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Quanto scricchiola l’alleanza di Bolsonaro con il suo ministro-star Moro

Maurizio Stefanini

Il presidente brasiliano e il titolare della Giustizia e della Sicurezza sono sempre più litigiosi. C’entra anche la popolarità

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Roma. Volano stracci tra il presidente brasiliano Jair Bolsonaro e il giudice Sérgio Moro, star del suo governo. E’ stato lo stesso Bolsonaro a confermare le indiscrezioni sui contrasti addirittura dall’India, dove si trovava in viaggio ufficiale: in realtà avrebbe voluto fare una smentita, ma l’effetto finale è stato l’opposto. Non è vero che Bolsonaro ha intenzione di togliere a Moro una parte delle sue competenze – questa è la causa del litigio – “per ora”, che in pratica conferma come i rapporti tra i due si siano deteriorati.

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Roma. Volano stracci tra il presidente brasiliano Jair Bolsonaro e il giudice Sérgio Moro, star del suo governo. E’ stato lo stesso Bolsonaro a confermare le indiscrezioni sui contrasti addirittura dall’India, dove si trovava in viaggio ufficiale: in realtà avrebbe voluto fare una smentita, ma l’effetto finale è stato l’opposto. Non è vero che Bolsonaro ha intenzione di togliere a Moro una parte delle sue competenze – questa è la causa del litigio – “per ora”, che in pratica conferma come i rapporti tra i due si siano deteriorati.

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Già star della Tangentopoli brasiliana che ha mandato in prigione l’ex presidente Lula, ha portato all’impeachment di Dilma Rousseff e ha contribuito all’elezione di Bolsonaro, nel governo Moro ha avuto due dicasteri: della Giustizia e della Sicurezza pubblica. Quest’ultimo è l’equivalente del ministero dell’Interno italiano. In Brasile ogni stato ha la sua polizia con ampi poteri, ma comunque agli ordini di Moro c’è una Polizia federale tra le cui competenze ci sono l’indagine sui delitti contro il governo federale e i suoi organi e imprese, la lotta contro il traffico internazionale di droga e il terrorismo, l’immigrazione e il controllo delle frontiere. Il “Di Pietro brasiliano” ha sotto di sé sia gli agenti che si occupano di malversazione sia la repressione di quelle bande di narcos che rappresentano uno dei principali allarmi sociali.

 

Evidentemente, dare all’indagatore dei politici mano libera su corrotti e crimine organizzato serviva a Bolsonaro per avere popolarità. E in effetti ha funzionato, ma in modo imprevisto. Mentre il presidente sta subendo il contraccolpo per i problemi del primo anno di governo, il ministro è tra i politici più graditi: 53 per cento, contro un 30 per cento di Bolsonaro, un record negativo dopo il primo anno. L’economia va relativamente bene, ma il presidente ha dovuto licenziare cinque ministri, ha rotto con lo stesso partito per cui si era candidato, il figlio Flávio è stato coinvolto in uno scandalo, si è fatto una immagine internazionale terribile come distruttore dell’Amazzonia. Anche Moro ha avuto i suoi problemi, per i leaks in cui il giornalista statunitense Glenn Greenwald lo ha accusato di aver complottato apposta con giudici e procuratori per inguaiare Lula. Ma Greenwald, che vive da dieci anni in Brasile, è finito sotto indagine: per intercettazione illecita e associazione a delinquere. E Moro invece è più popolare che mai.

 

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Troppo, secondo Bolsonaro. E’ convinzione diffusa in Brasile che alle prossime presidenziali Moro potrebbe candidarsi, specie se la popolarità del presidente non si rialza. Un modo per ridimensionarlo sarebbe intanto togliergli uno dei due ministeri – la richiesta verrebbe dai titolari dei dicasteri preposti alla Polizia nei singoli stati, che preferirebbero un interlocutore specifico. Ma c’è pure un’altra esigenza: dare un posto a un esponente di quei partiti centristi fondamentali per la riforma delle pensioni e per far passare il resto dell’agenda economica del governo. Come titolare del ministero separato si era fatto il nome di Alberto Fraga, ex deputato del partito dei Democratici cui appartiene il presidente della Camera, Rodrigo Maia. Altro personaggio sempre più potente e per cui si parla di una possibile candidatura proprio grazie al ruolo che sta assumendo come leader di fatto del cosiddetto Centrão: il magma di partiti centristi che non è riuscito finora a esprimere mai candidati presidenziali vincenti, ma che continua a determinare il passaggio di ogni legge. Moro, però, ha minacciato di dimettersi anche da ministro della Giustizia: premessa su cui avrebbe potuto iniziare già da ora una campagna per le presidenziali.

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