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Il vicolo cieco della vecchia talpa neosocialista

Giuliano Ferrara

La sinistra populista e quella che ha mollato gli ormeggi riformisti ha perso (con qualche eccezione). E un candidato tutto tasse e spesa pubblica come Sanders, in ripresa, potrebbe anche favorire Trump

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Bernie Sanders sarebbe il vecchietto del West se il suo socialismo non avesse largamente attinto alle sue simpatie per l’Unione Sovietica, che è a Est, ha un’età venerabile ma sconsigliabile per la Casa Bianca, ha appena subito in campagna elettorale un infarto o giù di lì che lo ha bloccato, il suo programma statalista è considerato bizzarramente unamerican anche da alcuni suoi sostenitori, la sua retorica ha un che di bolso e di disperato, un che di naturalmente perdente, per il resto certo ha avuto fascino quando si scatenò la mobilitazione contro la Clinton, individuata non come una prosecuzione della strategia realista e progressista del marito ex presidente ma come una “nasty woman” (definizione spietata e rozza del suo avversario di quattro anni fa) al centro di una rete di establishment che parlava di soldi, corporate funding, controllo d’apparato, riformismo moderato, guida magari sicura ma tremendamente impopolare perché istituzionale e professionale. Che fosse una donna, e per la prima volta alle soglie della presidenza, non importò gran che, sebbene il voto popolare l’abbia premiata con tre milioni di voti più del macho Trump. Nessuno rimproverò a Sanders, dopo che aveva parecchio contribuito alla vittoria di modesta misura di un turbo capitalista farlocco nei collegi elettorali operai e della classe medio-bassa, di aver fatto, come si diceva una volta, il gioco del nemico. Anzi un tale candidato sognatore, tutto tasse e spesa pubblica, ha ripreso fiato, si è ripresentato come nulla fosse e adesso è perfino in testa nei sondaggi sulle primarie anticipate dell’Iowa.

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Bernie Sanders sarebbe il vecchietto del West se il suo socialismo non avesse largamente attinto alle sue simpatie per l’Unione Sovietica, che è a Est, ha un’età venerabile ma sconsigliabile per la Casa Bianca, ha appena subito in campagna elettorale un infarto o giù di lì che lo ha bloccato, il suo programma statalista è considerato bizzarramente unamerican anche da alcuni suoi sostenitori, la sua retorica ha un che di bolso e di disperato, un che di naturalmente perdente, per il resto certo ha avuto fascino quando si scatenò la mobilitazione contro la Clinton, individuata non come una prosecuzione della strategia realista e progressista del marito ex presidente ma come una “nasty woman” (definizione spietata e rozza del suo avversario di quattro anni fa) al centro di una rete di establishment che parlava di soldi, corporate funding, controllo d’apparato, riformismo moderato, guida magari sicura ma tremendamente impopolare perché istituzionale e professionale. Che fosse una donna, e per la prima volta alle soglie della presidenza, non importò gran che, sebbene il voto popolare l’abbia premiata con tre milioni di voti più del macho Trump. Nessuno rimproverò a Sanders, dopo che aveva parecchio contribuito alla vittoria di modesta misura di un turbo capitalista farlocco nei collegi elettorali operai e della classe medio-bassa, di aver fatto, come si diceva una volta, il gioco del nemico. Anzi un tale candidato sognatore, tutto tasse e spesa pubblica, ha ripreso fiato, si è ripresentato come nulla fosse e adesso è perfino in testa nei sondaggi sulle primarie anticipate dell’Iowa.

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E’ successo, e non solo in America, che la sinistra (diciamo così) amica del capitalismo, che prende atto della crisi secolare del sistema collettivista fondato sull’economia di stato, ha scontato la crisi del cosiddetto neoliberismo. E’ passata l’idea che, come per il socialismo della pianificazione, il capitalismo della globalizzazione non si può correggere nelle sue stramberie e nelle sue distorsioni, si può solo abbattere riformulando un nuovo progetto di mondo all’ombra del green deal e al caldo degli incendi australiani o amazzonici, nella lotta generale contro ineguaglianze che per la verità ci sono e non ci sono. Dal basta con il Thatcherismo e il Reaganismo si è arrivati in un solo movimento al rifiuto di Blair e alla crisi della socialdemocrazia in tutta Europa o quasi (le eccezioni ora le vedremo), fino all’ebollizione della vasta congerie dei populismi come nuovi avversari pimpanti e spesso vincenti di un riformismo d’élite. E siccome i populismi sono contagiosi, tendono a dettare l’agenda e il tono della politica anche fuori del loro perimetro naturale di destra, come è sempre stato, le leadership della nuova vecchia sinistra si sono intrise anch’esse di un populismo nelle intenzioni benevolo e radicale. Ma Corbyn ha perso come non accadeva al Labour britannico dal 1935, le socialdemocrazie francese e tedesca si sono praticamente inabissate dopo aver mollato gli ormeggi riformisti, moderati, di uno Schroeder o di un Mitterrand, con l’eccezione del Portogallo, strano e fortunato paese, e della Spagna, dove il Psoe ce l’ha fatta, ma per il rotto della cuffia e alleandosi con i populisti di sinistra del gruppo di Podemos (fenomeno tutto sommato analogo alla maggioranza giallorossa italiana). Il solo Macron, ma scontando il superamento della dialettica di destra e sinistra, ha trovato un meccanismo che riproduce il riformismo con un significato importante.

 

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Ma la lezione non è servita. Non c’è un nuovo pensiero politico palatabile, dopo la riscoperta del riformismo neoliberale seguita alla caduta del comunismo, non c’è una nuova seria classe dirigente, quell’impasto di competenza tecnica e programmazione consapevole che fa di un movimento o di una coalizione un candidato al governo, e allora tutto è rifluito verso le solite semplificazioni, e a quelle della destra arrembante si sono opposte le semplificazioni della sinistra neosocialista. La sconfitta dei populismi e degli uomini forti del nuovo secolo, affermatisi con mezzi di vario genere primo dei quali la diffusione della paura e della demagogia, con la parziale eccezione di Boris Johnson, non è alle viste. Con candidati in vivace ripresa come Sanders tutto lascia prevedere che a un Trump potrebbe essere, anche se non è detto, abbonato e condonato il suo vivere e lavorare fuori e contro la Costituzione scritta più antica del mondo, tenendo appese a un filo vecchie alleanze, grandi reti produttive e di commercio libero che hanno rimosso la povertà in un terzo della terra eccetera. Marx e Engels erano scrittori ironici e civettavano con le metafore, così per descrivere le sorti magnifiche di una rivoluzione che si apriva il cammino a forza di cunicoli scrissero nel saggio sul secondo Bonaparte: “ben scavato, vecchia talpa”. Lo scavo della vecchia sinistra neosocialista dovrebbe mettere capo a qualcosa di assai più triste di quel che fu la nascita comunarda del vecchio movimento operaio e socialista, con la demolizione dalle fondamenta delle ultime resistenze della democrazia liberale borghese riformata e ristrutturata dalle politiche di welfare. Ben scavato? 

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