Scudi umani in Iran
La notte dell’abbattimento del volo ucraino i pasdaran usavano il traffico civile come “protezione”
Roma. Il New York Times ha pubblicato un’inchiesta che spiega cosa è successo dentro il circolo ristretto che governa l’Iran durante i tre giorni in cui la versione ufficiale negava l’abbattimento di un aereo ucraino con 176 passeggeri a bordo. Si tratta di una ricostruzione che contiene dettagli straordinari e risponde a molte domande. Una riguarda senz’altro il traffico aereo di quella notte sopra la capitale Teheran. Perché i militari iraniani non bloccarono i voli civili? Si aspettavano una possibile ritorsione da parte americana e tutto l’apparato di difesa era in stato di massima allerta. Eppure fecero come se nulla fosse. Secondo fonti del New York Times sia fra i Guardiani della rivoluzione sia fra altri funzionari iraniani, i Guardiani presero la decisione di non fermare gli aerei civili per due motivi. Il primo è che un blocco dei voli avrebbe creato il panico, in quei giorni si parlava molto di guerra e l’ordine sarebbe stato scambiato per l’inizio di un conflitto. Il secondo motivo è che speravano che gli aerei civili avrebbero fatto da deterrente nel caso gli americani avessero deciso di attaccare l’aeroporto o una base dei Guardiani a poca distanza. In pratica quella notte i vertici militari dell’Iran trattarono i passeggeri dei voli in arrivo e in partenza da scudi umani, come del resto sospettavano molti dei manifestanti che sono scesi in piazza nei giorni successivi al disastro.
Roma. Il New York Times ha pubblicato un’inchiesta che spiega cosa è successo dentro il circolo ristretto che governa l’Iran durante i tre giorni in cui la versione ufficiale negava l’abbattimento di un aereo ucraino con 176 passeggeri a bordo. Si tratta di una ricostruzione che contiene dettagli straordinari e risponde a molte domande. Una riguarda senz’altro il traffico aereo di quella notte sopra la capitale Teheran. Perché i militari iraniani non bloccarono i voli civili? Si aspettavano una possibile ritorsione da parte americana e tutto l’apparato di difesa era in stato di massima allerta. Eppure fecero come se nulla fosse. Secondo fonti del New York Times sia fra i Guardiani della rivoluzione sia fra altri funzionari iraniani, i Guardiani presero la decisione di non fermare gli aerei civili per due motivi. Il primo è che un blocco dei voli avrebbe creato il panico, in quei giorni si parlava molto di guerra e l’ordine sarebbe stato scambiato per l’inizio di un conflitto. Il secondo motivo è che speravano che gli aerei civili avrebbero fatto da deterrente nel caso gli americani avessero deciso di attaccare l’aeroporto o una base dei Guardiani a poca distanza. In pratica quella notte i vertici militari dell’Iran trattarono i passeggeri dei voli in arrivo e in partenza da scudi umani, come del resto sospettavano molti dei manifestanti che sono scesi in piazza nei giorni successivi al disastro.
C’è un altro punto tecnico interessante. I Guardiani hanno stabilito con un’inchiesta interna che il comandante della batteria missilistica che sparò due missili contro l’aereo passeggeri – che in questo momento è agli arresti in un luogo sconosciuto assieme ai suoi uomini – lo fece “per errore umano”. Questo contraddice una voce fatta circolare in questi giorni che sostiene che i missili furono sparati per colpa di un’interferenza nelle comunicazioni creata dagli americani o da Israele. Il comandante della batteria dice che non riuscì a comunicare con i suoi superiori e che allora prese la decisione di lanciare i due missili. La macchina militare dell’Iran non è perfetta ed è affidata a operatori che non sanno gestire queste situazioni. Quando è arrivato il momento di ammettere l’errore e hanno chiesto al capo dell’aviazione dei Guardiani, il generale Amir Ali Hajidazeh, se volesse dare la colpa a qualche sabotaggio da parte di hacker americani o israeliani lui si è rifiutato, perché la bufala avrebbe avuto un impatto ancora più demoralizzante sugli iraniani.
La ricostruzione del New York Times mostra che l’Iran è ostaggio dei militari e dei leader religiosi, come dicono i manifestanti che vanno a protestare in piazza. Per tre giorni il presidente Hassan Rohani è stato tenuto all’oscuro dell’abbattimento. I Guardiani, che sapevano tutto fin dal primo minuto, avevano avvisato soltanto la Guida Suprema Ali Khamenei e poi avevano creato un cordone di sicurezza per impedire che la notizia uscisse. Per tre giorni il governo ha difeso la versione ufficiale di un guasto al motore e ha accusato i governi occidentali di fare una “guerra psicologica” contro Teheran. Oggi i funzionari che sono andati in tv a negare l’abbattimento sono distrutti dalla vergogna.
La struttura del potere in Iran è separata in due tronconi, uno dominante – quello degli ayatollah e dei Guardiani – e uno sottomesso, quello del potere politico “eletto” (c’è da usare le virgolette perché le elezioni non sono libere: si può candidare soltanto chi è stato selezionato dal potere religioso). Questa separazione esiste sempre, ma la crisi l’ha fatta diventare più netta. Al terzo giorno Rohani ha preteso di essere messo al corrente e quando ha saputo la verità ha minacciato: o ammettete pubblicamente la responsabilità oppure mi dimetto. La storia era ormai troppo fuori controllo per essere dominata, ai Guardiani non è restato che tentare di contenere il danno.
Spesso si insiste sulla differenza tra l’ala “moderata” del governo iraniano e i vertici dei Guardiani, ma si tratta di una spaccatura esagerata. Il regime deve la sua continuità alla compattezza che mostra di fronte alle minacce, come è successo a novembre quando ha soffocato le rivolte di piazza e ha ucciso millecinquecento civili. A volte tuttavia il divario c’è, come in questo caso. Sarebbe interessante scoprire chi sono le fonti che hanno dato al New York Times tutte queste informazioni e che sostanzialmente dicono che Rohani è innocente e che tutta la responsabilità cade sui Guardiani.