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Accusare l’America e dimenticare il pericolo Iran. L’errore delle anime belle

Claudio Cerasa

Il regime islamista di Teheran è incompatibile con i valori non negoziabili delle società libere, a prescindere da ciò che fanno i suoi avversari. Per la prima volta, da molto tempo a questa parte, le sue aggressioni non sono rimaste senza conseguenze

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La chirurgica operazione con cui dieci giorni fa gli Stati Uniti hanno eliminato uno degli uomini più pericolosi del medio oriente, il macellaio Qassem Suleimani, il generale a capo delle Guardie della rivoluzione di Teheran che per molti anni ha armato le attività di rappresaglia e di terrorismo portate avanti dall’Iran (è stato lui l’uomo che nell’estate del 2015 è volato a Mosca per coordinare la controffensiva che ha salvato il regime di Assad condannando i siriani a una guerra civile ed è stato lui il coordinatore della macelleria umana di Aleppo), ha avuto l’effetto di accendere i riflettori dell’opinione pubblica internazionale sullo stato attuale del regime iraniano. Di fronte al confronto tra gli Stati Uniti e l’Iran, gli osservatori viziati da un pregiudizio antiamericano hanno scelto ancora una volta di considerare l’attività di prevenzione dell’America come l’origine di ogni male del mondo e in questi giorni c’è persino chi ha esposto la brillante tesi che anche l’abbattimento dell’aereo ucraino nei cieli iraniani sia stato causato dall’America: se Trump non avesse ucciso Suleimani l’Iran si sarebbe comportato come sempre in modo appropriato. Gli osservatori non viziati da un pregiudizio antiamericano non hanno invece potuto fare a meno di riconoscere che ciò che questi giorni di tensione hanno avuto la forza di mostrare rispetto al regime iraniano non è altro che un film che qualunque analista con la testa sulle spalle dovrebbe iniziare a guardare senza più occhi foderati di affettati. 

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La chirurgica operazione con cui dieci giorni fa gli Stati Uniti hanno eliminato uno degli uomini più pericolosi del medio oriente, il macellaio Qassem Suleimani, il generale a capo delle Guardie della rivoluzione di Teheran che per molti anni ha armato le attività di rappresaglia e di terrorismo portate avanti dall’Iran (è stato lui l’uomo che nell’estate del 2015 è volato a Mosca per coordinare la controffensiva che ha salvato il regime di Assad condannando i siriani a una guerra civile ed è stato lui il coordinatore della macelleria umana di Aleppo), ha avuto l’effetto di accendere i riflettori dell’opinione pubblica internazionale sullo stato attuale del regime iraniano. Di fronte al confronto tra gli Stati Uniti e l’Iran, gli osservatori viziati da un pregiudizio antiamericano hanno scelto ancora una volta di considerare l’attività di prevenzione dell’America come l’origine di ogni male del mondo e in questi giorni c’è persino chi ha esposto la brillante tesi che anche l’abbattimento dell’aereo ucraino nei cieli iraniani sia stato causato dall’America: se Trump non avesse ucciso Suleimani l’Iran si sarebbe comportato come sempre in modo appropriato. Gli osservatori non viziati da un pregiudizio antiamericano non hanno invece potuto fare a meno di riconoscere che ciò che questi giorni di tensione hanno avuto la forza di mostrare rispetto al regime iraniano non è altro che un film che qualunque analista con la testa sulle spalle dovrebbe iniziare a guardare senza più occhi foderati di affettati. 

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Parlare in modo non superficiale di Iran è un’operazione complicata perché parlare di un regime dominato da una classe dirigente formata da fondamentalisti dell’islam significherebbe dover affrontare con onestà il tema dei temi: la compatibilità di un regime ultra islamista con i valori non negoziabili della nostra libertà. E non è un caso dunque che ogni volta che il tema dell’Iran torna centrale all’interno del dibattito pubblico chi dovrebbe occuparsi della formazione dell’opinione pubblica sceglie un qualunque pretesto pur di non parlare di ciò che rappresenta oggi il regime iraniano. Sarebbe stato interessante, per esempio, ricordare che il regime che in qualche modo è stato sfidato in questi giorni Donald Trump è lo stesso regime che ha arrestato, imprigionato o messo a morte almeno 860 giornalisti nei tre decenni intercorsi tra la rivoluzione islamica del 1979 e il 2009, secondo alcuni documenti presentati un anno fa da Reporters sans frontières.

