera con l’accusa di aver cercato di infiltrare armi a una manifestazione dell’opposizione su cui la Guardia nazionale aveva sparato nel mucchio, ammazzando 1.500 persone; 42 quando con un manipolo di guerriglieri travestiti da guardie presidenziali entrò al Congresso, sparò una raffica di mitra in aria ordinando ai deputati di buttarsi tutti a terra, prese in ostaggio 1.500 persone, le tenne per due giorni, e le scambiò con 70 prigionieri politici, impunità e asilo a Cuba.

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Dall'alto a sinistra in senso orario: Miguel d’Escoto Brockmann, Edén Atanacio Pastora Gomez, Ernesto Cardenal Martinez e Daniel Ortega


  

Qualcuno lo chiamò Comandante Zero; qualcun altro Comandante Kodak, per la foto sulla scaletta dell’aereo, fucile in mano e volto scoperto. A 43 anni tornava a Managua alla testa delle colonne guerrigliere. E a 45 dava le dimissioni da tutte le cariche. “Un uomo così non poteva abituarsi al tempo parsimonioso del potere”, scriveva magniloquente Gabriel García Márquez. “Questo comandante sandinista, duro e diffidente, che ha risolto di rinunciare alle vanità del potere terreno per andare a sparare in altre terre, come alcuni re medievali abbandonavano tutto e se ne andavano a Gerusalemme a liberare il Santo sepolcro”. Non aveva capito, il buon Gabo, che le armi Edén stava per usarle contro quei “mangiamerda venduti ai russi” dei suoi ex compagni. “Ho preso armi da Castro, Gheddafi e dalla Cia in distinti momenti e con distinte intenzioni”, avrebbe poi raccontato. “Quando ti puntano un fucile contro non ti fai troppe domande su chi ti aiuta. Ho sempre accettato questo aiuto, a patto che non ponessero condizioni”. A un certo punto la Cia di condizioni però ne mise, lui convocò una conferenza stampa, e lì scoppiò una bomba che fece fuori tre giornalisti, storpiandone altri. Il Comandante Zero si salvò ma gettò la spugna, pescando squali per sbarcare il lunario. In seguito si candidò a ripetizione per la presidenza, prendendo ogni volta meno voti di quelli già scarsi delle volte precedenti.

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A 64 anni, per evitare la bancarotta si mise a vendere cimeli: il Rolex d’oro preso a Somoza che tante volte aveva offerto in lotteria per finanziare le sue lotte ma che gli avevano sempre restituito; un leoncino di sette mesi che aveva abituato a mangiare da vegetariano; due anelli con diamanti regalati rispettivamente dal presidente peruviano Alan García e dal panamense Omar Torrijos. Con Torrijos, sembra, avrebbe dovuto volare con lui sull’aereo in cui perse la vita; ma cambiò idea all’ultimo momento per andare a letto con una donna. Fanno parte pure della sua leggenda anche i figli che ha procreato tra una guerriglia e l’altra: c’è chi dice 13, chi 19… Infine, a 72 anni si è riappacificato con Daniel. Quando alle ultime amministrative l’accusa a Daniel di aver fatto brogli spudorati provocò una sommossa, lui ha sentito subito il bisogno di far sapere a tutti che 500 scalmanati avevano dato l’assalto anche a casa sua, “perché tutti sanno che sono un buon amico e un sostenitore del presidente”. E che lui si era difeso sparando.

  

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Daniel, invece, nella guerriglia era finito perché i sandinisti avevano arrestato sua madre, accusandola di trasmettere messaggi in codice camuffati da lettere d’amore. Rapinatore di banche dopo essere tornato dall’Università Lumumba di Mosca, in galera a 22 anni, fu liberato a 29: in cambio del direttore della Banca Nazionale e di un cognato di Somoza, presi ostaggio da un commando guerrigliero. E a 34 anni si trovò alla testa del Nicaragua, benché la fase finale della Rivoluzione l’avesse vista dal comodo esilio del Costa Rica. “A rischiare la pelle mandavano me, ma i posti li prendevano loro”, si lamentava Edén… Sopravvissuto alle sanzioni economiche e alla guerriglia dei Contras che Ronald Reagan gli aveva scatenato contro, a 45 anni perse elezioni che secondo tutti avrebbe dovuto vincere a mani basse. Prima di lasciare fece però in tempo a far passare una legge che assegnava in proprietà privata alla nomenclatura sandinista i beni già presi ai gerarchi somozisti. Da capo dell’opposizione, perse poi altre due elezioni di fila. E a 53 anni fu coinvolto da una figliastra di nome Zoila América in un’accusa di violenze sessuali ripetute, a partire da quando lei aveva 11 anni; da cui si salvò solo grazie alla prescrizione; ma che valse alla sua forza politica lo stabile nomignolo di “partito del pedofilo”. Stabilì continui inciuci con quell’Arnoldo Alemán che lo aveva sconfitto alle presidenziali del 1996, e che aveva a sua volta meritato per la sua forza politica l’altrettanto stabile etichetta di “partito del ladro”. Subì, per la “pedofilia”, gli inciuci col “ladro” e altre ragioni ancora, la ribellione e scissione di mezzo partito, compreso Carlos Mejía Godoy, l’autore dell’inno stesso del movimento: “Avanti marciamo compagni/ avanziamo alla rivoluzione/ il nostro popolo e il padrone della sua storia/ architetto della sua liberazione”. “I figli di Sandino/ non si vendono né si arrendono/ lottiamo contro lo yankee/ nemico dell’umanità”, recita un’altra strofa: che peraltro non ha impedito al figlio di Carlos Mejía Godoy di finire in Iraq come sergente della Guardia nazionale della Florida (è vero: e di essere poi condannato per diserzione).

