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Scudi umani in Iran

Daniele Ranieri

La notte dell’abbattimento del volo ucraino i pasdaran usavano il traffico civile come “protezione”

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Roma. Il New York Times ha pubblicato un’inchiesta che spiega cosa è successo dentro il circolo ristretto che governa l’Iran durante i tre giorni in cui la versione ufficiale negava l’abbattimento di un aereo ucraino con 176 passeggeri a bordo. Si tratta di una ricostruzione che contiene dettagli straordinari e risponde a molte domande. Una riguarda senz’altro il traffico aereo di quella notte sopra la capitale Teheran. Perché i militari iraniani non bloccarono i voli civili? Si aspettavano una possibile ritorsione da parte americana e tutto l’apparato di difesa era in stato di massima allerta. Eppure fecero come se nulla fosse. Secondo fonti del New York Times sia fra i Guardiani della rivoluzione sia fra altri funzionari iraniani, i Guardiani presero la decisione di non fermare gli aerei civili per due motivi. Il primo è che un blocco dei voli avrebbe creato il panico, in quei giorni si parlava molto di guerra e l’ordine sarebbe stato scambiato per l’inizio di un conflitto. Il secondo motivo è che speravano che gli aerei civili avrebbero fatto da deterrente nel caso gli americani avessero deciso di attaccare l’aeroporto o una base dei Guardiani a poca distanza. In pratica quella notte i vertici militari dell’Iran trattarono i passeggeri dei voli in arrivo e in partenza da scudi umani, come del resto sospettavano molti dei manifestanti che sono scesi in piazza nei giorni successivi al disastro.

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Roma. Il New York Times ha pubblicato un’inchiesta che spiega cosa è successo dentro il circolo ristretto che governa l’Iran durante i tre giorni in cui la versione ufficiale negava l’abbattimento di un aereo ucraino con 176 passeggeri a bordo. Si tratta di una ricostruzione che contiene dettagli straordinari e risponde a molte domande. Una riguarda senz’altro il traffico aereo di quella notte sopra la capitale Teheran. Perché i militari iraniani non bloccarono i voli civili? Si aspettavano una possibile ritorsione da parte americana e tutto l’apparato di difesa era in stato di massima allerta. Eppure fecero come se nulla fosse. Secondo fonti del New York Times sia fra i Guardiani della rivoluzione sia fra altri funzionari iraniani, i Guardiani presero la decisione di non fermare gli aerei civili per due motivi. Il primo è che un blocco dei voli avrebbe creato il panico, in quei giorni si parlava molto di guerra e l’ordine sarebbe stato scambiato per l’inizio di un conflitto. Il secondo motivo è che speravano che gli aerei civili avrebbero fatto da deterrente nel caso gli americani avessero deciso di attaccare l’aeroporto o una base dei Guardiani a poca distanza. In pratica quella notte i vertici militari dell’Iran trattarono i passeggeri dei voli in arrivo e in partenza da scudi umani, come del resto sospettavano molti dei manifestanti che sono scesi in piazza nei giorni successivi al disastro.

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C’è un altro punto tecnico interessante. I Guardiani hanno stabilito con un’inchiesta interna che il comandante della batteria missilistica che sparò due missili contro l’aereo passeggeri – che in questo momento è agli arresti in un luogo sconosciuto assieme ai suoi uomini – lo fece “per errore umano”. Questo contraddice una voce fatta circolare in questi giorni che sostiene che i missili furono sparati per colpa di un’interferenza nelle comunicazioni creata dagli americani o da Israele. Il comandante della batteria dice che non riuscì a comunicare con i suoi superiori e che allora prese la decisione di lanciare i due missili. La macchina militare dell’Iran non è perfetta ed è affidata a operatori che non sanno gestire queste situazioni. Quando è arrivato il momento di ammettere l’errore e hanno chiesto al capo dell’aviazione dei Guardiani, il generale Amir Ali Hajidazeh, se volesse dare la colpa a qualche sabotaggio da parte di hacker americani o israeliani lui si è rifiutato, perché la bufala avrebbe avuto un impatto ancora più demoralizzante sugli iraniani.

 

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La ricostruzione del New York Times mostra che l’Iran è ostaggio dei militari e dei leader religiosi, come dicono i manifestanti che vanno a protestare in piazza. Per tre giorni il presidente Hassan Rohani è stato tenuto all’oscuro dell’abbattimento. I Guardiani, che sapevano tutto fin dal primo minuto, avevano avvisato soltanto la Guida Suprema Ali Khamenei e poi avevano creato un cordone di sicurezza per impedire che la notizia uscisse. Per tre giorni il governo ha difeso la versione ufficiale di un guasto al motore e ha accusato i governi occidentali di fare una “guerra psicologica” contro Teheran. Oggi i funzionari che sono andati in tv a negare l’abbattimento sono distrutti dalla vergogna.

 

La struttura del potere in Iran è separata in due tronconi, uno dominante – quello degli ayatollah e dei Guardiani – e uno sottomesso, quello del potere politico “eletto” (c’è da usare le virgolette perché le elezioni non sono libere: si può candidare soltanto chi è stato selezionato dal potere religioso). Questa separazione esiste sempre, ma la crisi l’ha fatta diventare più netta. Al terzo giorno Rohani ha preteso di essere messo al corrente e quando ha saputo la verità ha minacciato: o ammettete pubblicamente la responsabilità oppure mi dimetto. La storia era ormai troppo fuori controllo per essere dominata, ai Guardiani non è restato che tentare di contenere il danno.

 

Spesso si insiste sulla differenza tra l’ala “moderata” del governo iraniano e i vertici dei Guardiani, ma si tratta di una spaccatura esagerata. Il regime deve la sua continuità alla compattezza che mostra di fronte alle minacce, come è successo a novembre quando ha soffocato le rivolte di piazza e ha ucciso millecinquecento civili. A volte tuttavia il divario c’è, come in questo caso. Sarebbe interessante scoprire chi sono le fonti che hanno dato al New York Times tutte queste informazioni e che sostanzialmente dicono che Rohani è innocente e che tutta la responsabilità cade sui Guardiani.

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