 

 

Sarebbe stato interessante notare poi che lo stesso regime considerato oggi una vittima dell’attività di prevenzione contro il terrorismo portata avanti dagli Stati Uniti è lo stesso regime che secondo quanto riportato tre mesi fa da Nathan A. Sales, ambasciatore generale del dipartimento di stato americano e coordinatore in quest’ambito dell’attività di antiterrorismo, spende circa un miliardo di dollari all’anno per sostenere gruppi coordinati più o meno direttamente dalle Guardie della rivoluzione iraniana e considerati dagli Stati Uniti come organizzazioni terroristiche: il movimento musulmano sciita libanese Hezbollah, il gruppo musulmano sunnita palestinese Hamas e la milizia sciita musulmana Zaar Ansar Allah, nota anche come Houthi. Sarebbe stato interessante notare poi come lo stesso regime difeso oggi dai campioni dei diritti umani, ah come è crudele questa America che spazza via i coordinatori dell’attività terroristica iraniana, è lo stesso regime che i diritti umani li utilizza solitamente come carta igienica.

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Le anime belle del progressismo mondiale fingono regolarmente di dimenticarselo ma il regime iraniano, come riportano da anni diverse associazioni in difesa dei diritti umani, è lo stesso che (a) dal 1979 a oggi, per crimini legati al loro orientamento sessuale, ha giustiziato un numero compreso tra i 4.000 e i 6.000 omosessuali ed è lo stesso che (b) ogni anno, i dati sono di Amnesty, ospita sul suo territorio un terzo di tutte le esecuzioni capitali registrate in tutto il mondo (253 all’anno). Sarebbe stato interessante cogliere l’occasione della sfida anche militare tra l’Iran e gli Stati Uniti per provare a ricordare che difendere l’Iran significa difendere uno dei più grandi generatori di odio e di instabilità dell’intero medio oriente. E in questa occasione sarebbe stato interessante anche ricordare cosa disse qualche anno fa Benjamin Netanyahu in un favoloso discorso pronunciato al Congresso di Washington rispetto alla vera identità del regime iraniano. In quell’occasione, era il 2015, Netanyahu ricordò come la vita degli iraniani nel 1979 venne distrutta “da fanatici religiosi che imposero a una grande civiltà una dittatura cupa e brutale”. Ricordò come il fondatore del regime, l’ayatollah Khomeini, iniziò da subito a esortare i suoi seguaci a “esportare la rivoluzione ovunque nel mondo”. “Gli sgherri dell’Iran a Gaza, i suoi lacchè in Libano, le sue Guardie della rivoluzione sulle alture del Golan – disse Bibi – stanno stringendo Israele con i loro tentacoli del terrore. Sostenuto dall’Iran, Assad sta ammazzando i siriani. Sostenute dall’Iran, le milizie sciite si stanno scatenando in Iraq. Sostenuti dall’Iran, gli Houthi stanno prendendo il potere in Yemen, mettendo a rischio gli stretti alla bocca del mar Rosso. Assieme allo Stretto di Hormuz, questo concede all’Iran un secondo collo di bottiglia nella fornitura di petrolio nel mondo.

 

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Sfortunatamente, poi, negli ultimi 36 anni gli attacchi dell’Iran contro gli americani non sono stati affatto uno scherzo. L’Iran ha preso decine di ostaggi a Teheran, ha ucciso centinaia di soldati americani, marine, a Beirut, e ha ucciso migliaia di americani, uomini e donne, in Iraq e Afghanistan. Al di là del medio oriente, l’Iran attacca l’America e i suoi alleati attraverso un network globale del terrore. Ha fatto esplodere il centro ebraico e l’ambasciata israeliana a Buenos Aires. Ha aiutato al Qaida a bombardare le ambasciate americane in Africa. Ha cercato di assassinare l’ambasciatore saudita, qui a Washington. Nel medio oriente, l’Iran ora ha il dominio su quattro capitali: Baghdad, Damasco, Beirut e Sana’a. E se l’aggressione dell’Iran resta senza conseguenze, ci saranno nuove conquiste. Mentre molti sperano che possa unirsi alla comunità internazionale, l’Iran è impegnato a trangugiare paesi. Dobbiamo stare uniti per fermare la marcia dell’Iran per conquistare, soggiogare e terrorizzare”. Per la prima volta da molto tempo a questa parte le aggressioni dell’Iran non sono rimaste senza conseguenze. E’ possibile che tutto questo generi altri effetti. Ma il pericolo rappresentato dal regime iraniano è un pericolo che prescinde da ciò che fanno i suoi avversari. L’Iran è una dittatura pericolosa per sua natura. E prima lo capiranno le anime belle non solo del progressismo e meglio sarà non solo per il medio oriente ma per tutto il mondo.

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