  

Lo stesso Mejía Godoy, oltre a candidarsi alla vicepresidenza contro di lui con i sandinisti dissidenti nel 2006, gli ha pure vietato di usare l’inno ai suoi comizi. Ma Daniel tanto l’aveva già sostituito con l’“Inno alla gioia” di Beethoven e con John Lennon, oltre a usare bandiere rosa al posto del tradizionale rosso-nero. Per sfondare al centro ha pure riempito i suoi meeting di bandiere Usa; fatto votare dai suoi una legge che vietava l’aborto terapeutico; preso come candidato alla vicepresidenza un banchiere ex somozista e ex contra. Alla fine, col popolare candidato dei sandinisti dissidenti morto durante la campagna elettorale e i liberali a loro volta divisi tra pro e gli anti Alemán, l’ha spuntata. Dal 10 gennaio del 2007 Daniel è di nuovo il presidente del Nicaragua. Perfino Carlos Alberto Montaner, Álvaro Vargas Llosa e Plinio Apuleyo Mendoza, i tre autori del famoso “Manuale del perfetto idiota latinoamericano”, in quel momento erano pronti a certificare la sua evoluzione verso un modello di “sinistra vegetariana” alla Lula, distinta dalla “sinistra carnivora” alla Chávez, che pure lo aveva aiutato pesantemente in campagna elettorale. Ma presto ha gettato la maschera. Aderendo all’Alleanza Alba con Cuba, Venezuela e la Bolivia di Morales, sia pure senza abbandonare il trattato di libero commercio con gli Stati Uniti. Inaugurando relazioni strette con l’Iran. Imbarcandosi in un’escalation di minacce belliche con la Colombia. Tornando a flirtare con Mosca, fino a invitare le navi russe e a ritrovarsi l’unico governante al mondo a riconoscere Abkhazia e Ossezia del Sud. Soprattutto, infierendo sugli oppositori: conservatori e sandinisti rinnovatori, che hanno perso lo status di partiti; il leader liberale anti Alemán Montealegre, che è finito sotto inchiesta; varie ong, cui è stato vietato di operare. In compenso, Alemán è uscito dal carcere cui era stato condannato per corruzione: evento dopo il quale i suoi seguaci hanno abbandonato l’Aventino delle opposizioni, consentendo al Congresso di riprendere a funzionare. Dopo le accuse di brogli elettorali alle ultime amministrative Stati Uniti e Unione europea gli hanno però tagliato ogni aiuto. Un altro problema è che per la storia di Zoila América tutte le femministe della regione gli hanno dichiarato guerra. Tant’è che quando a ferragosto il vescovo progressista in aspettativa Fernando Lugo si è insediato come nuovo presidente del Paraguay lui non ha potuto andare alla cerimonia, per una ministra locale che minacciava se no di dare le dimissioni.

 


Ortega attorniato dal presidente boliviano Evo Morales (a sinistra) e da quello venezuelano Hugo Chávez (a destra)


   

Miguel, nato a Los Angeles, fu ordinato prete a New York. Ma una volta ministro divenne proprio il paese dove era nato il suo nemico principale, fino a far votare all’Onu contro la condanna dell’invasione sovietica in Afghanistan. Premio Lenin per la Pace, fu quasi avvelenato dalla Cia con un Amaro Benedettino al cianuro. E fu sospeso a divinis da Papa Giovanni Paolo II, su consiglio decisivo del futuro Papa Benedetto XVI. Tornato alla ribalta dopo la vittoria di Daniel, è finito alla presidenza dell’Assemblea generale dell’Onu, dalla cui tribuna ha definito la politica israeliana “genocida” ed ha lodato l’Iran. Da ultimo è finito al Festival di Sanremo a fare prediche terzomondiste tra una canzonetta e l’altra, di fronte a un Bonolis con l’espressione a metà tra il compunto e l’ottuso.

 

E infine Ernesto, il prete poeta. Barba da monaco, occhialoni da regista anni Cinquanta, casacca da contadino e basco da Che Guevara, diceva che la Cuba di Fidel era la prefigurazione del Regno di Dio, gli Stati Uniti “il nuovo Faraone” e il dio precolombiano Quetzalcoatl l’annuncio del Cristo. “I Toltechi – lo dice Sahagun – adoravano/ un solo Dio: Quetzalcoatl/ era il suo nome. /E pure col nome di Quetzalcoatl/ onoravano il suo sacerdote:/ il quale diceva a tutti non esserci/ nessun altro Dio all’infuori/ di Quetzalcoatl; che non chiedeva più sacrifici/ se non di serpi e farfalle”. Un’altra sua ode famosa trasformava Marilyn Monroe in icona della Teologia della liberazione. “Signore/ ricevi questa ragazza conosciuta in tutta la Terra col nome di Marilyn Monroe/ anche se questo non era il suo vero nome/ (ma Tu conosci il suo vero nome, quello dell’orfanella violata a nove anni/ della piccola commessa che a 16 anni aveva cercato di uccidersi)/ e che ora si presenta a te senza nessun maquillage/ senza il suo agente”. E un’altra ancora celebrava il terremoto di Managua della vigilia di Natale del 1972. “Annunciatelo nei palazzi di Assur/ raccontatelo in quelli dell’Egitto/ il libretto degli indirizzi non serve più/ e neanche l’elenco del telefono./ Il grattacielo della Bank of America è una torcia nella notte/ la Pepsi Cola è in rovina./ In quella notte i prigionieri sandinisti se ne andarono liberi/ con il Palazzo di Giustizia obliquo e schiantato/ le banche dinamitate/ e crollati i collegi religiosi: tanto, erano solo per i ricchi”. Ernesto che si mise in ginocchio davanti al Papa polacco e questi, arrivato a Managua, gli puntò contro un dito minaccioso e gli gridò nel suo spagnolo dal pesante accento slavo: “Lei deve regolare la sua posizione con la chiesa!”. Che poi fu sospeso a divinis come prete dallo stesso Papa, ma si vide pure sopprimere il ministero da Daniel con la scusa delle ristrettezze economiche. Che poi ruppe con lo stesso Daniel. Che fu due volte candidato al Nobel per la Letteratura. Che si incontrò col subcomandante Marcos. Che alle ultime elezioni disse che era meglio votare per un “vero capitalista” come Montealegre piuttosto che per un “falso socialista” come Daniel. E che poi è andato a Asunción dove Daniel non era potuto andare, a spiegare a tutti che Daniel stesso era un “delinquente”.

 

Al ritorno in patria, subito Ernesto si è visto piombare tra capo e collo un’accusa per ingiurie: da lui lanciate nel corso di una vecchia causa in tribunale per questioni di confine nella sua comunità lacustre, con un imprenditore tedesco difeso dallo stesso avvocato di Daniel con Zoila América. Mentre era stato capo dei servizi sandinisti il giudice che lo ha condannato prima a una multa; poi, di fronte al suo rifiuto a pagare, al carcere, però non scontabile causa i suoi 83 anni; infine al sequestro dei beni. “Fascista” è ormai l’etichetta che per Daniel Ernesto ormai usa, nelle interviste che rilascia. Mentre noti intellettuali di sinistra come Eduardo Galeano o Antonio Skármeta, cioè quelli secondo i quali quando a Cuba un dissidente finisce in galera se lo è meritato come agente della Cia, proprio per solidarietà corporativa con il poeta sentenziano che Daniel è un “mascalzone”.

 

Sandinist Graffiti: mentre si prepara la celebrazione del trentennale di quella Rivoluzione che il 18 luglio 1979 cacciò il terzo membro della dinastia dei Somoza dalla presidenza del Nicaragua. A 19 anni dalle elezioni che privarono gli stessi sandinisti del potere; e a due dal reinsediamento alla presidenza del 64enne José Daniel Ortega Saavedra, che ha così potuto proiettare il 76enne Miguel d’Escoto Brockmann alla tribuna delle Nazioni Unite, e si è pure potuto riappacificare con Edén Atanacio Pastora Gómez. Perdendo però nel contempo nel modo più desolante ogni rispetto con Ernesto Cardenal Martínez. Nicaragua: paese di vulcani e terremoti; i cui laghi contengono gli unici squali d’acqua dolce del mondo; la cui politica pure è percorsa da squali; e le cui amicizie sono anch’esse soggette a vulcani e terremoti.

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